Veni, Vidi, Vici: metacinema di Sergio Leone
di Federico Bezzi
Il cinema emblema della visione. Il cinema quale fruizione spettatoriale. La filosofia filmica di Sergio Leone gioca con e contro se stessa, in continuazione. Immerge le platee in tensioni oniriche, le immerge nei loro propri desideri, incide dettagli e realismo in una messa in scena che lascia sbalorditi, magnetizzati, letteralmente trascinati al suo interno. Ma subito dopo eccola, la messa in scena, mostrarsi nel suo apocrifo, sottolinearsi menzogna, sottilmente, illuminare la falla tra reale e fictio.
Perché Leone non ha mai perso di vista la sua natura di cantastorie, di affabulatore, di mitografo. Il rapporto con lo spettatore è per lui massimale, egli è spettatore del suo stesso processo creativo; egli, la sua memoria cinematografica, il pubblico, addirittura l'idea dello spettacolo sono presenti protagonisti dei suoi film. L'atto, l'azione, la scena cinematografica, per esistere deve "essere vista", nella realtà e nella finzione ha bisogno del soggetto percepiente. Senza questo non esiste storia, senza di esso esiste solo l'ignoto.
Ogni realtà, veritiera o fittizia, possiede un minimo comune denominatore di due entità senzienti. Una agisce rispetto all'altra, che ne recepisce l'agire, e viceversa. E siccome la Storia è fatta di storie, ogni storia avrà un suo narratore il quale in precedenza sarà stato spettatore-fruitore della vicenda stessa. Questo è il cardine attorno al quale ruota la mitologia, l'agiografia, la letteratura, tutta l'arte, il cinema e la soprattutto la memoria. Ognuna di queste categorie non è che una rappresentazione, uno specchio di realtà, una proiezione della vita. Leone nel suo cinema rende evidente questo gioco di specchi.
Egli non solo rappresenta, ma mostra anche la rappresentazione, il rappresentatore, il luogo di rappresentazione, coloro che presenziano alla rappresentazione. Narra la narrazione, il narratore e la platea. In un gorgo che pare annullare ogni percezione stabilita a priori, il metacinema di Leone sorpassa di netto il semplice ricordo e s'installa nell'indimenticabile; nell'ineluttabilità di un destino-storia osserva le forme false che si stagliano sul vero e quelle vere che annegano nel falso, e arriva all'anima, alla metafora d'una e di tutte le esistenze umane, l'unica in grado di esorcizzare la morte.
L'emblema della visione leoniana in 13 mosse annotate…
1) Come non scorgere nell'infinità di primissimi piani e dettagli d'occhi che popolano la cinematografia di Leone l'atto stesso della fruizione, dell'osservazione, del piacere di assistere, magari persino alla propria morte. Quel susseguirsi ininterrotto di sguardi che precede ogni duello è la corsa della suspense dello spettatore. In almeno uno dei tanti lo spettatore riesce a riconoscersi. Ed è, ogni sguardo, il confronto stesso tra i personaggi, tra due vite che s'incontrano, ognuna testimone dell'altra, ognuna di fronte all'altra. Si potrebbe addirittura vedere l'intero gioco di lunghissime analisi del rivale come una fruizione della sua storia, della sua esistenza, prima di porle fine. La memoria dello sconfitto si conserverà nel sopravvissuto.
2) Ogni duello ha però sempre almeno un terzo spettatore. Ogni scontro di vite necessita sempre d'una testimonianza, e d'un testimone aggiunto. Perché nel duello una delle due vite poste in gioco viene meno (nel caso d'un duello multiplo le vite che vengono meno sono di più, ma è sempre uno solo a sopravvivere; a meno che manchino testimoni, vedi "triello" ne Il buono, il brutto, il cattivo, dove a sopravvivere sono due su tre, perché nessun altro a parte loro era presente alla sfida). Così, senza lo spettatore aggiunto, la memoria dell'evento (e dello sconfitto, come visto nel punto 1) resterebbe limitata al solo vincitore. La narrazione, la storia, non potrebbe persistere senza chi la recepisce.
