David Lynch: dalla tela all'inquadratura
di Caterina Rossi
Il percorso cinematografico di David Lynch,
trae origine dalla sua attività di pittore, iniziata
alla Pennsylvania Academy of Fine Arts di Philadelphia, nel
1965, dove cominciò a dipingere tele di grandi dimensioni
con sfondi a grandi campiture nere, abitate da figure inquietanti.
La prima di queste è intitolata The Bride, rappresentazione
di una sposa che abortisce da sola. Il parto, inteso come momento
generativo, ma allo stesso tempo drammatico e carico di orrore
nel suo manifestarsi con viscidi liquidi organici, sarà
un motivo ricorrente anche nel suo cinema. L'atto riproduttivo
viene rappresentato come un meccanismo partenogenetico oscuro,
in cui l'umano trae vita dall'inorganico, dalla terra o da un
seme, come nel cortometraggio The Grandmother (1970),
oppure dà origine ad esseri mostruosi, come il figlio
di Mary X ed Henry Spencer in Eraserhead (1976). Alla
Pennsylvania Academy Lynch viene a conoscenza dell'opera dei
grandi Action Painters americani, come Jackson Pollock,
con le sue accumulazioni frenetiche di materia attraverso il
dripping, e Franz Kline, dal segno irruento che porta
dentro sé il concetto stesso di azione. Il fermento del
"movimento informale" si era da poco esaurito se si
considera come epilogo il 1961, con la rassegna "American
Abstract Expressionists and Imagists" al Peggy Guggenheim
Museum di New York. La poetica informale aveva aperto il campo
ad un nuovo approccio alla pittura che prevedeva lo scontro
corporeo e carnale con la materia, la sublimazione dell'esistenza
dell'artista attraverso l'immersione nel segno o nella pasta
materica della propria opera. David Lynch, nella sua attività
pittorica, pur non essendo influenzato per quanto riguarda l'operatività
da artisti come Pollock e Kline, utilizza quel meccanismo di
immersione-scontro con il mondo che è proprio della poetica
informale, indagando il reale nei suoi gangli più nascosti
e vitali, mostrando l'angoscia e la tensione esistenziale della
vita contemporanea.
I dipinti del cineasta americano sono per
la maggior parte caratterizzati da una dimensione molto estesa
e da colori lividi, pesti. Il nero è il colore dominante,
e la riconoscibilità delle figure è quasi totalmente
bandita. Il colore serve per svelare ciò che fuoriesce
dalla superficie scura. L'artista ritiene il colore troppo limitante,
troppo reale, poco onirico. La dimensione onirica che apre il
nero è la conseguenza della negazione di qualunque rappresentatività,
l'interpretazione del quadro diviene possibile solo entrandoci
dentro, senza cercarne un'interpretazione approssimativamente
razionale. Il nero mette in crisi la percezione ottica e lo
sguardo viene inghiottito in una vertigine, l'occhio assume
quindi una nuova funzione, oltre a quella visiva, e si fa tattile,
toccando le forme e i colori. Nei dipinti l'occhio viene attratto
dalla materia coagulata, dai corpi deformati che si fanno frammento,
quindi corpo solo potenziale. Per Lynch l'atto del dipingere
è lo strumento evocativo della dimensione onirica, che
si manifesta nei suoi quadri come un vero e proprio scarto dimensionale.
Un aspetto questo che sarà percepibile anche in alcuni
dei suoi film come Eraserhead, Twin Peaks - Fire walk
with me (1992) e Mulholland Drive (2000). La pittura
diviene il mezzo per fissare idee e immagini, colte nel momento
in cui gli occhi si chiudono, aprendosi verso la visione interiore
dell'artista. La pratica pittorica si manifesta come un vero
e proprio scontro carnale e fisico con la tela, il pennello
rappresenta una barriera per il regista, e allora la stesura
del colore avviene quasi completamente con le dita, in un'azione
dal sapore infantile e ludico. Il suo metodo operativo permette
di dialogare con il caso. I dipinti nascono dall'azione e dalla
reazione del colore, sotto la guida dell'artista, che instaura
con esso un rapporto simbiotico di scambio. Interrogato sul
valore che la pittura assume nella sua vita, Lynch afferma:
"In pittura esistono elementi che valgono per ogni aspetto
della vita […] Ci sono cose che non possono essere espresse
con le parole. È all'incirca questa la natura della pittura;
ed è, per quanto mi riguarda, in gran parte anche quella
del fare cinema. Ci sono le parole e ci sono le storie, ma ciò
che puoi dire con un film non lo puoi esprimere a parole. È
proprio qui che sta il bello del linguaggio cinematografico:
e ha a che fare col tempo, col concetto di giustapposizione
e con tutte le regole della pittura. La pittura è un'arte
che si trascina dietro tutte le altre" (1). Quindi la pittura
viene considerata dal regista come l'atto creativo primigenio.
