Negli abissi della carne: per un'analisi del corpo ferito nel film Crash di David Cronenberg
di Sarah Rezakhan
Esiste da sempre una forte correlazione simbolica che lega attraverso un unico filo rosso l'immagine cinematografica a quella proveniente dall'iconografia delle cosiddette arti visive. Ed è in particolare con l'esperienza pittorica e fotografica che la sequenza filmica istituisce il legame più profondo, tanto da essere stata definita, a ragione, "pittura dinamica" e "fotografia in movimento". E' pertanto possibile analizzare alcune delle tematiche emergenti dai testi cinematografici sulla base dei concetti portanti che sono all'origine di molte forme artistiche del nostro tempo. Ciò è particolarmente evidente per quanto riguarda un film come Crash (Crash, 1996) di David Cronenberg, dove il forte richiamo alla più pura carnalità, alla materialità dei corpi e all' autolesionismo appare un chiaro riferimento alle forme più estreme di Body Art. Sulla scorta di tali considerazioni risulta dunque possibile, e non privo di senso, portare avanti un'analisi del corpo ferito e del significato che esso assume in un' opera come Crash, nonchè dei legami simbolici che tale film stabilisce con gli esempi d'arte estrema provenienti dalle più note performance artistiche della contemporaneità. La storia dei coniugi Ballard e degli altri personaggi con cui essi vengono a contatto, infatti, non solo ci descrive la perpetua quanto vana ricerca del piacere sessuale perpetrata attraverso modalità sadomasochiste e volutamente auto-distruttrici quali la visione e il contatto con corpi feriti, tumefatti e incidentati, ma costituisce una vera e propria riflessione sul significato della ferita e della morte a livello psicologico-filosofico. Non solo dunque una mera serie di sequenze erotiche e incidenti stradali[1], ma anche e soprattutto un forte contributo al tema dell'instabilità dell'essere[2]. Tutti i personaggi del film di Cronenberg, infatti, appaiono fondamentalmente incerti riguardo a se stessi e all'universo che li circonda[3] e tutte le azioni di cui risultano attori possono essere interpretate nel segno di una ricerca disperat a della propria identità o, come nel caso di Vaughan, della propria immortalità. Il simbolo estremo di questo perpetuo cercare ed interrogarsi è presente a livello strutturale nella gestione stessa dell'intero film, organizzato non mediante progressione diegetica (come sarebbe previsto da uno sviluppo narrativo di tipo lineare) ma attraverso l'accumulo e la giustapposizione di scene ed azioni in una ripetitiva e quanto mai ossessiva circolarità spazio-temporale, simbolicamente paragonabile allo streben goethiano dell'individuo che anela al raggiungimento della consapevolezza di sé e della realtà sociale in cui si trova immerso. Ma la ripetizione e il continuo girare su se stesso del film nasconderebbero, in realtà, un ulteriore e molto più profondo livello di senso direttamente riconducibile alla pratica dell'autolesionismo che è costante dell'intero film. Infatti in un mondo senza Storia, condannato all'eterno ritorno dei medesimi gesti, solo il trauma ( inteso in questo caso nel suo senso letterale di ferita, lacerazione, spaccatura), il "crash", lo scontro, l'impatto riuscirebbe ad essere un vettore residuale di storie e a ridisegnare un prima e un dopo sulla mappa stinta del tempo[4]. Ecco dunque che la ferita auto-inflitta finirebbe in questo caso per assumere un forte valore destabilizzante nei confronti di una società nichilista e fortemente disinteressata a tutto ciò che di grave accade nel mondo, in maniera non dissimile da quanto avviene nelle performances dell'artista contemporanea Gina Pane. Come lei, infatti, anche i protagonisti di questo horror fisico-sessuale pieno di escoriazioni, cicatrici, corpi mutilati, incidenti in tempo reale ripresi senza le angolazioni multiple e la slow-motion hollywoodiana[5], fanno del proprio corpo un uso provocatorio e sovversivo, con il chiaro intento di scandalizzare e denunciare la situazione di anestetismo collettivo[6] che sembra caratterizzare la società postmoderna. E' come se questa apparente combriccola di pazzi (e Cronenberg con essa) volesse servirsi dell 'intenso effetto di sconvolgimento che da sempre in campo artistico si riconosce all'esibizione di un corpo piagato e alla messa in scena di una condizione materialmente dolorosa[7], per colpire con violenza