Il vincitore del duello, nella messa in scena di Leone, è allo stesso tempo il narratore ed il narrato. E' il regista ed il suo film, di fronte al suo pubblico. Il minimo comune denominatore di due entità senzienti alla fine del duello è ripristinato grazie alla presenza di quel terzo spettatore. In Per qualche dollaro in più il confronto tra Mortimer e Guy Calloway è visto dal barista che ha dato la dritta al colonnello. Così lo scontro tra l'Indio e Mortimer è presenziato dal Monco, vera e propria trasposizione dello spettatore, seduto e che alla fine dà persino il suo apprezzamento ("Bravo", dice a Mortimer).
Nel "triello" finale de Il buono, il brutto, il cattivo tra Tuco, il Biondo e Sentenza s'instaura quel gioco di sguardi tipicamente leoniano, e ognuno è testimone della sfida degli altri due. Questo per citare solo gli esempi in cui il testimone è presente nel numero minimo (uno), mentre negli altri innumerevoli duelli gli spettatori sono di più (tre ragazzini, un saloon, una banda, l'intera cittadina). In un solo film i duelli sono isolati, privi di testimoni superstiti oltre al vincitore. In C'era una volta il West, e non a caso posti uno nel prologo e l'altro nell'epilogo, ciclicamente conchiusi.
Nella sfida iniziale alla stazione, tra Armonica e tre uomini di Frank, l'unico testimone possibile è Armonica stesso. Il duello finale tra Armonica e Frank è invece l'unico confronto in cui i due duellanti sono totalmente soli, uno di fronte all'altro, nessuno presenzia alla loro personale sfida. E per entrambi gli episodi non credo sia un caso: il tramonto d'un'epoca, d'una mitologia, è così rappresentato dall'assenza di testimoni, dalla fine delle potenziali storie narrabili e dei suoi potenziali fruitori. Armonica e Frank vivono l'uno nell'altro (vedi sequenza del flash-back), all'infinito, senza altri testimoni. Il mito è qui evidentemente cristallizzato nel suo tempo, impossibilitato dal proseguire oltre perché ormai privo di personaggi-spettatori cui dare in eredità in propri valori di "uomini d'una razza antica". "Che sa di morte".
3) Altrettanto frequente nella composizione dell'inquadratura di Leone è il personaggio che osserva dal di qua al di là, dall'interno all'esterno, attraverso un'apertura, spesso una finestra, che può essere vista in similitudine con lo schermo cinematografico. Il protagonista "nascosto" è l'atto stesso della visione.
- la donna che nell'incipit di Per un pugno di dollari osserva il marito ed il figlio picchiati da due uomini attraverso una finestra, che poi richiude. Nello stesso film, il protagonista che osserva la cittadina dal piano alto della locanda, ed assiste, in seguito, al massacro dei Baxter da dentro una bara.
- In Per qualche dollaro in più Mortimer ed il Monco che osservano i banditi dell'Indio fuori dalla banca, dalle rispettive finestre, e subito dopo si scrutano a vicenda.
- Armonica che segue da una grossa finestra i movimenti di Frank assediato dai suoi uomini che vogliono ucciderlo; o Cheyenne che dice a Jill di mettergli acqua e rasoio davanti alla finestra così da poter osservare la ferrovia che viene avanti mentre si rade; entrambi in C'era una volta il West.
- Le frequenti spiate attraverso le fessure dei vagoni ferroviari in Giù la testa.
- In C'era una volta in America la scena in cui Noodles e gli altri ragazzini incendiano l'edicola e poi si mettono dietro due finestre ad osservare l'operato, ridendosela; il piccolo oblò attraverso il quale la banda di Max e Noodles scruta la gente nel locale; o, fondamentale, Noodles che spia da una fessura del bagno Deborah che danza.
4) La costante presenza nascosta o passiva d'un auditore-spettatore nelle scene del racconto (sullo stesso principio detto a proposito dei duelli, punto 2).
- La stessa scena, già citata, di osservazione e auto-osservazione tra il Monco e Mortimer in Per qualche dollaro in più. Mortimer inizialmente non nota la presenza del Monco che lo osserva.
- In C'era una volta il West, Jill, che appena arrivata in città, in una taverna buia e sporca, assiste all'incontro tra Armonica e Cheyenne, senza mai entrare nel discorso, senza mai essere degnata di attenzione dai due. E' come se fosse una presenza invisibile, una spettatrice che osserva due attori che recitano le loro battute, nei loro ruoli.
