Il meglio di una gioventù: dalla coralità
negata all’epopea borghese
di Francesco Zucconi
L'intera carriera cinematografica di Marco
Tullio Giordana è profondamente segnata dalla lezione
di Pier Paolo Pasolini. Come è facile notare, ne La
meglio gioventù un omaggio al poeta friulano è
presente fin dal titolo, nonostante un rapido calcolo anagrafico
ponga subito in evidenza uno scarto significativo. La "meglio
gioventù" di Giordana, infatti, non coincide con
quella "cantata" da Pasolini: per il primo si tratta
della generazione nata immediatamente dopo la fine della seconda
guerra mondiale, il secondo, nell'omonima raccolta di poesie,
allude invece all'arcaica genuinità contadina prebellica.
La felice espressione proviene, in realtà, da una canzone
popolare in voga tra gli alpini: sul ponte di Bassano / bandiera
nera / la meglio gioventù / va soto tera. Dagli alpini
a Pasolini, fino al film di Giordana, il "motto" la
meglio gioventù trova oggi uso ed abuso come titolo
ad effetto per articoli di giornale, riviste e pubblicazioni
varie, che ne disperdono ed inflazionano il senso. Il passaggio
dell'espressione da una generazione all'altra e l'intangibilità
della sua "bellezza" come sintesi poetica di qualcosa,
dovrebbe prima di tutto stimolarci a re-indagarne e aggiornarne
consapevolmente il senso. Se nel Pasolini degli anni Settanta
il termine meglio si riferiva già ad un passato
mitico ed estinto a cui opporre il degrado del presente (1),
in Giordana la formula poetica assume, invece, una valenza specifica
che invita a riflettere su quanto di migliore possa essere
rintracciato nello spirito di quella generazione che, con il
Sessantotto, ha segnato profondamente l'evoluzione del paese.
All'interno del film, l'atteggiamento innovatore
è rappresentato orgogliosamente da Nicola, personaggio
tanto equilibrato da mantenersi coerente ad una condotta illuminata
dall'inizio alla fine della storia, senza cadere per l'impatto
violento con la rigidità delle istituzioni (è
il destino assurdo di Matteo) e senza scambiare le proprie idee
con le ideologie dogmatiche e intransigenti di quella che una
pubblicazione recente ha chiamato "la peggio gioventù"
(2). Tutto inizia nel 1966: "il massiccio afflusso di giovani,
ragazze e ragazzi, spesso gruppi di amici accorsi spontaneamente
a Firenze da ogni parte d'Italia a protezione della città
e del suo patrimonio artistico […] mostra all'Italia una immagine
inedita dei giovani […]. L'attiva presenza dei giovani assurge
a notorietà nazionale mostrando l'intreccio virtuoso
di una forte coscienza civile unita all'appartenenza e alla
coscienza di generazione" (3). Una sequenza in particolare
del film si pone come vera e propria icona dello spirito di
forte impegno sociale, maturato attraverso un operato corale
e quotidiano: è l'apertura dell'episodio fiorentino,
dove un lungo movimento indietro della macchina da presa segue
il passaggio di mano in mano di un antico manoscritto salvato
dal fango che ha invaso gli Uffizi. La gioventù è
unita da un gesto nobile nella volontà di salvare qualcosa
di antico, ma avvertito come proprio. Se si trascura che l'evento
storico è utilizzato come pretesto narrativo per ricongiungere
i destini dei personaggi (astuzia di sceneggiatura che si ripeterà
più volte nel corso del film), si può notare come
la sequenza fiorentina sia l'unica veramente epica all'interno
del film. Nicola, Matteo (già poliziotto), Giulia, Carlo,
Berto, tutti si ritrovano o incontrano per la prima volta qui.
Il denominatore comune all'impresa fiorentina è costituito
dall'essere giovani, le categorie sociali che i vari
personaggi incarneranno non sono ancora, a questo livello storico
(e diegetico), determinate o determinanti. I fratelli Carati
e tutti gli altri sono "figure tipiche" di quella
gioventù che a partire dal Sessantasei cercò di
aprire davanti a sé la prospettiva epica di un mondo
da cambiare, di un futuro da costruire, di un senso ancora da
farsi. La particolare natura della comunità giovanile,
di derivazione opposta a quella politico-sociale, consente l'affermazione
di un gruppo unito, di una collettività contro un nemico
esterno e non socialmente antagonista (4). Il gruppo
giovanile, che sarà individuato come gruppo sociale soltanto
a posteriori, sembra l'unico a poter garantire l'affermazione
di un'epopea diversa da quella borghese, che deve invece fare
i conti con la frammentazione della collettività in classi
sociali. Spostando l'attenzione su un modello esplicito del
film di Giordana, si nota come anche in Heimat 2 di Edgar
Reitz (dove l'affermazione epica non è qualcosa di episodico
e dovuto a fattori contingenti come ne La meglio gioventù),
la volontà di costruire un regno, di edificare una seconda
heimat sia anche la cronaca di una giovinezza che
rifugge le categorie sociali e rifiuta l'inserimento nei meccanismi
della società borghese.
