Gruppo di famiglia in un interno: The funeral
di Fabio Pezzetti
Con The Funeral (Fratelli, 1996) il cinema di Abel Ferrara continua, inesausto nella sua ricerca, ad indagare i sentieri del Male, del peccato e della redenzione. Anche dopo The Addiction (Id., 1995). Ovvero anche dopo un film che sembrava apporre un definitivo sigillo allo sguardo morale di questo autore sull'uomo e sulla sua natura intimamente legata alla dipendenza dal Male. Tutto sembrava ormai detto, la sentenza scritta, la condanna già eseguita. Nel disperante confronto tra le zone di luce ed ombra che si opponevano in The Addiction, horror metropolitano che rischiava grandemente nel suo sincretismo tra filosofia alta e temi del cinema di genere, sembrava che Ferrara avesse detto la parola ultima (ovvero mostrato l'immagine definitiva) sulla natura profondamente corrotta dal peccato dell'uomo, incapace di rendersi conto del Male che commette.
In The Addiction, il professore di filosofia afferma che un aspetto del determinismo si manifesta nel fatto che i non salvati non riconoscono il peccato nella loro vita, non ne sono consapevoli, non soffrono del rimorso della coscienza perché non riconoscono che il Male esiste. Questo perché sono tutti predestinati all'inferno e perciò non raggiungono mai la luce della conversione.
In The Funeral invece, Ray , il maggiore dei tre fratelli Tempio, in contrasto con la tesi deterministica, si dichiara perfettamente consapevole del Male che fa. Inoltre, a differenza di Kathleen (la studentessa di filosofia protagonista dell'oscura tragedia di vampirismo e malattia messa in "carne e sangue" da The Addiction), convinta che il Male sia connaturato nell'uomo, incolpa Dio della propria malvagità. Alla moglie Jeanette, che lo esorta a seppellire l'atavico desiderio di vendetta con il fratello, Ray dapprima risponde richiamando il legame di sangue che tiene unita la famiglia ("Ricordati una cosa: non è sangue del tuo sangue") e successivamente richiamando la responsabilità di Dio nei confronti dell'agire umano pervertito dal peccato. L'uomo, il "capofamiglia", afferma che tutti gli studiosi cattolici dicono che ogni cosa che facciamo dipende da una libera scelta, ma allo stesso tempo dicono che ci serve la Grazia di Dio per fare quello che è giusto. Se io faccio qualcosa di sbagliato è perché Dio non mi ha dato la Grazia per fare ciò che è giusto. Niente accade senza il suo permesso, quindi se questo mondo fa schifo è colpa sua.
I Tempio riscrivono la legge eterna del sangue che chiama un'altra vendetta, in un circolo vizioso e senza fine, una legge che li elimina dalla Storia, in quanto "questa è già stata scritta, nella memoria di Ray, nella pazzia di Chez, nell'idealismo sui generis di Johnny" (1).
Il cinema di Ferrara, che nasce dalla volontà di indagare "grandi questioni morali di natura sovrastorica" (2), rifiuta la Storia ("La Storia non esiste", dice Kathleen) e i suoi personaggi sono espressione di questo rifiuto, rinchiusi nella persistenza della propria memoria, che li lega al passato e li nega al presente (e al futuro). La via che perseguono, scritta nel loro sangue e "nell'intreccio pazzesco di imposizioni culturali che non lasciano nessuna possibilità di scelta" (3) è quella che viene imposta dall'appartenenza ad una comunità in cui il concetto di giustizia si incarna nell'azione necessaria della vendetta. Al giovane meccanico che gli ha ucciso il fratello, Ray dice: "Ma dove lo metti il mio senso di giustizia? Non ci pensi a me?". Il giovane, disperato, gli risponde che lasciandolo andare ha l'occasione di fare una cosa giusta anziché una sbagliata. "È meglio della giustizia", ma viene freddato con un colpo secco, che squarcia la lunga notte d'orrore e angoscia. La giustizia che i Tempio contemplano è solo quella che si pone come soluzione rituale di un infrazione dell'ordine societario (4): l'idea stessa di Bene non è presente in loro. Adducendo a Dio la responsabilità di questo mondo che "fa schifo", si lavano le mani da qualunque impegno per renderlo migliore.
