Tra verità e falsificazione: il cinema di Atom Egoyan
di Aldo Spiniello
Il cinema di Egoyan è tra i più originali degli ultimi anni. È a volte spiazzante come le storie che racconta, teso e doloroso, ma al tempo stesso glaciale, implacabile, addirittura irridente. È un cinema che non è facile racchiudere in definizioni onnicomprensive, in schemi, anche perchè, pur conservando dei temi di fondo, col tempo si è fatto via via più complesso, stratificato. Lo stesso Egoyan è, per certi aspetti, un personaggio singolare. Il suo essere apolide lo ha portato a ragionare sui temi della memoria e dello sradicamento, sui traumi del passato e sulla solitudine.
Nato il 19 luglio 1960 al Cairo da genitori armeni, Joseph Egoyan e Sushan Devletian, Atom si trasferisce in Canada con la famiglia a soli tre anni. Acquisisce la cittadinanza canadese e a 18 anni inizia a frequentare l'Università di Toronto, avvicinandosi al teatro e al cinema. Nel 1979 gira il suo primo cortometraggio, Howard in particular, la storia di un uomo prossimo alla pensione costretto ad assistere a una registrazione di sei minuti, che gli ricorda i momenti peggiori del suo lavoro. Già emergono alcuni aspetti tipici del cinema di Egoyan: la crudeltà, la memoria e il ricordo, la falsificazione sottesa alle immagini, la tecnica invasiva. Altrove, come in Black Comedy (1987) e The Adjuster (1991), i video e le registrazioni diverranno sempre più parte integrante della narrazione, a simboleggiare un mondo in cui le macchine invadono la sfera erotica e sentimentale, snaturandola. Ma se le immagini sono capaci di fuorviare, generare mostri, sono anche latrici di un potenziale di verità. Come accade in Calendar (1993), in cui il protagonista, interpretato da Egoyan stesso, cerca di risalire al rapporto tra sua moglie e il suo assistente attraverso i video girati in Armenia. Il cinema può essere un mondo irreale, che vive di fantasmi e sogni propri, ma può anche divenire uno strumento unico di comprensione e d'interpretazione. L'immagine è finzione, simulacro del reale, ma anche verità, in quanto sguardo rivelatore sul mondo. Ecco. Finzione e verità. Un altro dei temi centrali di Egoyan, emblematicamente sintetizzato dal suo ultimo film False verità.
I film di Egoyan sono fuorvianti, sono disseminati di falsi indizi, di false piste, che fanno presagire false verità. È come se il regista volesse portare lo spettatore a formulare congetture, ipotesi, che poi vengono sistematicamente smentite o, quanto meno, riformulate, aggiustate, approfondite. Non è un caso che, a proposito di Egoyan, più di una volta si sia fatto il nome di Hitchcock, un regista che aveva fatto della manipolazione, della falsificazione del dato reale, la sua cifra stilistica. Anche Egoyan manipola le sue storie, per arrivare all'enunciazione di una verità altra, più profonda e sottile. E la verità, come insegnava Heidegger, è alétheia, ovvero non-nascondimento. La verità è un disvelarsi, una lenta fuoriuscita dalle tenebre. A poco a poco, le nebbie si diradano ed emergono la realtà dei fatti e i reali rapporti tra i personaggi. E nel cinema di Egoyan gli strumenti principali di questo disvelamento sono le immagini (gli innumerevoli video) e i flashback. L'intera opera di Atom Egoyan, infatti, rifugge quasi sempre da un normale svolgimento diacronico, per articolarsi in un gioco continuo di piani temporali diversi, dove passato e presente si alternano, illuminandosi di senso. I flashback e i video diventano così strumenti ermeneutici, volti alla scoperta della verità, del cuore profondo delle storie.
Prendiamo un film emblematico: Il viaggio di Felicia. Mr. Hilditch, il personaggio interpretato (magnificamente) da Bob Hoskins, è apparentemente un uomo placido e tranquillo, una persona gentile e generosa. In realtà nasconde orribili segreti, ed è solo attraverso i ripetuti squarci sul passato, le tante immagini registrate, che vengono alla luce i suoi tormenti e le sue colpe. Ciò vale anche per Felicia: all'inizio non sappiamo nulla della sua vita, dei reali motivi del suo viaggio, ma a poco a poco il passato si "svela", mostrando i suoi rapporti con il padre e il fidanzato. Si prenda, ancora, Exotica. Eric/Elias Koteas è geloso di Christina/Mia Kirshner. Perchè? Francis/Bruce Greenwood sembra un maniaco represso, ossessionato dalle adolescenti. Ma qual'è il reale motivo della sua apparente morbosità? Che cos'è Christina per lui? E Tracey/Sarah Polley? Sono, per lo più, i flashback a rivelarlo. Nulla di nuovo, si dirà: il ricorso al flashback ha quasi sempre avuto una valenza esplicativa, gettando luce sull'intreccio. Ma la differenza sostanziale del cinema di Egoyan, ripetiamo, è che il flashback non chiarisce, ma svela, si svela, ovvero si fa strada in una coltre oscura di false congetture e tracce fuorvianti. Più che un espediente narrativo, diventa un vero e proprio modo espressivo che sottende una riflessione esistenziale, una poetica. Egoyan, giocando con gli strumenti della "visione nella visione" e del flashback, si concentra sul concetto di memoria. Concetto che, come al solito, ha valenza ambigua, molteplice. Da un lato la memoria è schiavitù nei confronti del passato (Mr. Hilditch è schiavo del ricordo di sua madre, Francis del ricordo della figlia ecc.), ma è anche la chiave per interpretare e capire il presente, oltre che il portato di un vissuto e, quindi, un patrimonio morale (in Ararat la memoria trascende i singoli personaggi, per farsi coscienza di un intero popolo, quello armeno, costretto a subire vessazioni e crudeltà).
Naturalmente i problemi e le riflessioni su uno stile che fa della memoria il suo punto focale possono ampliarsi. Si pongono questioni sulla soggettività del ricordo e sulla parzialità dei punti di vista (in False verità, la ricostruzione del passato è il frutto di un racconto polifonico, a più voci). Ma ciò che qui preme sottolineare è come Egoyan, attraverso il passato, ragioni sui dolori e le miserie del presente. Il suo cinema, complesso e implacabile, alla fine non fa che parlare di solitudine, perdita, di paura e sofferenza. È un cinema che, un po' come quello di Lynch, scava nelle pieghe dell'animo umano, per rintracciare, al di là delle apparenze, il lato oscuro, il principio della corruzione e del dolore.