Il cinema, suo illustro erede, riesce ad isolare i frammenti
mostrando i rapporti molteplici che costituiscono il reale,
ricomponendoli sullo schermo. L'azione d'indagine sotto il derma
della realtà si muove dallo sguardo del pittore, con
tutte le conseguenze che riguardano il ritmo e la composizione,
non solo nei suoi quadri, ma anche nella sua produzione cinematografica.
Durante gli anni Ottanta e fino alla metà
degli anni Novanta l'attività pittorica di David Lynch
è incentrata sul tema ricorrente della casa, in riferimento
ai ricordi dei luoghi dell'infanzia come Boise, Idaho e Spokane,
Washington. Nel dipinto Shadow of a Twisted Hand Across My
House (1988), si avverte subito una sensazione di pericolo;
in primo piano all'estrema destra del dipinto si staglia una
mano stilizzata dalla forma irregolare che minacciosamente si
avvicina verso una casa, accennata da pochi segni. La scena
è sovrastata da un sole reso come grumo materico, che
anziché illuminare partecipa a creare la condizione complessiva
di intimidazione. Lo sfondo è buio, terroso e mosso da
pennellate orizzontali. Suddenly My House Became a Tree of
Sores (1990) presenta uno sfondo simile all'opera precedentemente
descritta, ma in questo caso ciò che avviene non è
causato da una minaccia esterna, ma scaturisce dalla casa stessa,
che subisce una trasformazione orribile e induce le forme di
vita che la abitano, degli esseri informi e affusolati, ad uscire
da essa con uno slancio disperato. Ants in My House (1990)
mostra al centro la struttura di un'abitazione dalle pareti
inesistenti, divorata da formiche stilizzate, posizionata tra
due segni chiari verticali (pali? alberi?) che la proteggono
oppure la costringono ad essere annientata. È proprio
osservando questi dipinti che è possibile intravedere
quello che di fatto è un tema ricorrente nel cinema di
David Lynch: la soglia indiscernibile che unisce e contemporaneamente
separa la familiarità di luoghi conosciuti, come la casa,
e la non-familiarità di luoghi dove tutto è falsato
da scarti dimensionali continui, intrisi di ciò che Freud
chiamava unheimlich, il perturbante. Le sue opere sembrano
mostrare l'orrore e la meraviglia che può provare un
bambino davanti a ciò che non comprende. Il familiare,
visto da diverse angolazioni, può nascondere il perturbante,
e trasformarsi nella cosa meno familiare del mondo. Il quotidiano,
sotto la sua esteriorità, nasconde fantasmi. È
ciò che accade in Blue Velvet (1986), dove, sin
dalle inquadrature iniziali, vengono proposti frammenti di vita
quotidiana nella ridente cittadina di Lumberton: staccionate
bianche con rose rosse e tulipani gialli rigogliosi, bambini
che attraversano ordinatamente la strada, un uomo (il padre
di Jeffrey, il protagonista del film), che innaffia il giardino.
Ma subito dopo Tom Beaumont, il padre di Jeffrey Beaumont, cade
a terra nel giardino colto da un malore, un cane beve l'acqua
che fuoriesce dal tubo per innaffiare rimasto rigidamente in
mano all'uomo, un ralenti su questa inquadratura e la
macchina da presa si muove rasoterra, nell'erba, scovando insetti
brulicanti. Anche il suono cambia: dalla canzone rassicurante
di Bobby Vinton che ispira il titolo del film, si passa al rumore
quasi industriale delle elitre degli scarabei che si muovono
incessantemente. Già dall'inizio si passa da una dimensione
apparentemente familiare ad una dimensione non più riconoscibile
come normale. Col procedere del film ci si accorgerà
che Lumberton cela parecchi misteri.