La permanenza di una forte componente di ritualità segna questa stasi, questo blocco del tempo nell'atto del rito, che segna il ripetersi sempre uguale di un'azione o della necessità di una serie di azioni, volte a riparare una mancanza o un'infrazione ad un divieto. Ferrara punta la sua attenzione a questo momento – quello rituale – che segna l'impossibilità del processo storico in una famiglia come quella dei Tempio. A differenza di Scorsese, Ferrara non si interessa dalla comunità italo-americana come comunità storica, ma come universo mitico, "chiuso all'interno di un recinto sacro dove si celebrano riti di sangue antichi come l'umanità stessa" (5), che si rinnovano continuamente nella legge che governa la comunità, nelle lotte tra bande rivali, nei rapporti tra uomini e donne, dove queste ultime non possono far altro che aspettare che il destino percorra la strada tracciata da sangue e violenza e si consumi, chiudendo il coperchio di una bara su "questi "bravi ragazzi" che la loro partita l'hanno già giocata, probabilmente prima di nascere" (6).
La vendetta si pone come soluzione rituale alla violenza subita dalla famiglia. L'irruzione della violenza, che crea sconvolgimento nel microcosmo societario di cui proprio la famiglia è l'espressione fondante ( l'insieme coeso, in cui ciò che vale sono i legami di sangue, l'essere sangue dello stesso sangue), porta ad una rottura dell'equilibrio che non può essere ripristinata che attraverso l'eliminazione di chi quella rottura ha provocata. Il bisogno di vendetta nasce da questa necessità, sentita in maniera viscerale dai personaggi del film. Ma la vendetta, lungi dall'esaurirsi in se stessa, genera un meccanismo perverso che chiama un'altra vendetta, che porta la comunità a distruggersi con le proprie mani, in una hybris ubriacante in cui i personaggi arrivano a sostituirsi al biblico Dio della vendetta, ad arrogarsi il diritto di distribuire punizioni e castighi.
L'incapacità di riconoscere la possibilità/necessità di un'autorità che diventi espressione della giustizia autentica (che non sia cioè solamente volontà di riparare un affronto fatto alla famiglia) pone i Tempio al di fuori della Storia, dell'evoluzione societaria, delle norme del diritto e della morale. L'unica morale che essi riconoscono è quella che giustifica la sopravvivenza del gruppo famigliare, una legge di vendetta cieca che si ricollega ad una ritualità antica, quasi superstiziosa, come quando Ray si convince che non è stato Gaspare Spoglia ad uccidere Johnny, perché le ferite del morto "in presenza dell'assassino sanguinano", cosa che in quel caso "naturalmente" non accade. È all'interno di questa necessità di sopravvivenza di una determinata struttura societaria che possiamo leggere il comportamento e le azioni dei personaggi: l'irruzione del diverso nel microcosmo rappresentato dalla comunità crea infatti panico e confusione, minando alle basi le strutture (i rapporti interpersonali, i codici di moralità mafiosa …) che si perpetuano da una generazione all'altra. Il diverso, rappresentando una minaccia per l'ordine naturale (ovvero quello sancito dalla tradizione), va messo ai margini e, nei casi più gravi, eliminato. The Funeral, in fondo, parla anche di questo processo di esclusione che si esplicita nell'omicidio (l'eliminazione sacrificale) di chi è diverso, di chi si pone al di fuori di un riconosciuto codice di valori e regole.
Johnny Tempio è il personaggio che in sé riassume la diversità perturbante che va eliminata, fondendo nella sua figura elementi sorprendentemente contraddittori: mafioso e comunista, attratto dalla modernità del cinema e della radio, è il fratello che vuole spezzare la catena che lega la famiglia alla tradizione, alla persistenza di una ritualità che sprofonda il presente in un passato mitico, una ritualità che in virtù del suo essere segna il rifiuto del qui ed ora, costruendo un tempo/tempio fittizio in cui ciò che conta sono i valori tramandati, il rispetto delle regole del sangue ed il legame della famiglia, che è "identità di linguaggio, tradizioni culinarie e morboso attaccamento alla salma" (7). Johnny si distacca dell'etica della famiglia, sembra essere "esente dall'ideologia cattolica" (8), frequenta le riunioni dei comunisti – dove striscioni proclamano "communism is the XX° century americanism" – "con lo stesso spirito un po' annoiato con cui il credente di Little Italy va a messa la domenica" (9). Johnny, a differenza dei fratelli maggiori, non prova alcun interesse per il denaro e nelle sue azioni "manifesta un disinteresse in contrasto con l'etica dei favori e della vendetta che ispira la tradizione degli uomini d'onore" (10) ed è piuttosto specchio di quei giovani italo-americani che si stanno muovendo verso l'integrazione, che hanno addirittura sostituito il cinema alla messa; rappresenta la generazione che "ha tradotto il linguaggio e l'etica della colpa e del perdono in un sistema di valori laico" (11), in cui il cinema diventa anche lo schermo/campo di battaglia su cui si gioca la lotta tra il Bene ed il Male, il luogo/momento in cui si compie il peccato della visione, "come mostra il porno che Johnny e i suoi amici vedono a una festa" (12), quello per cui si viene metaforicamente puniti rimanendo uccisi proprio all'uscita di un cinema: la ricerca del suo assassino diventa il motivo propulsore della storia, quello che fa precipitare la vicenda nel breve arco temporale che separa il tramonto dall'alba successiva, la deflagrazione che mette a nudo i "nuclei fondanti il corpo stesso della famiglia" (13), destinata ad un'inevitabile autodistruzione nell'impossibilità di trovare una via di fuga.