Nella sequenza fiorentina de La meglio
gioventù la macchina da presa di Giordana mostra
alcuni totali della Galleria Vasariana. La città è
ridotta ad un ammasso di rottami infangati e i giovani sperimentano
la propria vitalità nell'occasione offerta da una calamità
naturale di agire su un ambiente sottratto all'ordine delle
istituzioni. Sono germi in relazione ad un ambiente
(5): tanto più gli smottamenti avranno liberato le "virtualità"
della terra, quanto più l'"attualità"
dei giovani sarà capace di inseminare l'ambiente. L'apparizione
delle signorine Riccobaldi, con i loro cappottini color arancio,
rappresenta invece l'immagine della società nobiliare
o alto borghese all'interno di uno spazio che ne rivela altresì
la dimensione teatrale. L'intera sequenza del dono dei panini
è caratterizzata dall'atteggiamento ironico e giocoso
dei giovani nei confronti delle signorine e del servitore,
fino a quando il tema musicale non relega tutti al fuori campo,
spettatori dell'avvicinamento tra Giulia e Nicola, che apre
verso il seguito della storia. Nella sequenza immediatamente
successiva siamo già a Torino, anno 1968. Le voci off
dei giovani in rivolta, già percepibili nel totale della
città, sembrano essere la continuazione di quella coralità
che aveva caratterizzato il Sessantasei fiorentino, ma possiamo
in realtà notare la prima frammentazione: i celerini
sono diventati i nemici, la minaccia, e non c'è più
alcuna comunione d'intenti. A partire da questo punto, il film
si ricolloca sul binario da cui era partito: l'ambiente familiare
borghese con cui si apre La meglio gioventù, e
al quale si fa più volte ritorno, è il nucleo
del movimento centrifugo che porta i personaggi a relazionarsi
col mondo secondo la propria forza individuale e sociale. Il
sogno di un'azione corale, sfiorato nel Sessantasei, lascia
il posto al susseguirsi degli eventi, alle "gesta"
dei personaggi che freneticamente, secondo i ritmi imposti dalla
società, danno vita ad una "epopea borghese".
Nel corso del film la coralità va lentamente sfumando
nella fiducia nel quotidiano lavoro riformista dei singoli che
operano dentro le istituzioni. Le figure tipizzate dei personaggi
si fanno carico di esibire quanto di migliore o peggiore sia
rimasto nel singolo individuo o nell'intera categoria da loro
stessi connotata. In particolare, i personaggi di Nicola, Giovanna,
Carlo e Vitale, danno vita ad una "epica dell'azione":
si inseriscono nel flusso degli eventi, si oppongono agli abusi
e alle sopraffazioni, tanto da parte del potere (dal caso degli
istituti psichiatrici a mani pulite), quanto dei terroristi.
La tipicità dei personaggi e delle
azioni è tesa a edificare una forma di epos in cui "attraverso
il destino individuale si manifestano i tratti essenziali dell'essere
storico-concreto di una data forma sociale" (6). Le teorie
di György Lukàcs, che criticava Zola accusandolo
di perdersi troppo nella descrizione degli ambienti e delle
circostanze a scapito dell'azione, sembrano adattarsi ancora
bene ad un film come La meglio gioventù. I limiti
attuali della teoria di Lukàcs si nascondono immediatamente
dietro i profili cartonati dei personaggi "tipici"
o "esemplari" che certe narrazioni propongono, rendendosi
incapaci di penetrare la realtà. A scapito delle figure
eroiche, auspicate da Lukàcs stesso, Deleuze mette in
risalto le potenzialità dei personaggi marginali, passivi,
caratterizzati dalla "debolezza dei concatenamenti motori",
poiché "i legami deboli sono adatti a liberare grandi
forze di disintegrazione" (7). La banalità delle
situazioni quotidiane, i tempi morti, l'inibizione motoria a
vantaggio della pura facoltà visiva del personaggio,
si caricano dunque di una grande forza di penetrazione della
realtà e della Storia. Ne La meglio gioventù
la necessità di un contatto diretto del personaggio con
il "fatto", per far emergere la situazione, mostra,
con lo scorrere del film, la sua debolezza interna. Nicola,
Giovanna, Giulia sono tutti personaggi di finzione all'interno
di scene ricostruite in una profondità di campo che,
insieme all'utilizzo di apparecchiature di ripresa "leggere",
crea l'illusione di una cronaca del presente. Gli ambienti,
le situazioni e i personaggi sono però costruiti attraverso
la consapevolezza retrospettiva fornita da uno sguardo a posteriori
su quel contesto. Ciò non può che indebolire l'affermazione
stessa dell'epos se è vero che "Il mondo epico è
compiuto totalmente non solo come evento reale di un passato
lontano, ma anche nel suo senso e nel suo valore: non lo si
può mutare, né reinterpretare, né valutare.