- Eve posta nell'angolo in alto a sinistra dell'inquadratura, dietro a Noodles, in spiaggia, durante l'animata discussione con Max. Anche qui la ragazza è spettatrice passiva.
5) La maniera filmica di svelare lo spazio e la presenza è lenta. Il più delle volte Leone utilizza accorgimenti cinematografici particolari, soprattutto per i nuovi incontri (o rincontri). Con atteggiamento semiotico sottolinea lo sguardo spettatoriale mai assente, ma quasi partecipe attivo della tipologia di visualizzazione scenica. Lo sguardo del cinema leoniano non è mai onnipotente e onnisciente, ma sempre incredulo, emozionato, impressionabile; è sempre lo sguardo dello spettatore, o, come lui stesso diceva, lo sguardo d'un bambino.
- I tre protagonisti di Per qualche dollaro in più che sono presentati, uno dopo l'altro, con il volto coperto. Mortimer ha davanti una Bibbia, Il Monco è nascosto dal cappello fino all'ultimo, così come l'Indio.
- Ne Il buono, il brutto, il cattivo la soggettiva con svenimento della moglie, posta davanti all'uccisione del marito e del figlio per mano di Sentenza.
- In C'era una volta il West, Cheyenne, che, per vedere Armonica nascosto nel buio, lancia verso di lui una lampada attaccata ad un filo. Qui è il gioco dinamico di luce ed ombra il contappunto metrico-stilistico utilizzato da Leone per sottolineare lo sguardo spettatoriale della sequenza; sia nel passaggio dal buio al riconoscimento d'identità, sia nel tremolio oscillante sul volto di Armonica dopo lo svelamento. Oppure, in precedenza, la soggettiva in movimento del piccolo McBain che esce da casa per scoprire il massacro della sua famiglia da parte di Frank. O, ancora, Jill McBain che apre la porta e scopre esserci Cheyenne; Leone ci svela la presenza del bandito sull'uscio - che guarda all'esterno - con un movimento di macchina circolare, da dietro la porta aperta. Inoltre, la stessa Jill, che nel suo primo incontro con Armonica inizialmente scorge di lui solo la silhouette in controluce, nota quest'ultimo mentre avanza piano piano, fino ad essere completamente illuminato.
- Sean, che al primo incontro con Juan lo vede attraverso la visione traslucida degli occhiali da motociclista, in Giù la testa. Qui è addirittura il vedere stesso che è mascherato da effetto speciale.
- In C'era una volta in America Fat Moe che apre lentamente la porta al vecchio Noodles; lo stesso vecchio Noodles che apre e poi richiude con estrema lentezza la porta della tomba comune dei suoi tre amici morti. Lo spazio si svela rallentato per poi cercare di occultarsi da sé, ma Noodles lo impedisce riaprendo la porta, forse per paura, forse per invitare ad entrare lo spettatore. Infine, però, la porta si chiude e Noodles è dentro al ricordo, dentro la memoria. Con lui, naturalmente, anche lo spettatore. E nel finale, nello struggente incontro tra Noodles ed il senatore Bailey/Max, quest'ultimo è inizialmente visto di spalle: rivolto verso una parete occulta la sua immagine.
6) Al contrario è spesso il suono a rivelare anticipatamente la presenza d'un personaggio. Il suono che precede l'immagine dilata la percezione dello spettatore, rivelando una nuova coordinata di fruizione e, nello stesso tempo, il valore fittizio della stessa coordinata e di tutta l'impalcatura filmica. Leone oggettiva in tal modo la presenza dello spettatore, come detto non solo potenziale ma oltremodo indispensabile. La colonna sonora in Leone astrae l'immagine da qualsiasi velleità di realismo, cantandone invece l'intensa e più profonda metaforicità di favola.
- Il rumore del caricamento di pistola ed il seguente sparo nel primissimo e lunghissimo piano sequenza di Per qualche dollaro in più. Ed il leitmotiv del carillon che improvvisamente si raddoppia nel duello finale tra Mortimer e l'Indio, e svela al contempo la presenza del Monco e il passato comune dei due duellanti.
- Il rumore del fiammifero che si accende e che svela la presenza del Biondo in Il buono, il brutto, il cattivo. Il biondo che riconosce lo sparo della pistola di Tuco, dichiarando che ogni pistola ha la sua voce.
- Il suono dell'armonica che svela più di una volta la presenza di Armonica, in C'era una volta il West.