Sulle note morbide e tristi di Gloomy Sunday, l'auto che porta la bara con il cadavere di Johnny Tempio, si ferma davanti alla casa di Ray, il maggiore dei fratelli: è li che si svolgerà la veglia funebre. All'alba, dopo aver seppellito il cadavere del ragazzo che ha ucciso Johnny "per dargli una lezione", Chez, il fratello di mezzo, torna a casa. Appena entrato uccide i guardaspalle; poi, tra le urla delle donne di casa, mute testimoni di una inevitabile caduta verso l'abisso della tragedia, spara al cadavere, uccide Ray e si fa saltare le cervella con un colpo in bocca. La famiglia si spezza, distrutta dall'interno, segnata da un destino tragico che si perpetua di generazione in generazione, nell'angoscia eschilea della colpa dei padri che ricade sui figli, incapaci di comprendere le motivazioni della propria sventura, ma destinati a percorrerne fino in fondo il calvario, consumandosi fino al limite dell'esaurimento: segnati, come accade a Ray, da un ricordo persistente come quello del primo uomo ucciso quando si era ancora bambini, spinti dal volere del padre, in un macabro rito di passaggio; oppure marchiati dalla tara ereditaria del disturbo mentale, quella che già aveva portato il padre dei Tempio al suicidio e che rivive in Chez, l'altro diverso che turba l'equilibrio della famiglia, l'unico che mostra un dolore sincero per la morte del fratello. Chez soffre, ma perché è pazzo. Ha il sangue di suo padre nelle vene e prima o poi finirà col cervello spiaccicato su un muro, proprio come lui.
Il mondo chiuso, opprimente della famiglia italo-americana, in cui si è legati per sempre al proprio retaggio e in cui l'unica fuga è data dallo spezzare – attraverso la distruzione del sé, proprio come in The Addiction – la catena fatta di interminabili anelli di vendetta e morte, è quello che Abel Ferrara sceglie per questa sua moderna tragedia (14) (questo momento di cinema "puro", teso sull'orlo di una morte che sempre reclama il suo essere essenza, sostanza del cinema stesso, che è "morte al lavoro" (15)) che ancora una volta interroga il libero arbitrio spinto "fino al delirio deistico del delitto" (16), utilizzando ed infrangendo le unità di tempo e di luogo, ambientando l'azione del suo film nella lunga notte di veglia funebre – squarciata da sei flash back – che si tiene nella casa di Ray Tempio. Una notte ed un luogo che portano alle estreme conseguenze una messa in scena chiusa e claustrofobica, in cui le pareti delle stanze si riempiono del dolore e dell'immanenza della morte, in cui la luce è bandita ed i corpi dei personaggi sono assorbiti, inghiottiti dall'oscurità che li circonda. Nell'oppressione della veglia funebre, che costringe i vivi a rimanere con il morto (con la Morte, quella verso cui precipitano in una sorta di affannosa rincorsa), i personaggi cercano una via di fuga alla claustrofobia che li schiaccia nel nero dalla casa-tempio – in cui metaforicamente si compie il rito sacrificale che porta alla destrutturazione della famiglia – attraverso il ripiegare intimista sui ricordi, sul passato.
