1982/1992: gli anni d’oro del cinema Splatter
di Alessio Gradogna
Il decennio che va dal 1982 al 1992 segna, nel campo del cinema estremo, l'avvento totalizzante e provocatorio dello splatter-gore come principale polo d'attrazione dell'horror movie.
L'oggetto di rappresentazione profilmica si sposta all'interno del contesto familiare spesso privato di ogni componente aliena, la mostruosità si decompone nel corpo umano ridotto in perenne strumento di compiaciuta autopsia, il limite del buon gusto è superato a vantaggio della provocazione e dell'ilarità, e la sperimentazione si avvia a divenire norma elevando a picchi mai raggiunti prima l'obiettivo del disgusto e del colpo inferto all'occhio (e allo stomaco) dello spettatore. "Con il cinema splatter l'orrore vive nel corpo profano e profanabile, cresce come un cancro sotto la pelle, fa incrinare e apre la carne. La carne torturata e straziata viene esposta in ogni dettaglio, via via che cresce l'attenzione per il corpo, oggetto di un'attrazione al limite della morbosità nonché (perché) ormai sede e simbolo di tutte le fobie contemporanee…Il grande sconosciuto non è più l'Altro, ma il Corpo con le sue insondabili regole interne " (Roberto Nepoti in The Body Vanishes, Torino, Lindau, 2000, pp. 36-37).
Per alcuni anni lo splatter cresce d'intensità e atomizza se stesso, tiene ben salda la lezione agli albori di Herschell Gordon Lewis (convenzionalmente indicato come iniziatore del filone attraverso titoli ad alto contenuto grandguignolesco quali Blood Feast, 2000 Maniacs, Color Me Blood Red, The Gruesome Twosome e Gore Gore Girls, film a basso costo intesi proprio a smitizzare il vigente modello di cinema puritano, limpido e formale), successivamente di George A. Romero, e della singola ma imponente espressione rivoluzionaria di Evil Dead (La casa, 1982) di Sam Raimi, vero e proprio capostipite di una nuova tendenza che nel parossismo e nella repellente ilarità trova il fulcro di esplosione verso l'annientamento di ogni pudore ottico, per protrarsi verso la degenerazione di ogni componente narrativa, relegando in secondo (o terzo) piano la credibilità e riportando in auge il valore del regista artigiano in grado, con budget limitatissimi, di creare film oggetto di vero e proprio macabro culto per una folta e sincera schiera di appassionati.
Siamo certo lontani dall'innovazione stilistica che negli anni '60 aveva visto porsi Roger Corman, Terence Fisher e i nostrani Mario Bava e Riccardo Freda come paladini di una concezione tecnica e formale che, disgiunta dal contenuto, apriva nuove strade nella concezione visiva del terrore, ma gli autori del decennio qui preso in esame riescono a scavare in profondità nella ricerca del superamento dei limiti fino a quel momento posti dalla manualistica del cinema di genere.
Una ricerca continua, materiale più che formale, composita e variopinta, riflessiva e mai disgiunta dai tremori, dalle insicurezze e dagli orrori sociali di una civiltà incanalata verso una completa distruzione e decostruzione di ogni sua rassicurante produzione di puro intrattenimento; la dissezione del corpo è mostrata senza vergogna in ogni singolo fotogramma, le viscere umane codificano il senso ultimo di un pessimismo cosmico intollerabile e intollerante, e il panorama del gore uccide simbolicamente il cinema da blockbuster verso una concreta, e per questo ancor più inquietante, apologia della descrizione di un mondo destinato a scomparire nelle frattaglie di un essere umano paralizzato e facilmente smontabile come una qualsiasi marionetta.
Nel 1984 (le date qui indicate si riferiscono genericamente alla data di uscita delle pellicole in Italia) Dan O'Bannon riprende in versione satirica la trilogia romeriana con Return of the Living Dead (Il ritorno dei morti viventi), e contemporaneamente la casa di produzione Troma si presenta al grande pubblico con la commistione splatter/sesso/surrealismo ilarità in The Toxic Avenger.
Nel 1985 Lamberto Bava avvia una nuova contestualizzazione meta-cinematografica in Demoni, il già citato Romero tenta di ricostruire una nuova società infangata in gerarchie e soprusi, in cui il morto vivente può essere addomesticato e quasi educato per fondersi con i vivi in Day of the Dead (Il giorno degli zombi), e l'accoppiata Stuart Gordon-Brian Yuzna introduce il rischio insito nell'uso scriteriato della medicina e più in generale della scienza nel seminale Re-Animator.