- Il motivetto fischiettato che rivela la presenza di Sean al momento di salvare Juan dalla fucilazione, in Giù la testa.
- Il suono del motivetto flautato in C'era una volta in America, che per tutto il film era stato esterno al film, asincronico, extra-diegetico, facente parte della musica d'accompagnamento, improvvisamente lo si vede suonato da uno dei protagonisti (Cookeye), all'interno del film. Qui Leone disorienta ancora una volta le percezioni dello spettatore, ne nega le convinzioni, e rende evidente l'illusione dello strumento cinema.
7) Nello stesso modo funzionano le iperboli mostrative, i preziosismi scenografici, le non infrequenti megalomanie. Non di rado Leone fa eseguire ai suoi personaggi vere e proprie scene da circo, da spettacolo ambulante di piazza, o, più verosimilmente, gag spettacolari che evidenziano l'antirealismo della storia. Degne del cinema primordiale di Méliès, ne hanno la stessa identica funzione, ovvero quella di stupire la platea. E se l'iperbole, la stravaganza, il trucco, in Méliès erano nascosti al pubblico nelle loro peculiarità di finzione (o almeno cercavano di esserlo) e soprattutto erano funzionali al carattere mostrativo di quel cinema, in Leone, al contrario, la mostrazione è il segnale più esplicito dell'irrealtà e della finzione del cinema e del suo racconto.
- Il prolungato gioco a sparare al cappello di Mortimer da parte del Monco, e la susseguente replica del colonnello che tiene letteralmente per aria il cappello del Monco a colpi di pistola, in Per qualche dollaro in più. Da notare che appena concluso il particolare duello, la prima inquadratura all'interno della camera di Mortimer mostra entrambi i cappelli perfettamente in ordine, senza nemmeno un graffio. Nello stesso film l'abilità mostrata dagli stessi due protagonisti nello sparare ad un albero di mele per aiutare un ragazzino a coglierne i frutti. O ancora lo humour nero della sequenza in cui il Monco conta i banditi uccisi e se li porta via come un vero e proprio bottino.
- Tuco che stupisce per la sua grandissima conoscenza e maestria con le pistole, nell'episodio al negozio di armi in Il buono il brutto, il cattivo.
- In C'era una volta il West, l'intera scena della liberazione di Armonica da parte di Cheyenne, sul treno di Morton. Prima a testa in giù, attaccato all'esterno del treno, uccide una delle guardie attraverso il finestrino; poi, dopo essere entrato all'interno del vagone, ne esce nuovamente facendosi issare dalla catena di uno sciacquone; infine la trovata della pistola dentro lo stivale.
- Le continue e frequentissime esplosioni (la curiosità e l'esaltazione per la nitroglicerina) in Giù la testa.
- In C'era una volta in America, l'incongruenza temporale che mostra la Deborah degli anni '30 uguale a quella del '68, e la perfetta somiglianza del figlio di Max (e Deborah) al Max ragazzino degli anni Venti; la porta segreta che porta fuori dalla stanza di Max/senatore Bailey (e gli altri innumerevoli dettagli-citazioni della storia del cinema americano); le auto stile anni '30 nel '68, e la canzone God Bless America, la scomparsa senza tracce di Max/senatore Bailey all'interno del camion tritarifiuti. Tutte incomprensibili stranezze che rendono la natura onirico-fittizia del racconto che Noodles fa allo spettatore e a se stesso. In fondo la natura più reale del cinema.
8) E' addirittura tra le righe della struttura narrativa che Leone dimostra la metacinematograficità del suo cinema. La rigidezza del ruolo che ogni personaggio riveste nella storia è uno di questi aspetti. Ogni personaggio sente di doversi attenere al suo archetipo, e agisce di conseguenza, secondo regole e canoni. Il canovaccio entro il quale vive-recita-esiste gli preclude approcci diversi con gli altri, che non siano quelli consoni alla sua figura. E l'artificiosità dei comportamenti viene spesso a galla, sempre però in maniera drammatica.