Il passato, che opprime e inevitabilmente costringe i personaggi all'accettazione del momento presente, sancisce l'impossibilità della fuga ricercata attraverso l'abbandono al ricordo: i Tempio non hanno futuro (non hanno storia), sono irrimediabilmente costretti nel momento presente che non è altro che un prolungamento del (loro) passato, di tutta una ritualità dalla quale non si può sfuggire, perché ormai non si può più tornare indietro: tutto è già stato scritto prima, nel loro destino di sangue, nel sangue che si portano dietro, nella legge della famiglia, della vendetta e del clan.
La figura stilistica con la quale Ferrara rompe lo spazio/tempo della casa immersa nel nero del dolore della notte di veglia sul cadavere del defunto, aprendo spazi al ricordo che legano le figure dei fratelli all'impossibilità di una fuga, è il flash back, il quale diventa lo strumento che rende manifesta l'impossibilità della fuga dei Tempio davanti al loro destino già scritto: ancorandosi al passato, i flash back del film legano i personaggi alla persistenza del ricordo, di un mitico "com'era" incrinato dall'irruzione della violenza, un equilibrio che non potrà mai più essere raggiunto e ristabilito.
Dei sei flash back da cui il film è scandito, tre sono propriamente narrativi ed associati a ciascuno dei fratelli Tempio. Il primo parte da un inquadratura di Ray, solo in macchina, mentre nella casa il sacerdote sta pregando per il defunto con il resto della famiglia. È il tormentoso ricordo del suo primo omicidio, quello che gli ha insegnato la legge della vendetta e della sopravvivenza in un'etica mafiosa e che lo ha condannato al suo personale inferno. La possibilità del libero arbitrio – la possibilità di non sparare e di lasciare quell'uomo libero – si è scontrata con le contingenti regole della comunità mafiosa. Quel primo morto segna il punto di non ritorno di Ray, il momento topico in cui viene definito una volta per tutte il suo destino. Senza possibilità di remissione, senza possibilità di poter effettuare nuovamente una scelta nel momento in cui una scelta si rende possibile, perché la sua storia è tutta scritta in quel bossolo che per tutta la vita ha portato con sé e che nella notte "seppellisce" nel cadavere del fratello.
Il secondo flash back parte dall'inquadratura del volto del defunto, definisce l'eccentrica combinazione mafioso-comunista di Johnny, la sua volontà di supportare il sindacato, non "vendendosi l'anima" per mille dollari al mese come fanno i fratelli, la sua relazione con la moglie di Spoglia ed i litigi con la famiglia e soprattutto con Chez, che una notte lo pesta a sangue.
Il terzo flash back narrativo è dedicato a Chez e contempla sia la sequenza dell'orgia, in cui l'uomo "cerca di redimere una giovanissima prostituta ma, visto che lei non accetta la salvezza […] la consegna brutalmente all'inferno e la sodomizza" (17), sia la se successiva, in cui Chez torna a casa. Qui Clara, la moglie, gli propone un viaggio in Europa, in un centro di cura per malattie mentali, perché lo vuole "vedere in pace". Irato, Chez risponde che se Dio mi voleva in pace ci avrebbe pensato lui. Lo sai chi è in pace? Mio padre è in pace. È questo che vuoi per me?
Il ricordo del padre morto suicida, lui sì finalmente in pace, il cui stesso sangue malato scorre nelle sue vene apre, in questo stesso flash back, un altro flash back che mostra Chez ragazzino accanto alla bara del padre, durante un'altra veglia funebre. Il flash back nel flash back, arrischiatissimo, "non appare minimamente forzato, ma si snoda automaticamente in una narrazione in cui il passato ha fagocitato il presente" (18), ed i personaggi non hanno altro appiglio, per arrivare alla fine della notte, che rivivere ciò che già è stato, perché non c'è presente né tanto meno futuro. Così i due flash back che mostrano la morte di Johnny non aggiungono niente di nuovo a ciò che già l'apertura del film – con la citazione di Bogart (19) e del gangster film in cui il destino dei personaggi è segnato – esplicitava, mentre quello conclusivo, attraverso il quale Chez, rivive/rivede un momento di felicità con i propri fratelli, non può che essere la disperante negazione dell'unità della famiglia, distrutta dalle sue stesse leggi di vendetta e violenza. L'impossibilità di ricostruire il legame – la presenza ossessiva della morte, il terribile fantasma della separazione – segna l'epilogo della tragedia, il suo precipitare verso la decisione della strage. "Vivere senza i miei fratelli?", dice Chez, e si spara in bocca.