Lo stesso meccanismo verrà sviluppato
nella serie televisiva Twin Peaks (1990-1991), e poi
nel prequel Twin Peaks - Fire walk with me. La serena
cittadina di Twin Peaks, con l'omicidio di Laura Palmer, svelerà
i suoi aspetti più torbidi: violenza, prostituzione,
omicidio e una dimensione "altra", la Red Room,
luogo senza spazio e senza tempo. Il cortocircuito logico che
si percepisce nel cinema del regista, è dato dall'estrema
normalità e familiarità delle situazioni e degli
oggetti esplorati. Lo shock si genera nell'interstizio sottile
che separa il familiare dal non familiare. L'eccesso di familiarità
insinua il dubbio che ciò a cui si assiste nel cinema
di Lynch nasconda qualcosa di ignoto e perturbante. Non si tratta
di ricercare il superamento della realtà sublimata in
una surrealtà; si assiste al contrario alla messa in
scena di una realtà potenziata, un reale più vero
del reale, un'iperrealtà. Nei suoi film è facile
incontrare figure immobili, statiche, come congelate in un attimo
infinito. Stasi che viene intesa non solo come immobilità
ma anche come rottura; il termine stasis, proveniente
dal greco, possiede infatti una doppia valenza e può
significare allo stesso tempo "l'essere in quiete, la permanenza
in un determinato stato" e "situazione di disordine,
di rivolta". David Lynch attraverso l'immobilità
dei corpi attua una sorta di sovvertimento silenzioso dei codici
cinematografici. Ci si ritrova subito nel territorio dell'unheimlich,
del perturbante freudiano, collegabile a tutti i fenomeni legati
al concetto di "doppio", inteso come creazione che
risale ad uno stadio mentale primitivo ormai rimosso. Lo sdoppiamento
della personalità produce un effetto di perturbamento
profondo collegato ad eventi apparentemente dimenticati.
L'unheimlich é presente in filigrana in tutto
il cinema lynchiano, e si rende manifesto in quelle situazioni
di apparente familiarità in cui invece nulla è
ciò che sembra. Il tutto viene amplificato dal regista
tramite attentati alla sequenzialità e alla certezza
della definizione dei personaggi che, attraverso un processo
di sdoppiamento, si caratterizzano per la loro identità
fluttuante. È ciò che accade in Lost Highway,
con la coppia Fred Madison/Pete Dayton e Renée Madison/Alice
Wakefield (interpretate entrambe da Patricia Arquette), in Mulholland
Drive, con Betty Elmes/Diane Selwyn (Naomi Watts) e Rita/Camilla
Rhodes (Laura Elena Harring), e in Twin Peaks, nel personaggio
di Laura Palmer che oltre a possedere una doppia vita corrispondente
all'alternanza giorno/notte, allo stesso tempo si "reincarna"
in Madeleine, sua cugina, interpretata dalla medesima attrice
(Sheryl Lee). Identità molteplici che si situano nello
scarto tra heimlich e unheimlich, dove attraverso
l'intensificazione della realtà visibile viene potenziato
l'atto del guardare. L'occhio del pittore era divenuto quello
del regista, mosso dalla necessità di vedere ancora di
più, di guardare, di cogliere il movimento. Il regista
invita lo spettatore a compiere il suo stesso movimento: "vedere
oltre" e abbandonare definitivamente la condizione di chi
vede solo in superficie.
Analizzando i due autoritratti I See
Myself (1992) e That's Me in Front of My House (1988)
si può comprendere come per Lynch la perdita della riconoscibilità
avvenga in primo luogo sul corpo dell'artista, del quale rimane
semplicemente una struttura stilizzata e scheletrita. Nel primo
dipinto, la tela è suddivisa diagonalmente da una pennellata
cangiante che crea una sorta di limite, di confine tra le due
dimensioni. Sulla destra compare una sagoma dal cranio sproporzionato,
un volto ridotto a residuo anatomico. Sulla sinistra, in posizione
speculare la medesima sagoma si mostra come ombra, impronta.
Le due metà divengono testimoni della rottura tra corpo
ed immagine riflessa, concreto esistere ed ombra, luce ed oscurità.
La pittura, e soprattutto il cinema, di Lynch, si collocano
precisamente nella zona "franca" tra luce e oscurità,
dove la forza e l'energia dei contrari, si sprigionano alla
massima potenza possibile, rendendosi visibile attraverso la
costituzione di una nuova ed unica entità. Il secondo
dipinto è dominato da una figura che si sviluppa in altezza.
Gli arti inferiori, assottigliati fino a farsi linea, perdono
la funzione primaria di dare stabilità al corpo e assomigliano
a lunghi trampoli, dall'alto dei quali è possibile vivere
solamente in una condizione di precarietà, di equilibrismo
continuo. Del volto rimane un ammasso materico, i lineamenti
deformati. È palpabile il senso di vertigine imminente,
la figura sembra voler scivolare fuori dal quadro, verso lo
spettatore, anelando ad un equilibrio definitivo. Per raggiungere
l'armonia bisogna passare attraverso la vertigine. Nei film
del regista, tutto ciò trova un suo corrispettivo nel
deragliamento narrativo e di senso, come in Lost Highway
(1996) o in Mulholland Drive. La narrazione, per poter
parlare di un senso altro, per raggiungere l'epifania del senso,
deve abbandonare il comune sentire e farsi vertigine, attraverso
reincarnazioni temporanee, come quella di Fred Madison e Pete
Raymond Dayton in Lost Highway, l'apertura della scatola
blu in Mulholland Drive o l'esperienza di Dale Cooper
nella Red Room nel 29° episodio di Twin Peaks.
