Clint Eastwood
Mystic River
di Emanuele Scansani
Mystic river. Come il fiume che attraversa Boston, o come il "mistico" fiume dove i tre personaggi della storia si ritrovano a dover "lavare" le rispettive coscienze, in modi assai differenti ma tuttavia tra loro intrecciati, a causa dell'amicizia che fin dall'infanzia li univa: come quando da bambini giocavano a hockey nel viale sotto casa, in questi soffocanti quartieri popolari di una nervosa comunità irlandese.
E' infatti così che ha inizio l'ultima fatica di Clint Eastwood, un capolavoro, che in modo assai sublime riesce a sondare fin negli abissi dell'animo umano alla ricerca di quella ineliminabile violenza latente che si insinua dietro i buoni sentimenti, quelli dell'amicizia che vorrebbe rimanere impressa per sempre nel tempo (come una traccia nel cemento). Ma l'armonia che pervade le prime scene del film è presto stroncata da un dramma. Dal dramma che detterà i registri comportamentali delle esistenze future dei tre ragazzi: la violenza, l'innocenza "stuprata", la pedofilia e la prevaricazione del più forte che fassbinderianamente esercita il proprio diritto sui più deboli. E' sotto il segno della violenza, infatti, che i tre vedranno evolvere le proprie vite perché la violenza genera violenza.
Proprio questo sembra dire Eastwood con la tragedia esistenziale dei tre personaggi: non ci si deve sorprendere dunque nel rivedere i tre uomini (riuniti dopo lunghi anni dall'omicidio della figlia di uno di loro) avere a che fare in qualche modo –direttamente o indirettamente- con la violenza: come Jimmy, piccolo boss di quartiere che implora vendetta per la morte della figlia, come Sean che –da investigatore di polizia- si occupa del caso, o come Dave, il martire delle sevizie iniziali, che porta nel corpo e nello spirito i segni di un'infanzia "strappata", di una violenza subita rapidamente come una macchina che ti "offre" un passaggio che non puoi rifiutare, e che riparte senza sosta, incurante del fatto che stai lasciando dietro di te un mondo di armonia e pieno di certezze. Così, a venire alla luce dalla lunga parte centrale del film non è tanto l'indagine su quest'ultimo (sospettato di essere il responsabile dell'omicidio), che contribuisce comunque a dare al film il ritmo di un avvincente thriller metropolitano, ma il totale cinismo con cui i tre uomini –una volta amici- cercano di ritrovare nel loro ego un'armonia e un'intesa che tra loro non c'è più, consci che quella macchina nera all'inizio del film ha rubato una parte dell'infanzia di tutti e tre. Solo per un caso è toccato ad uno invece che ad un altro: le cose sarebbero potute forse andare diversamente?
Il clima tragico di sospetto e di angoscia che accompagna le indagini (sia quelle legali sia quelle affidate da Jimmy a due guardia-spalle) pervade immancabilmente anche l'ambiente domestico, il quale è "solido" e stretto intorno al padre di famiglia (Jimmy), vacillante come per la famiglia di Dave, o completamente frantumato, inesistente (per Sean sofferente a causa della moglie che è scappata da lui). Poco importa alla fine che sulla strada della vendetta ci siano vecchi amici, la violenza è stata subita, e non può non tornare ancora una volta. E se anche dovesse fallire totalmente il bersaglio, non importa più di tanto perché è comunque stata una dimostrazione di forza, una prova della volontà di non accettare che una violenza subita possa restare impunita. Si gioca dunque in questi termini la scena più sconvolgente del film, quando la moglie di Jimmy lo conforta, lo giustifica in toto, lo approva per quello che "ha dovuto fare" in nome della figlia assassinata (anche se è stato un errore, uno sbaglio, una violenza gratuita che non doveva essere compiuta).
Il messaggio di Eastwood, in questo film crudo e angosciante dall'inizio alla fine, sembra dunque essere inconfutabile: l'innocenza strappata e la violenza che si subisce devono ritornare a loro volta, perché sono molto più forti dei sentimenti "buoni" di amicizia con cui si cerca di tirare avanti. E così la famiglia, invece di essere luogo di armonia e felicità, diventa un rifugio dove si alimentano le tensioni esterne, a giustificazione delle quali si possono commettere anche sbagli enormi.
Tutti i personaggi del film hanno subito la violenza e la hanno rimessa in pratica, tutti sono forti e deboli allo stesso tempo (e a pensarci bene l'unico veramente forte alla fine sembra essere quello più inaspettato, Dave), e la sconcertante e ambigua scena finale di Sean che "finge di sparare" a Jimmy, sembra proprio dimostrare che non ci sono né vincitori né vinti, e che non possono esserci se la forza deve essere il metro di paragone delle proprie gesta.
Eastwood dal canto suo è molto preciso nel dirigere la storia, con una fotografia e una mobilità di ripresa che sanno sempre prestarsi al suo scopo narrativo. Suggestive le diverse riprese dall'alto che ci danno un quadro della città della East Coast in modo perfettamente coerente con lo stile narrativo del romanzo di D. Lehane, da cui il film è tratto.
Ma a rendere questo film un capolavoro, e non semplicemente un bel film, contribuiscono immancabilmente i tre straordinari attori (tra i quali spicca un sempre più eccellente Sean Penn), chiamati ad un lavoro decisamente arduo e il cui merito nella ricostruzione dei traumi personali è indubbiamente molto elevato. Essi riescono perfettamente a plasmare una storia angosciosa e angosciante, nella quale il male (trasposto perfettamente e senza mezzi termini né facilonerie sullo schermo) dà un senso di ineluttabilità e, ancor peggio, di "normalità", per il modo in cui i sentimenti postivi sono soppiantati dalla violenza.
MYSTIC RIVER
(USA, 2003)
Regia
Clint Eastwood
Sceneggiatura
Brian Helgeland
Montaggio
Joel Cox
Fotografia
Tom Stern
Musica
Clint Eastwood, Lennie Niehaus
Durata
137 min