Cézanne. Conversation avec Joachim Gasquet: un problema di definizione
di Marco Muscolino
Le più recenti storie sociali dei media indicano il cinema come l'esperienza novecentesca che coniuga in modo esemplare arte e comunicazione. La più aggiornata teoria dei generi cinematografici (cfr. Rick Altman, Film/Genere) condivide questo approccio e studia i generi come frutto di rapporti negoziali tra diversi agenti sociali. Cinema come arte, cinema come medium, dunque. Premesso ciò, prendiamo Cézanne. Conversation avec Joachim Gasquet (Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, 1989), un film che, in via preliminare e approssimativa, definiamo come appartenente al genere "cinema e pittura", e cerchiamo di rispondere alla seguente domanda: cosa ha a che fare questo film con la teoria dei generi altmaniana? Innanzitutto possiamo dire che Cézanne ha modi di produzione, forme di consumo e modalità di rappresentazione che difficilmente si coniugano col modello altmaniano. In altre parole, Cézanne non ha visibilità, non ha pubblico (né critica) e presenta delle forme, per così dire, insolite (questi tre aspetti sono separabili solo in sede di astrazione analitica). Cézanne sembrerebbe non entrare in alcun modo nel circuito dei discorsi sociali e dunque sembrerebbe non partecipare alla (ri)definizione di nessun genere e, soprattutto, sembrerebbe negare l'idea di cinema come medium.
Ma procediamo con ordine, tentando dapprima una scomposizione testuale che metta in luce i modi rappresentativi del film. Il film si costruisce a partire dal testo di Joachim Gasquet (Ce qu'il m'a dit) che mescola la corrispondenza avuta con Paul Cézanne e i ricordi di conversazioni avvenute tra il 1896 e il 1900. Straub e Huillet riproducono il testo, leggendo con le loro voci una selezione di brani, e riescono così, attraverso questa operazione critica, a parlare in maniera personale, pur servendosi di citazioni. Alla lettura di questo testo si accompagna una selezione di immagini che riproducono il reale fenomenico (i materiali "di realtà": le due inquadrature iniziali di Aix-en-Provence con i rumori del traffico registrati in sincrono; due vedute della Sainte Victoire; una veduta dell'atelier parigino di rue Hégésippe Moreau occupato da Cézanne negli ultimi anni di vita) e altri testi "culturali" (i materiali provenienti dalle altre forme d'arte). Il film alterna così: tre ritratti fotografici di Cézanne, dieci inquadrature con altrettante tele del pittore francese - riprodotte con la loro cornice - e due inserti cinematografici tratti rispettivamente da Madame Bovary (Jean Renoir, 1933) e La morte di Empedocle (Straub e Huillet, 1987). Cézanne, dunque, è un film in cui Straub e Huillet "adattano". Eppure non c'è traccia di strategie testuali cui si è tradizionalmente abituati. Cézanne è un film che si esibisce come testo secondo, come testo che si produce a partire da altri testi antecedenti (cinema, pittura, letteratura). Cézanne attiva una duplice intertestualità: l'una interna (il film dialoga con il cinema), l'altra esterna (il film dialoga con il testo di Gasquet, i ritratti fotografici di Cézanne, la pittura di Cézanne). I materiali messi in gioco conservano la loro autonomia e sono giustapposti in una serie associativa che li separa dalle loro serie culturali originarie. Questo procedimento produce un tessuto di interferenze che ricorda da vicino il figurale di Jean-François Lyotard (cfr. Discorso, Figura), cioè una forma che si pone al di fuori della rappresentazione tradizionale. Vediamo come e perché.
Diceva Cézanne a Gasquet che nessuno aveva mai guardato la montagna che egli era andato a dipingere in Provenza, la Sainte Victoire: gli abitanti del posto avevano visto la montagna e ne conoscevano ogni dettaglio, senza però essere mai riusciti a guardarla. Cézanne parla cioè di "vedere" e "guardare" come due diversi modi di rapportarsi all'oggetto, l'uno finalizzato al riconoscimento, l'altro aperto alla visione. In questo senso Cézanne è un film "alla Cézanne" perché Straub e Huillet recuperano, attraverso la riproposizione della veduta Lumière, il mistero dell'immagine, così come Cézanne dà visibilità agli aspetti sconosciuti degli oggetti. Il film assume cioè una serie di problematiche epistemologiche relative alla possibilità di dare un senso alle cose e al mondo che lo apparentano strettamente alla pittura: Cézanne rielabora interrogazioni che la pittura (proprio da Cézanne in poi) ha eletto a problemi fondamentali. Il regime testuale del film, tornando a Lyotard, è, come nella pittura di Cézanne, un regime figurale. In virtù di questo il film è escluso dal dominio del discorsivo e impedisce l'attivazione della discorsività secondaria, quella comunicazione laterale di cui parla Altman, che riguarda la relazione dello spettatore con altri spettatori. Detto altrimenti, il predominio della Figura, intesa come forza irriducibile al discorsivo, preclude agli spettatori di Cézanne l'ingresso in una qualche comunità e la conseguente partecipazione a un eventuale processo di generificazione.
Quanto detto finora farebbe di Cézanne (e dei film che appartengono alla stessa famiglia) un film che nega l'idea di cinema come medium. E non si pensi che quello di Cézanne sia un esempio estremo: di film così (dove il vero protagonista è lo stile, direbbe Pasolini) è piena la storia del cinema. Forse è più giusto dire che, così come nel modello comunicativo jakobsoniano esiste una gerarchia tra i vari fattori che genera una conseguente gerarchia nelle funzioni corrispondenti, allo stesso modo, in un film, a fronte di una forte dimensione estetica, la dimensione comunicativa può risultare particolarmente tenue (e viceversa). In questo senso, con Cézanne, l'applicabilità della teoria altmaniana risulta minima, se non nulla. Ma, ci insegna Altman, quella dei generi è una realtà in divenire che impedisce la formulazione di conclusioni. Dunque queste considerazioni non hanno che un valore ipotetico e provvisorio. Non è escluso che l'approccio culturologico altmaniano, oggi attento soprattutto alle ricorrenze tematiche e narrative, possa domani includere film come Cézanne, attualmente sprovvisti di elementi per qualificarsi in un genere, in nome di una comune e riconoscibile appartenenza a determinate categorie stilistiche.