Emblematico sotto questo punto di vista è il dialogo finale tra Cheyenne e Jill, in C'era una volta il West, dove il bandito puntualizza alla donna che né lui né Armonica sono gli uomini giusti per lei. I loro rispettivi ruoli non possono aderire l'uno all'altro (banditi-gunfighters d'una razza antica contro donna-famiglia-modernità). Cheyenne confessa che lui, al contrario di Armonica, vorrebbe restare con lei, ma non può. Il perché lo si scoprirà subito dopo: Cheyenne è morente. Il mito muore come mito, la morte resetta le regole tra gli archetipi in gioco, non permettendo il contatto tra maschere incongrue, sebbene la volontà di queste maschere sia tutt'altro che accondiscendente.
Ed è per questo che, nonostante la finzione canovacciana delle maschere leoniane, la drammaticità dei rapporti tra l'umano che sta dietro ciascuna di esse sgorga pura, vera, reale, emozionante. Lo spettatore scorge una verità più vicina alla realtà, mediante la finzione della realtà stessa. Il cinema di Leone può considerarsi un antirealismo più reale del realismo. Altro esempio a proposito della rigida e pragmatica definizione dei personaggi può essere la costruzione della loro figura-reputazione attraverso l'esibizione. Prima di tutto la locandina delle taglie, vero e proprio strumento di diffusione ed esibizione dell'immagine e del valore del bandito. Direttamente collegata a questa, l'iconografia della presentazione del personaggio. Vedi i tuoni, la pioggia e la fama che precedono il Monco in Per qualche dollaro in più. O la staticità, l'immobilismo di fondo che pervade tutti i personaggi leoniani, quasi pietrificati nella loro epoca, oltre che nel loro ruolo. Una statuarietà di movenze che si riflette (e si amplifica) nell'estenuante dilatazione del tempo e della durata, come si vedrà più avanti (punto 13).
Come non citare le pose da vera e propria "locandina cinematografica", ancora in Per qualche dollaro in più, dell'intera banda dell'Indio che spara al mobile-cassaforte, o, in C'era una volta il West, le silhouette immobili in controluce, prima dell'intera banda di Frank, poi di Armonica nell'incontro con Jill McBain. Così lo stop frame con tanto di didascalia a presentare i tre protagonisti in Il buono, il brutto, il cattivo. Ed anche la foto incorniciata di Noodles nella stanza dove comincia la storia, che è la sua prima apparizione in C'era una volta in America, e, nello stesso film, la posa fotografica con la quale i ragazzi osservano Noodles adolescente trasportato in carcere. Esibizione c'è ancora in Per qualche dollaro in più: la richiesta da parte dell'Indio al Monco di far veder quello che sa fare con la pistola, e di entrare da solo nell'ostico villaggio di Aguacaliente ("Lo avete mai visto sparare voi?", chiede l'Indio ai suoi. "Vediamo quello che sai fare", propone subito dopo). Il Monco dimostrerà di avere tutte le capacità e le caratteristiche dell'autentico pistolero nella già citata scena dell'albero di mele. Oppure, allo stesso modo, in C'era una volta il West, lo scambio di battute tra Armonica e Cheyenne, a proposito del fatto se il primo sapesse solo suonare l'armonica o sapesse anche sparare. Qualche scena più avanti Cheyenne assisterà, non visto, alla grande abilità balistica di Armonica che farà fuori due uomini di Frank presso casa McBain ("Allora non sa solo suonare. Sa anche sparare", esclama sottovoce Cheyenne).
9) Di contro però, sono numerose le situazioni di carnevalizzazione, per usare un termine di Michail Bachtin , e sta soprattutto qui la grande profondità poetica di Leone. Perché è esattamente questa instabilità di valori a rendere nello stesso tempo la grana fittizia del narrato, e la sua più reale liricità. Nell'impostato gioco di rigidi archetipi sibila sempre la consapevolezza d'un sistema artificioso, e di per sé perennemente fuori equilibrio. I personaggi leoniani in fondo sembrano essere a conoscenza della loro natura mitologica. Paiono rendersi conto di stare recitando una maschera per il piacere dello spettatore. Ed è paradossale che in questa loro dichiarata falsità essi appaiano più profondi di un qualsiasi personaggio reale. Lo scarto tra verità e finzione, Leone lo sa, è di difficile ricognizione, perché veramente sottile. Tant'è lo scarto tra qualsiasi altro sistema di valori, primo fra tutti quello tra Bene e Male.