lo spettatore e, attraverso questo secondo trauma, risvegliare la sua coscienza dall'apatia e dall'alienazione. Consapevole dunque del fatto che la parvenza della sofferenza espressa da un corpo rappresentato ferito o contuso provoca empatia[8] e conscio di come basti poco per restare inorriditi di fronte alle ferite di una carne che cede e si apre come la nostra[9], Cronenberg realizza in quella che può essere definita un'algida ecografia dell'urto e del contatto, effettuata su corpi che raramente sembrano sorridere o godere, e che più spesso assumono espressioni dolenti e sofferte[10], la sua riflessione intellettuale su un universo programmatico e senza significato, in cui solo la ferita, la cicatrice, il tatuaggio sottraggono il corpo al dominio della natura e lo riportano nell'alveo della storia, caricandolo di vissuto e di memoria[11]. L'esperienza della ferita e del corpo lacerato, dunque, può essere interpretata in Crash anche come l'unico modo per attestare l'autenticità della propria esistenza in un mondo che ha da tempo cessato di essere antropocentrico[12]. Come afferma anche lo psicologo U.Galimberti, infatti, ogni cicatrice è una traccia incancellabile, un ostacolo all'oblio, un segno che fa del corpo una memoria. Le ferite che si sedimentano sulla pelle dei protagonisti costituiscono dunque una sorta di diario di viaggio; cicatrici, ferite ed ematomi diventano una mappa disegnata sul corpo, rappresentazione di una geografia interiore di territori mentali che attraversano la cultura contemporanea[13]. E' questo il motivo per cui Vaughan fa tatuare il suo corpo, perché sa che solo quando è scritto ogni corpo può essere letto, compreso e amato[14], ed è questo il motivo per cui tutti i personaggi del film trovano molto più eccitanti i corpi quando questi appaiono feriti, storpiati e ricostruiti p iuttosto che "normali"[15]. Ma è proprio nella figura di Vaughan e nelle sue dissertazioni sull'artisticità di fondo connaturata agli incidenti stradali, che il tema della ferita auto-inflitta si apre ad ulteriori ed interessanti interpretazioni. Nonostante infatti sia Ballard ad esserci presentato come protagonista, il vero personaggio chiave del film è in realtà proprio Vaughan. Egli è l'unico vero artista che domina la scena, è lui il vero regista del (e nel) film, è lui che colleziona foto e trasforma in immagini incidenti e atti sessuali, è ancora lui che come un demiurgo orchestra spettacoli in cui si ricreano[16] gli incidenti d'auto in cui persero la vita personaggi celebri. Da una tale constatazione emergono almeno tre punti su cui concentrare l'attenzione. Innanzitutto Vaughan ci viene descritto come un individuo che in preda a un forte accesso di megalomania s'identifica con Dio e si fa portavoce di una nuova sessualità caratterizzata dal radicale rimodellamento del corpo umano da parte della tecnologia[17]. Questa sua tendenza ad immedesimarsi con la divinità risulta molto comprensibile proprio alla luce degli allestimenti rievocativi che realizza e di cui ha il pieno controllo. In questo caso, dunque, la pratica autolesionista può essere interpretata tramite quell'atteggiamento di difesa che Freud definisce di "conversione nell'opposto" e che condurrebbe l'individuo a trasferire un dolore che gli deriva da una condizione apparentemente non modificabile in uno spazio fisico momentaneamente controllabile del quale è il soggetto stesso a determinare la durata e l'intensità[18]. Tale spazio fisico sarebbe rappresentato, nel caso specifico, dalla piana dove Vaughan allestisce i propri spettacoli e dove, trovandosi continuamente di fronte alla morte, egli tenterebbe di vincerne l'ineluttabilità attraverso la sua rielaborazione, consacrando così la propria immortalità nell'opera di cui è creatore assoluto. Crash fa dunque compiere al suo personaggio principale il gesto blasfemo per eccellenza, quello che tutte le teologie e le religioni, così come tutti i pensieri autoritari, hanno sempre bandito con orrore: la rivendicazione del diritto a riappropriarsi della vita scegliendo come e quando farla finire[19]. Crash prospetta dunque nell'enigmatica figura di Vaughan-Dio-artista una delle ultime forme di rivolta possibile per l'uomo: il rifiuto di farsi dominare dalla natura (dal tempo, dalla vecchiaia, dalla malattia) per riprendere in mano le redini del proprio destino. Riprendersi la morte e godere nel farlo[20], dunque.