Negli squarci temporali introdotti dai flash back, in cui il passato/presente dei personaggi ritorna alla loro memoria nella lunga notte in cui si compie l'ultimo atto della loro tragedia famigliare, nella casa-ara sacrificale in cui la morte viene contemplata e resa tangibile perché inevitabile conclusione, Ferrara scava nella materia della colpa e del peccato. Il primo ritorno al passato, quello in cui Ray, chiuso in macchina, ripensa al primo omicidio della propria vita, è un'indagare la causa fondativa della distruzione della famiglia che si compie durante l'ultima notte dei Tempio: quel morto, il nemico ucciso in uno scantinato con un solo colpo di pistola da un ragazzino che ancora non comprende la portata del suo gesto, è il momento fondante della tragedia, il punto di non ritorno. Consegnando a Ray il bossolo del proiettile, il padre gli dice di portarlo sempre con sé, perché niente "ti costerà mai di più": la mela è stata mangiata, il peccato primigenio è entrato nel cuore e nell'anima del maggiore dei fratelli, quello che in un delirio di onnipotenza mafiosa, capo della famiglia, si sostituisce a Dio. Di fronte alle possibilità che gli sono lasciate, Ray si comporta come chi non ha scelta: se c'è libero arbitrio, il maggiore dei Tempio rifiuta la scelta del Bene, perché Dio non gli ha concesso il dono della Grazia. Per Silvio Danese, questo è il punto chiave che spiega il suo personaggio: "Ray non ha mai previsto una scelta. Ray sa già che ucciderà il meccanico" (20), perché il Dio che sostituisce è quello veterotestamentario della vendetta, non quello del perdono e della misericordia annunciato dalle buona novella. Il maggiore dei Tempio non conosce altra possibilità che quella del Giudizio Universale, delitto dopo delitto, vendetta dopo vendetta, in un'ubriacatura di onnipotenza che serve ad ottundere la coscienza della propria predestinazione all'inferno, un'idea alla quale conviene "abituarsi fin da subito".
Se Ray Tempio, dialetticamente contrapposto alla vampira-filosofa di The Addiction, vive l'angoscia della coscienza del Male scaricando la colpa delle sue azioni su Dio, Chez è invece il personaggio di The Funeral che maggiormente si avvicina ai presupposti su cui era fondata l'opera precedente dell'accoppiata Ferrara-St. John (21). Minato dalla pazzia, tara ereditaria in cui rivive l'onnipresente spettro del padre, Chez rende ancora una volta esplicita, nel cinema di Ferrara, la possibilità di scelta che si pone davanti all'uomo. Nella sequenza dell'orgia, Chez si apparta con una prostituta ragazzina ed a un certo punto decide di darle una possibilità: "Ti do cinque dollari e torni a casa. Non lo devi fare. Ti puoi fare una vita". La ragazzina replica che gliene può dare dieci e scopare. Chez, di fronte a questa decisione appare prima turbato, poi s'infuria: Che ti prende? È meglio che te ne do venti… ma sì. Lo sai perché? Perché ti sei appena venduta l'anima. Tu farai la puttana tutta la vita. Non devi scherzare con il diavolo. Ti avevo dato una scelta e tu ti sei venduta l'anima.
Ancora una volta Ferrara (pro)pone l'uomo di fronte alla possibilità della scelta tra il Bene ed il Male. L'uomo è sì dotato del libero arbitrio, ma la sua natura lo porta a scegliere inevitabilmente il Male, a scherzare con il diavolo, a fare una scelta dalla quale non si torna più indietro, per la quale non c'è più alcuna redenzione. Accettato il denaro, sparato il colpo, tutto è scritto, tutto è dato. Il meccanismo perverso attraverso il quale i personaggi ferrariani accettano la propria dannazione si inscrive ancora una volta nel piacere della trasgressione, nell'erotismo e nella libido del peccato, nella deriva dei corpi condannati alla decadenza della morte e della separazione. The Funeral è forse l'opera più cupa e disperata di Ferrara, dove ogni luce viene inghiottita dal nero del sacrario famigliare in cui si celebra il rito della dannazione dell'uomo: la sua condanna alla violenza, alla seduzione del Male, nell'orgoglio di chi sfida la morte e Dio, arrivando ad arrogarsi il ruolo di dispensatore di giustizia, nel delirio di chi urla "mia è la vendetta". The Funeral chiude le porte ad ogni speranza e, come le donne dei Tempio, ci lascia spettatori consapevoli della possibilità di una soluzione che non verrà mai scelta. Se l'ambiguità del finale di The Addiction poteva mostrare (forse) la luce di una Grazia salvifica, The Funeral si chiude con l'inquadratura della bara di Johnny che viene chiusa definitivamente. Il cerchio non è spezzato, la catena che ci lega al peccato non è ancora rotta: non c'è speranza, se non in una scelta inconcepibile, eternamente rifiutata.