E non c'è personaggio delle storie di Leone che non sia costretto ad affrontare la natura manichea di un valore, così come quella della sua stessa natura umana. Basterebbe citare Il buono, il brutto, il cattivo per averne la più chiara conferma. Gli epiteti del titolo, assegnati ad ognuno dei tre protagonisti, non riscuotono nei fatti le prove della loro verità. Il confine tra l'uno e l'altro è sempre altamente ambiguo, quasi fossero, per dirla nuovamente alla Bachtin, le figure doppie nella carta da gioco, una capovolta rispetto all'altra, ma identiche, e per di più poste una al confine con l'altra.
Leone sottolinea l'apertura non solo della sua opera artistica, ma anche della sua visione del mondo e della vita. Tutto vive al confine con il suo opposto, e non è poi quindi così difficile che le due parti collimino, coincidano, o si capovolgano. E questo vale anche e soprattutto per le coppie realtà-finzione, ed autore-spettatore. Il carnevale che pervade il cinema di Leone, oltre ad essere cifra stilistica del suo metacinema, è anche sistema poetico e metafora della suo sguardo esistenziale. Ecco alcuni esempi significativi, tra gli altri, e con sottinteso che lo stesso strumento cinema di Leone è di per sé carnevalizzato.
- In Per qualche dollaro in più Mortimer che, da colonnello dell'esercito, è costretto a diventare un bounty killer, ed è scambiato nella sequenza iniziale per un reverendo.
- Come già detto, Il buono, il brutto, il cattivo è un esempio più che significativo. Ma nello stesso film c'è una sequenza (o meglio una serie di sequenze) che va sottolineata per l'estrema e tradizionalissima carnevalizzazione. Nelle antiche feste popolari del carnevale esistevano diverse tipologie di rito, ma il filo comune era quello della scoronazione del Re, ridotto schiavo, e, contemporaneamente, quello dello schiavo che diveniva Re. C'era, insomma, la suddetta inversione di opposti (che ogni anno si ripeteva, per un sistema infinito; lo schiavo divenuto Re tornava schiavo, gli opposti si invertivano nuovamente, i valori non potevano mai essere stabili). Questo dualismo Re-schiavo è ben rappresentato dal rapporto tra il Biondo e Tuco. Quando il Biondo abbandona il bandito nel deserto sciogliendo il loro accordo, il Biondo è il Re, a cavallo (in alto), mentre Tuco è lo schiavo, a piedi (in basso) e legato. Qualche tempo dopo le posizioni verranno invertite, e nella traversata del deserto sarà Tuco il Re e il Biondo lo schiavo (si noti anche come Tuco abbia fatto gettare a terra al rivale il cappello, una vera e propria scoronazione. O l'atto di scherno sociale della pulizia dei piedi nella bacinella). Ma non è finita qui: i ruoli saranno di nuovo invertiti presso il cimitero, quando il Biondo legherà Tuco ad un cappio (altro carattere ricorrente tra i due), e se ne andrà a cavallo, come un Re, per poi lasciar vivere lo schiavo liberandolo con un colpo di fucile. Da citare anche, nello stesso film, le giubbe impolverate dei soldati, che da apparenti sudisti, si rivelano invece nordisti (qui è addirittura la Storia ad essere carnevalizzata)
- In Giù la testa, Juan, che alla fine diviene quello che era stato il suo compare Sean. Inizialmente opposti, i due compagni finiscono per essere la stessa persona, e, da egoista, Juan si trasforma in un vero e proprio eroe della rivoluzione popolare.
- In C'era una volta il West la personalità ambigua di Jill McBain, che appare moglie-madre, vedova distrutta, prostituta, amante-schiava, possidente. O Armonica, che, per assicurarsi la propria vendetta finale, salva la vita all'odiatissimo Frank.
- In C'era una volta in America, Noodles, che da traditore si scopre alla fine tradito; Il senatore Bailey, che si scopre essere Max.
10) Stessa cosa vale per i cambiamenti di nome. La mutevolezza e l'inconsistenza della denominazione non è che l'ennesima coordinata fatta saltare. Lo scambio di definizioni, il sovrapporsi dell'ambiguità, la consapevolezza della friabilità d'un reale che pare definito, scritto, imperturbato, ma che non lo è. Ed una volta di più, la confessione dell'apocrifo, allargata in questo caso al sistema stesso delle parole.
- L'uomo senza nome in Per un pugno di dollari è un vero e proprio caso limite.