[…] È questo a determinare l'assoluta distanza epica.
[…] Questa distanza esiste non soltanto rispetto al materiale
epico, cioè agli eventi e agli eroi raffigurati, ma anche
rispetto al punto di vista da cui essi sono considerati
e alle valutazioni che ne sono date; il punto di vista e la
valutazione si sono saldati con l'oggetto in un tutto inscindibile"
(8).
Da un lato il percorso della narrazione
assume dunque l'aspetto di un conto alla rovescia verso l'attuale
presente storico, in un progressivo e sistematico annullamento
della prospettiva epica, dall'altro il volume dell'inquadratura
(situazioni, costruzione dei personaggi, ambienti…) è
modellato da un punto di vista che pone tra sé e il "materiale
epico" un filtro deformante che produce stereotipi. L'arrivo
ai limiti della storia storicizzata (il dibattito sul terrorismo
è in realtà ancora aperto), si trasforma in una
battuta d'arresto da parte della narrazione. Il meccanismo dei
personaggi tipici indicato dallo stesso Lukàcs mostra,
all'interno de La meglio gioventù, la sua debolezza
nell'incapacità di affrontare la Storia recente in modo
frontale, o in qualche maniera "trasfigurandola".
D'altronde, già ne L'immagine-tempo, Gilles Deleuze
ha marcato le difficoltà della critica marxista ad individuare
negli aspetti "visionari" del cinema una grande presa
sul reale a scapito della proliferazione dei cliché (9).
Potenzialità invece ben note a molti maestri del cinema
italiano, che della sensibilità per la banalità
del quotidiano (la scuola neorealista) e delle deformazioni
grottesche del reale (Petri, Ferreri, Bene) hanno fatto la propria
cifra stilistica.
Note:
(1) Nel 1974 Pasolini inizia a riscrivere le poesie de La
meglio gioventù per segnare il contrasto tra la realtà
giovanile prima della "rivoluzione antropologica"
e quella ormai corrotta dai meccanismi della società
dei consumi degli anni sessanta. Per le riflessioni di Pasolini
sull'evoluzione della società italiana si veda P. PASOLINI,
Scritti corsari, Garzanti, Milano 1990.
(2) V. MORUCCI, La peggio gioventù. Una vita nella
lotta armata, Rizzoli, Milano 2004.
(3) A. CAVALLI, C. LECCARDI, Le culture giovanili, in
AA.VV, Storia dell'Italia repubblicana, III, 2, Einaudi,
Torino, pp. 761-762.
(4) Lukàcs, partendo dai rapporti tra individuo e società
nell'epos omerico, osserva invece l'impossibilità nella
società borghese di concretizzare una narrazione che
mostri una coralità e comunione d'intenti al di là
delle distinzioni sociali. G. LUKÀCS, Il romanzo
come epopea borghese, in G. LUKÀCS, M. BACHTIN e
Altri, Problemi di teoria del romanzo, Einaudi, Torino
1976, pp. 144-145.
(5) Quello tra germe e ambiente è uno degli aspetti del
circuito cristallino in G. DELEUZE, L'immagine tempo,
Ubulibri, Milano 1989, pp. 85-86: "Quale sarà il
germe capace di seminare l'ambiente..? Oppure, nonostante lo
sforzo degli uomini l'ambiente resterà amorfo, mentre
il cristallo si svuota della propria interiorità e il
germe è solo un germe di morte, malattia mortale o suicidio?".
(6) G. LUKÀCS, Il romanzo come epopea borghese,
Einaudi, Torino 1976, p. 144.
(7) G. DELEUZE, L'immagine-tempo, Ubulibri, Milano 1989,
p. 31.
(8) M. BACHTIN, Estetica e romanzo, Einaudi, Torino 1979,
p. 459.
(9) G. DELEUZE, L'immagine- tempo, Ubulibri, Milano 1989,
pp. 30-31.