(1) Emanuela Martini, L'inferno dentro di noi, in "Cineforum", n. 358, 1996, p. 16.
(2) Giaime Alonge, Abel Ferrara, in AA.VV., Hollywood 2000. Panorama del cinema americano contemporaneo. Gli autori, Recco, Le Mani, 2001, p. 147.
(3) Ibidem.
(4) Il testo di riferimento è RENÉ GIRARD, La violenza e il sacro, tr. it., Milano, Adelphi, 1980. La vendetta nasce come riparazione necessaria e inevitabile ad uno squilibrio dell'ordine societario provocato dall'infrazione al divieto dell'omicidio. La vendetta è però a sua volta infrazione dello stesso divieto e rischia di minare le basi della società. Per questo nelle società pre-storiche è introdotto il sacrificio, mentre nelle società più evolute si crea un sistema istituzionalizzato di vendetta, in cui l'infrazione è punita da un'autorità che si situa in seno alla società ma che è al tempo stesso al di fuori di essa, in modo da interrompere l'altrimenti interminabile catena di vendette.
(5) Giaime Alonge, Abel Ferrara, in AA.VV., Hollywood 2000 … cit., p. 149.
(6) Emanuela Martini, L'inferno dentro di noi, in "Cineforum", 1996, n. 358, p. 16.
(7) Lorenzo Esposito, The funeral, in "Filmcritica", 1996, n. 468-469, p. 447.
(8) Alberto Pezzotta, Abel Ferrara, Milano, Editrice Il Castoro, 1998, p. 84.
(9) Ibidem.
(10) Alberto Pezzotta, Abel Ferrara … cit., p. 85.
(11) Ibidem.
(12) Ibidem.
(13) Michela Fadda, Fratelli, in AA.VV., Abel Ferrara. La tragedia oltre il noir , a cura di Giona A. Nazzaro, Roma, Stefano Sorbini Editore, 1997, p. 117.
(14) Naturalmente il testo di riferimento è GEORGE STEINER, Morte della tragedia, tr. it., Milano, Garzanti, 1992. Steiner mostra come il concetto di tragedia sia inapplicabile alla società contemporanea, essendo la tragedia un conflitto irreparabile che ha bisogno dell'intollerabile presenza di un Dio. La proclamata "morte di Dio" farebbe dunque venire a mancare l'elemento fondamentale per la sussistenza del tragico, il quale assume le forme del dramma, nel quale il conflitto,essendo generato da cause contingenti è – in potenza – risolvibile. Si veda anche Bruno Fornara, De profundis: bestemmie a un Dio muto, in Abel Ferrara. La tragedia oltra il noir, a cura di
Giona A. Nazzaro, Roma, Stefano Sorbini Editore, 1997
(15) Secondo l'insuperata definizione che del cinema ha dato Jean Cocteau.
(16) SILVIO DANESE, Abel Ferrara, l'anarchico e il cattolico, Recco, Le Mani 1998, p. 195.
(17) Emanuela Martini, L'inferno dentro di noi, in "Cineforum", n. 358, 1996, p. 16.
(18) Ivi, p. 18.
(19) Johnny Tempio viene ucciso all'uscita di un cinema in cui aveva appena visto The Petrified Forest (La foresta pietrificata, 1936) di Archie Mayo.
(20) SILVIO DANESE, Abel Ferrara … cit., p. 205.
(21) Per Abel Ferrara Nicholas St. John ha sceneggiato anche The Driller Killer (Id., 1979), MS. 45 (L'angelo della vendetta, 1980), Fear City (Paura su Manhattan, 1984), China Girl (Id., 1987), King of New York (Id., 1990), Body Snatchers (Ultracorpi – L'invasione continua, 1993), Dangerous Game/Snake Eyes (Occhi di serpente, 1993).