- Allo stesso modo la tomba senza nome in Per qualche dollaro in più.
- Tuco che assume il nome del morto Carson in Il buono, il brutto, il cattivo.
- Armonica che enuncia per sé nomi di persone morte uccise da Frank, in C'era una volta il West.
- Sean che dichiara di chiamarsi John per facilitare le cose a Juan, in Giù la testa. E, al contempo, la similarità dei due nomi, John-Juan.
- Max che diviene il senatore Bailey; il figlio dello stesso Max che si chiama David, il vero nome di Noodles (Noodles è un soprannome). Entrambi in C'era una volta in America.
11) Un fattore importante nello sguardo metacinematografico di Leone è la matrice ludico-infantile. Non di rado le azioni dei personaggi adulti sono parallele agli atteggiamenti dei bambini, e viceversa, avvicinate in un rapporto di continuità generazionale. Come s'è detto, addirittura lo sguardo filmico leoniano appare come quello di uno spettatore bambino. Il fatto che nell'azione della trama il carattere di gioco predomini su quello di serietà è segno evidente di un'atmosfera da sogno, irreale, immaginaria, di vera e propria simulazione ludica, come nel giocare dell'infanzia. Leone riprende nostalgicamente l'immaginario di quell'età spensierata, che riflette un po' da tutta la creazione artistica nella storia dell'uomo. E lo spettatore non può che esserne partecipe emozionato, perché quello stesso immaginario è radicato indelebilmente nella sua memoria d'uomo e di bambino. Una tipologia di visione ed un modo di sentire che non possono che accomunare tutta la platea.
- In Per qualche dollaro in più, i tre ragazzini, che assistono nascosti al duello tra Mortimer ed il Monco, quando questi si pestano vicendevolmente i piedi con aria di sfida, esclamano "Guarda, fanno come noi". O l'espressione fanciullesca che ha l'Indio tutte le volte che s'immerge nel ricordo; anche la musicalità stessa del carillon porta ad un'atmosfera infantile. Sempre l'Indio dimostra incapacità di linguaggio, proprio come un bambino, quando chiede del fumo al Niño dopo il duello con l'uomo che l'aveva fatto imprigionare.
- Il figlioletto di McBain, che nella scena della battuta di caccia finge di sparare a raffica agli uccelli in volo, imitando il padre, in C'era una volta il West.
- Il figlio piccolo di Juan, assatanato di violenza e voglia di sparare, in Giù la testa. La violenza radicata nell'essere umano fin dal suo principio.
- I piccoli gangster che s'incontrano e stipulano affari con i gangster adulti, in C'era una volta in America. Oppure la meravigliosa scena della charlotte russa, dove il desiderio d'una golosità tutta bambinesca vince la curiosità di un'ancora precoce appetito sessuale.
12) Da non trascurare è l'aspetto diffuso della farsa-truffa, questa volta non celata dal testo filmico e narrativo, ma parte reale della vicenda. La metacinematograficità appare qui sdoppiata, come in un ulteriore disarmante gioco di specchi. Il disorientamento è multiplo: una farsa reale nella realtà falsa della finzione filmica. In questo caso più che mai lo sguardo dello spettatore c'è e si nota, nella sua presenza aleggiante e traslucida.
- L'uomo senza nome che si finge ubriaco e la seguente truffa alle due famiglie rivali della città, facendo passare per vivi due cadaveri, in Per un pugno di dollari.
- La trovata del Monco di telegrafare la rapina a Santa Cruz, sebbene mai avvenuta, in Per qualche dollaro in più. O, nello stesso film, la "commedia" messa in piedi dall'Indio per fuggire da solo con i soldi ed il fido Niño. In questo caso una vera e propria composizione teatrale, con il coltello per incolpare l'assassino, la fuga incentivata ai due increduli prigionieri, la recitazione schizofrenica dello stesso Indio.
- Ne Il buono, il brutto, il cattivo, la truffa organizzata da Tuco ed il Biondo, con il primo che si fa consegnare alla legge, ed il secondo che riscuote la taglia e poi lo libera al momento dell'esecuzione.
- La prova del pezzo di stoffa, "creata" da Frank per incolpare Cheyenne del massacro della famiglia McBain, in C'era una volta il West.
