Clint Eastwood
Mystic River
di Marco Capriata
Una luce livida attraversa quest'ultimo film di Eastwood, illuminando una tragedia classica in cui violenza e vendetta sono sublimate e trasfigurate in una matrice religiosa, denunciata dal titolo stesso. Una luminosità che rasenta i protagonisti ed i luoghi da loro abitati, ammorbandoli, fino alla luce purificatrice dello sparo, compendio finale dell'aggressività finora trattenuta, il cui riverbero abbacinante apre gli occhi sulle verità celatesi dietro le false apparenze.
La m.d.p. sin dall'inizio pare denunciare il suo distacco, rendendosi sguardo superiore, estraneo, in realtà mirato ad introdurci nella geografia del quartiere e dei suoi protagonisti, ripresi nelle loro attività di gioco infantile, in cui l'iscrizione sul cemento dei propri nomi, interrotto da un'intrusione estranea, resa nella sua scansione drammatica dal dialogo tra il sedicente poliziotto e gli infanti, simbolizza un'affermazione d'identità precisa, che nel caso di Dave, il cui nome rimane incompleto, teorizza la sua non finitezza d'individuo. Il rapimento da lui subito e la fuga attraverso un bosco dalle evidenti reminiscenze fiabesche segneranno la sua esistenza inesorabilmente, cancellandone l'identità e mostrandocene infine solo un'ombra scura dietro la finestra di casa.
Il passato non si cancella, ma riaffiora dalle acque del tempo, sembra ricordaci Eastwood, accompagnandoci nel presente in cui riconosciamo Dave (Tim Robbins), ora uomo maturo ed integrato nella comunità, di cui però non è rimasto che un fantasma, una parvenza del bambino rapito, che al ridestarsi del trauma infantile tende a dubitare della propria natura umana e a definirsi un vampiro, ispirato non casualmente dalla visione di Vampires di Carpenter. Ed è questo presagio di mostruosità latente che lo graverà del peccato originale del delitto che muove l'intera vicenda. Egli è colui che si carica della colpa quale capro espiatorio antonomastico, il cui destino di violenza sofferta si reitera nella sequenza in cui gli scagnozzi di Jimmy Markum (Sean Penn) lo invitano a salire in auto, innescando un circolo vizioso replicante l'atto del rapimento subito nell'infanzia, accettazione inconscia di una punizione prossima a venire.
Eastwood non si astiene dal disseminare abilmente il percorso dello spettatore di dubbi e ansie, insistendo come Hitchcock sui particolari rivelatori di un presunto delitto (la profondità di campo ed il grandangolo che pongono in primo piano la mano tumefatta di Dave), ed adottando un efficace montaggio parallelo nei punti cruciali della diegesi, che nel suo procedere verso il climax finale diviene però farraginosa come il deflusso di un fiume, che rischia di tracimare. Le evidenti allegorie e le sentenziose affermazioni di Jimmy (Sean Penn) celano inoltre una retorica latente, che rischia di sminuirne la pregevole prova recitativa. Il film si propone, infatti, com'ennesima parabola sulla violenza insita nella società americana, laddove gli elementi arcaici e primitivi della vendetta tendono a prevalere sulla ragione ed il rigore della giustizia, incarnate dalla figura istituzionale di Sean (Kevin Bacon).
Il fiume riassume quindi il suo ruolo di sorgente purificatrice, che monda i peccati, e la croce tatuata sulla schiena di Jimmy è il sigillo che ne sancisce il ruolo di giudice mosso da un afflato mistico di rettitudine/castigo, colui che ha il diritto di "salvare" Dave, quale peccatore, dalle sue tentazioni e trepidazioni. Quest'ultimo, infatti, diviene la vittima sacrificale di un rito dalle valenze evidentemente espiatorie.
E la parata finale in cui si ritrovano i nostri protagonisti, momento catartico di una comunità, mai così desolato e dimesso nella sua rappresentazione allegorica, è l'occasione per un ultimo confronto fatto di sguardi e di verità inconfessabili, in cui prendere coscienza dei propri ruoli sociali, delle proprie responsabilità verso i propri cari e del passato che rimane, come una pietra posata sul fondo del Mystic River, in cui la m.d.p. pare immergersi per un ultimo viaggio.
MYSTIC RIVER
(Usa, 2003)
Regia
Clint Eastwood
Sceneggiatura
Brian Helgeland
Montaggio
Joel Cox
Fotografia
Tom Stern
Musica
Clint Eastwood, Lennie Niehaus
Durata
137 min