Nel 1986 James Cameron riattualizza il fanta-horror e modernizza l'uso iperteso del montaggio e della rappresentazione della violenza come atto costitutivo e soggetto precipuo della narrazione in Aliens (Aliens - Scontro finale), John McNaughton introduce la figura di un serial killer privo di qualunque concezione morale e dominante nel suo greve distacco dalla vita e dalla consapevolezza dei propri omicidi attraverso la secchezza della messinscena e la stilizzazione estrema in Henry: Portrait of a Serial Killer (Henry - Pioggia di sangue), Jim Muro visualizza il crudo e sporco realismo metropolitano di matrice scorsesiana negli scioglimenti astratti di Street Trash (Horror in Bowery Street), e David Cronenberg porta alla rovina e all'autodistruzione l'uomo come creatura insicura e incurante dei limiti fino a quel momento imposti dalla natura in The Fly (La mosca).
Nel 1987 Peter Jackson rompe definitivamente ogni barriera di sopportazione visiva e ideologica rivoltando (letteralmente) il corpo in Bad Taste (Fuori di Testa), Clive Barker traspone materialmente l'Inferno in terra dando forma ad una delle ancestrali paure dell'animo umano nel sadico mondo senza speranze e senza più barriere spazio/temporali tra morte e vita di Hellraiser, e il tedesco Buttgereit decompone l'estetica della violenza esplorando il tema della necrofilia in Nekromantik, opera posta al confine tra ciò che è filmabile e ciò che non lo è, tra il concetto stesso di testo (e contesto) e l'improvvisazione pura, inaugurando un filone che vedrà i suoi discepoli (tra cui Andreas Schnaas) tentare (inutilmente) di forzare quest'ultima barriera.
E poi ancora, sempre nel florido decennio che stiamo analizzando, troviamo le opere umoristiche e cariche di dirompente sessualità di Frank Henenlotter (Basket Case, 1982, e Brain Damage, Brain Damage - La maledizione di Elmer, 1988), la disperazione senza possibilità di riscatto delle opere del maestro di genere italiano Lucio Fulci (per la verità antecedenti al periodo qui trattato, ma inevitabili nel dimostrare la decisiva evoluzione dello splatter movie, su tutte Zombi 2, 1979, Paura nella città dei morti viventi, 1980, stesso anno dell'acclamato Antrophophagus di Joe D'Amato, e L'aldilà - E tu vivrai nel terrore, 1981), e la definitiva condanna di una moderna società alto-borghese governata da una fasulla facciata e da effimeri valori, in realtà composta da uomini-oggetto identici e mescolabili tra loro in un allucinato e quanto mai simbolicamente efficace melting pot che risucchia i corpi trasfondendoli in un ripugnante magma che stronca ogni effimera legge di natura in Society (Society - The Horror, 1989) di Yuzna.
Fino a giungere al 1992, anno in cui l'horror estremo raggiunge forse l'acme definitivo con Braindead (Splatters - Gli Schizzacervelli) di Peter Jackson, punto di culmine della distruzione fisica e corporea dell'oggetto filmico, non plus ultra dello sbeffeggio ai luoghi comuni di un cinema serio dato ormai per definitivamente perduto, nirvana di un graduale processo di esplorazione oltre il limite della censura mentale reietta e, consciamente o meno, annullata dall'occhio dello spettatore.
Da lì in poi la parabola dello splatter movie ha iniziato un percorso di discesa, di pleonastica e ridondante ripetizione, di piccoli ed innocui aggiustamenti di prospettiva, senza peraltro offrire più modelli rivoluzionari atti a porsi come punti di partenza per successive evoluzioni della materia filmica. Mentre il cinema orientale ha saputo comunque riattualizzare lo splatter fondendolo con le nevrosi sociologiche di nazioni (in particolar modo il Giappone) ancora alla ricerca di se stesse nel desolato panorama post bellico e ancora schiave delle proprie paure fino a scivolare ineluttabilmente nel gorgo della follia in Battle Royale, 2000, di Kinji Fukasaku, e in Ichi the Killer, 2001, di Takashi Miike (ma la ricchezza della filmografia horror orientale dell'ultimo decennio rende queste due pellicole semplici esempi di una realtà in continua crescita), il cinema occidentale ha smarrito idee e sincerità, avvolgendosi a spirale su se stesso a discapito dell'originalità, e trovando buoni risultati solamente nell'evidente omaggio ai maestri, come nei recenti 28 Giorni Dopo (28 Days Later, 2002, di Danny Boyle) e L'alba dei Morti Viventi (Dawn of the Dead, 2003, di Zack Snyder), o nell'ossequio alla propria poetica (il caso di Brian Yuzna e dei suoi The Dentist, 1996, e Faust, 2001).
Ripetizione dunque, a discapito della sperimentazione e della ricerca, concetti precipui di una stagione d'oro dello splatter movie ormai lontana e probabilmente irripetibile, e di un cinema horror che, sperduto nel colonizzante immaginario televisivo e confuso dal frenetico sviluppo tecnologico, fatica a trovare una propria identità.
Il cinema horror non è morto, e non si è smembrato come molti sfortunati personaggi protagonisti delle sue pellicole...Semplicemente si accontenta, in questo momento, di frequenti ma isolati colpi di genio, in attesa di una nuova stagione d'oro (e di sangue).