- In Giù la testa la "menzogna" detta da John a Juan a proposito della rapina alla banca, con l'irlandese che inganna il compagno per trascinarlo dentro ad un'organizzazione rivoluzionaria. Juan pare uno spettatore incredulo di fronte ai discorsi della combriccola riunita, non riesce a raccapezzarsi tra quelle discussioni politiche che nulla c'entrano con la rapina.
- La ragazza morta nella bara, che si rivelerà viva, portata da Max come dono di ben tornato a Noodles uscito di prigione, in C'era una volta in America. L'intero sogno-redenzione di Noodles è poi una farsa giocata agli stessi spettatori, e, come detto, natura stessa del cinema e della narrazione.
13) La dilatazione esasperante del tempo e della sua durata, come anticipato, è una delle caratteristiche peculiari del cinema di Leone. Prima di tutto sotto l'aspetto filologico: l'allungamento della durata, dell'attesa, va di pari passo con la staticità imperante nella gestualità rallentata dei suoi eroi. All'interno di una narrazione mitologica-favolistica il tempo del narrato è decisamente diverso dall'effettivo tempo oggettivo.
E' evidente che lo spettatore percepirà un tempo così ampiamente straniato come un tempo falso, di finzione. Spesso è il suono-rumore ad essere la traccia d'interimmagine della presenza incessante del tempo (vedi la goccia che cade sul cappello del bandito, lo scrocchio delle dita, il rumore delle pale a vento, le cicale, nell'introduzione di C'era una volta il West; o i ventiquattro squilli di telefono in C'era una volta in America). Come detto i personaggi leoniani sono chiusi in un'epoca, cristallizzati, condannati ad un perpetuo eterno ritorno.
In un simile contesto lo scorrere del tempo disarciona e distende lungo un asse ripetitivo e proprio per questo maggiormente folto di soste, privo di fretta, perché la novità radicale rivelata dal futuro è già presente nell'estenuante appostamento . L'attesa traduce l'intensità dell'istante vissuto. Allo stesso modo è trattato il tempo in un gigante della letteratura mondiale quale è Dostoevskij. Nei romanzi dello scrittore russo si avverte un rallentamento del tempo che sfocia, arrivato all'apice della sua imperestensione, in una vera e propria crisi, in uno scontro drammatico, unico punto in cui tempo oggettivo e tempo della narrazione coincidono.
La crisi dostoevskijana può essere paragonata allo sparo risolutivo del duello leoniano. Leone compone il confronto tra duellanti con carrellate lente, lunghe, primi piani e dettagli di sguardi estesi in durata, in una dilatazione dilacerante del tempo, un'attesa di riflessione, di analisi, di presentimento della crisi-sparo-morte. Ed in questo parossismo, da alcuni definito un vero e proprio autoerotismo che sfocia nell'orgasmo della crisi-sparo, è disegnata un'esasperazione delle passioni, un confronto che non è solo quello tra due eroi, bensì quello dell'intera umanità di fronte alla propria esistenza. Ed anche in Leone il momento della crisi-sparo, come in Dostoevskij, è l'unico punto in cui pare che l'asse temporale della narrazione coincida momentaneamente con quello della realtà oggettiva, pronti a separarsi nell'immediato successivo.
Perché nella risoluzione del duello c'è la risoluzione della esistenza del personaggio, c'è la soddisfazione del suo obbiettivo, lo svelarsi della sua nemesi. In quell'istante egli coincide con la sua storia, pronto subito dopo a riviverla dall'inizio, nuovamente. In questa ciclicità mitologica però Leone differisce da Dostoevskij. Nel romanziere russo è evidente l'imprevedibilità della crisi, la sua libertà in atto nell'istantaneo, imprevedibile, appunto, perché non riducibile a ciò che ha preceduto la scelta . L'azione di Leone diversamente è scritta, ha copione, è fasulla nel suo divenire, già presente nella coscienza del personaggio, e soprattutto in quella dello spettatore. Lo spettatore sa che il duello è inevitabile, se lo aspetta sempre prima della conclusione, perché è la rappresentazione d'un destino, quel destino che sente accomunarlo al personaggio stesso. Leone narra nella favola, in un passato fermo in un immobile presente. Dostoevskij narra in contemporaneo, nel presente della sua epoca. Dostoevskij racconta un dramma contemporaneo. Leone racconta un mito.