Il secondo elemento su cui è necessario concentrare l'attenzione relativamente alla figura di Vaughan è costituito dalle fotografie che egli scatta alle vittime degli incidenti e alle loro ferite. Si tratta, in realtà, non di singole immagini ma di un vero e proprio archivio attraverso il quale accedere a quella che è la nuova visione del corpo e della sessualità[21] teorizzata da Vaughan. Le fotografie che ci vengono mostrate, infatti, (veri e propri close up che tendono a isolare e oggettivare la ferita fino a reificarla completamente, quasi come si trattasse delle fredde e asettiche tavole anatomiche di un libro di medicina), trasformano l'immagine nei frammenti di se stessa rendendola un vero e proprio "broken mosaic", capace di delineare nuove geometrie erotiche tra corpo e macchina[22] nonché di veicolare la riflessione di Crash sulla società dei consumi che, attraverso la creazione di un sistema di simulacri e la loro amplificazione mediatica, crea una realtà finta, duplicazione di quella reale. Così il corpo frammentato all'infinito dei collages di Vaughan non è un corpo reale ma amplificato e visto in iper-dettaglio, che diventa oggetto, puro strumento di eccitazione nella sua intersezione con la carrozzeria. La sessualità che deriva dalle visioni frammentarie delle foto non nasce quindi dal corpo fisico, reale, ma dal suo mutarsi, contaminarsi con la macchina; una visione mediata dalla lente dell'obiettivo, riflessa dalla foto, vista da una prospettiva che trasforma la porzione di corpo riprodotta in un simulacro, feticcio seriale dell'impatto[23]. Ecco dunque delinearsi anche il terzo e ultimo aspetto degno di nota che emerge dalla concezione "Vaughiana" del corpo ferito e attorno al quale tutto il film sembra ruotare: lo stretto legame che intercorre tra sesso, incidenti stradali e creazione artistica. Ciò è ben chiaro se si tiene conto della spiegazione che circa a metà film Vaughan fornisce a Ballard per renderlo partecipe della propria esperienza mistica. Dopo aver infatti definito la dinamica di un incidente stradale come la massima opera d'arte, Vaughan rivela che un incidente stradale è un evento legato alla fertilità anziché alla distruzione[24]. Si tratterebbe infatti di una liberazione di energia sessuale capace di trasmettere la sessualità di quelli che sono morti con un'intensità che è impossibile in ogni altra forma[25]. Ecco dunque che la ferita finisce con l'assumere un valore archetipico connesso alla vita, alla rigenerazione, alla fertilità[26], direttamente riconducibile in campo artistico all'esperienza della celebre Frida Kahlo. E paragonabile alla figura stessa di Frida è uno dei personaggi principali del film, Gabrielle. Essa rappresenta l'incarnazione di quella nuova sessualità profetizzata da Vaughan e indissolubilmente legata alla deformazione fisica che vede nella fusione tra il corpo e la tecnologia l'apice dell'erotismo. La vistosa protesi che porta alle gambe, segno indelebile delle lesioni riportate in un incidente, oltre a ricordarci l'immagine di Frida così come ci appare in La colonna spezzata, è soprattutto lì per dimostrarci che lungi dall'essere simbolo di sofferenza il corpo della donna è invece simbolo di una sessualità potente, provocante e provocatoria[27]. Tale punto di vista che vede nell'impatto del corpo con la tecnologia una fonte di erotismo più che di sofferenza, è fortemente espresso in campo artistico dalle opere illustrative di Trevor Brown. Il corpo delle tavole illustrate dei personaggi di Trevor Brown, infatti, così come quello di Gabrielle, nonché le loro mappe di cicatrici e ferite rappresentano un netto rovesciamento dei principi morali ordinari che vedono nel corpo mutilato o handicappato un simbolo di debolezza, laddove esso rappresenterebbe invece il grado massimo di eccitazione, in quanto corpo potenziato, espanso dall'unione con la tecnologia e i materiali prostetici[28].