Per avvicinarsi ancora più in profondità
al rapporto che si instaura tra il cinema e l'attività
pittorica del regista americano, è senz'altro utile evidenziare
le tracce della poetica di un'artista che egli ammira moltissimo
e che risulta fondamentale per la sua formazione pittorica e
in seguito cinematografica: Francis Bacon. Di questo artista,
Lynch apprezza la combinazione tra i soggetti e lo stile, la
loro coniugazione perfetta, lo spazio, la lentezza e la velocità.
Bacon, attraverso un'opera non riconducibile ad alcuna corrente
artistica, caso isolato di inaudita potenza, propone una spietata
e passionale rappresentazione dell'uomo contemporaneo. Osservando
il trittico Three Studies of a Human Head (1953), e quasi
tutta la produzione artistica di Bacon, si può facilmente
notare come un motivo ricorrente nella sua pittura sia la rappresentazione
del grido. Le bocche sono spalancate, non per mostrare l'orrore,
ma il grido in se stesso, come spasmo fisico del corpo, dei
muscoli del capo, grido concreto e non simbolico o metaforico.
Il grido diviene luogo di manifestazione delle forze intangibili,
della sensazione che agisce carnalmente con il corpo. Le figure
di Bacon, tese in urla laceranti, portano dentro se stesse una
dimensione animale latente, volti trasfigurati nella tensione
muscolare e dell'urlo. Il grido è un fatto che si spiega
da sé nella sua incomunicabilità e il pittore
lo registra; l'orrore che potrebbe averlo generato è
uno stato d'animo che invece necessita di narrazione. Se l'evento
scatenante dell'urlo fosse presente all'interno dei quadri,
si instaurerebbe immediatamente una relazione narrativa che
attenuerebbe la potenza della sensazione, che è percepibile,
ma non comunicabile in termini di narrazione. Lynch eredita,
per certi versi, questo interesse per la plasticità dell'azione
del grido, dell'indiscernibilità tra urlo umano e disumano,
trasponendolo sul volto dei suoi personaggi: Frank Booth in
Blue Velvet e soprattutto Bob in Twin Peaks, colto
ripetutamente nell'atto dell'urlo, trasfigurato nel processo
del divenire animale. Il regista è interessato alle trasformazioni
fisiche che scalfiscono a livello concreto il viso e, oltre
che sul grido, la sua attenzione si focalizza spesso sul pianto
e "mostra come il pianto arrivi, simile a una lenta costrizione,
che altera e rende convulso il volto senza coinvolgere il corpo
(è uno sconvolgimento immobile). Né esita a far
vedere sul volto di colui che piange ciò che viene considerata
la sua bruttezza" (2). Pianto rappresentato senza lacrime,
che mira piuttosto ad indagare la plasticità del volto,
la sensazione che abbruttisce il personaggio, l'atto del piangere
come semplice azione corporale, al di là del dolore che
ha innescato le lacrime. Come non ricordare Sarah Palmer quando
apprende della morte della figlia nell'episodio pilota di Twin
Peaks, oppure le improvvise crisi di pianto di suo marito
Leland o ancora il volto di Sandy, imbarazzante nella sua deformazione
dovuta al singhiozzare convulso, in Blue Velvet. Ciò
che viene mostrato è l'impeto fisionomico, l'alterazione
corporea.
L'opera di Francis Bacon influenza il regista
in modo tutt'altro che banale. La citazione non è diretta,
ma la tensione delle sue figure viene metabolizzata da Lynch
e trasposta in modo nuovo sui corpi degli attori. La logica
della sensazione diviene componente organica della sua attività
artistica, arricchendo e intessendo fertili dinamiche di scambio
con il suo immaginario cinematografico. La necessità
primaria dell'occhio del pittore-regista, è sondare il
reale mediante avvicinamenti successivi, indagarne il pulsare
vitale, il segreto che abita nella soglia dell'unheimlich.
Quest'azione si realizza ricorrendo ad una produttiva dinamica
di scambio nella zona interstiziale in cui la pittura e il cinema
entrano in contatto, compenetrandosi indissolubilmente.
Note:
(1) Rodley C., (a cura di), Lynch secondo Lynch, Baldini
& Castoldi, Milano, 1998, p. 48.
(2) Chion M., David Lynch, Lindau, Torino, 2000, p.
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