Molto altro ci sarebbe da aggiungere su un'opera così complessa come Crash e sui diversi livelli di senso che essa sembra stabilire in ogni ambito mediale, tuttavia sulla base di tali e diversificate considerazioni risulta già possibile dare una definizione di Crash come di una riflessione sulle zone più oscure dell'interiorità[29] dell'uomo perpetrata attraverso ciò che di più importante l'uomo possegga: il proprio corpo e la sua lacerazione. Il tema della ferita,come abbiamo avuto modo di constatare, viene da Cronenberg analizzato secondo molteplici percorsi di ricerca, al confine con quella benigna psicopatologia della distruzione evocata da Vaughan all'inizio del film. E, come tale, Crash è tutto e allo stesso tempo non è nulla. Nitido e astratto, è uno splendido film di fantascienza interiore. Ha uno sguardo nichilista che dà i brividi. E si attorciglia attorno a un "nulla" che intimamente ci riguarda[30].
NOTE:
[1] Serge Grunberg, David Cronenberg, Shake edizioni, Milano, 1999, p.134.
[2] Ibidem, p.132.
[3] Ibidem, p.132.
[4] Gianni Canova, David Cronenberg, Il Castoro, Milano, 2000, p.114.
[5] John Costello, Tutti i film di David Cronenberg, Lindau, Torino, 2001, p.102.
[6] Sara Ugolini, L'anima ferita dell'artista e le ferite dell'autoritratto, in Stefano Ferrari, Autoritratto, psicologia e dintorni, Clueb, Bologna, 2004, p.85.
[7] Ibidem, p.104.
[8] Ibidem, p.104.
[9] Ibidem, p.104.
[10] Gianni Canova, op. cit., p.111.
[11] Ibidem, p.113.
[12] Ibidem, p.115.
[13] Valentina Fenga, Crash: il corpo come intersezione tra scrittura e immagini, http://www.griseldaonline.it/percorsi/3fenga.html.
[14] Gianni Canova, op. cit.,p.113.
[15] Ibidem, p.113.
[16] Ibidem, p.113.
[17] Ibidem, p.113.
[18] Sara Ugolini, op. cit., p.88.
[19] Gianni Canova, op. cit., p.115.
[20] Ibidem, p.115.
[21] Valentina Fenga, op. cit. http://www.griseldaonline.it/percorsi/3fenga.html.
[22] Ibidem.
[23] Ibidem.
[24] Citazione dal film "Crash" di David Cronenberg.
[25] Ibidem.
[26] Sara Ugolini, op. cit. p.100.
[27] Valentina Fenga, op. cit. http://www.griseldaonline.it/percorsi/3fenga.html.
[28] Ibidem.
[29] Ibidem.
[30] Gianni Canova, op. cit. p.116.