Il cinema di Aleksandr Sokurov. Echi di suggestioni 
                  pittoriche
                di Denis Brotto
				  
                
 
                Tra i fattori più significativi 
                  nell'opera di Aleksandr Sokurov vi è senza dubbio la 
                  capacità di rappresentare l'immagine di Dio. Una rappresentazione 
                  che si sviluppa senza mai ricorrere in modo diretto all'uso 
                  della figura di Dio o dell'immagine cristologica. Sokurov preferisce 
                  caratterizzare la presenza di un'entità superiore attraverso 
                  una raffigurazione del divino calato in un contesto terreno, 
                  strettamente legato alla vita quotidiana. È un approccio 
                  che risente da vicino anche dell'influenza della cultura orientale, 
                  oltre che della tradizione bizantina e della teologia iconografica. 
                  Un tentativo di incarnare Dio nei volti e nelle esperienze di 
                  persone qualunque, di esseri umani che affrontano in ogni momento 
                  le difficoltà portate dalla vita. L'immagine che contraddistingue 
                  i suoi lavori è fatta di intimità, di segreto, 
                  di rivelazioni solo intuite, solo sussurrate e, tuttavia, non 
                  completamente udite. Il suo lavoro visuale è avvolto 
                  nel mistero di un lungo silenzio, in grado di donare alla stessa 
                  aria la capacità di aprire le nostre anime, di aprirle 
                  al più profondo ed autentico senso spirituale dell'esistenza. 
                
                Il fine dell'Arte non è dunque quello 
                  della sua perpetuabilità, bensì quello di riuscire 
                  a superare le debolezze dello spirito umano, di dare aiuto all'uomo 
                  nel suo personale tentativo di evoluzione spirituale. La relazione 
                  che si deve venire a creare tra autore e osservatore è 
                  fatta di reciproca confidenza, di un desiderio di delicatezza 
                  nel poter scoprire assieme che cosa si celi realmente dietro 
                  all'immagine. Il senso primario, quello pensato, cercato, voluto 
                  e trovato dall'autore, deve rimanere per certi versi in sospeso. 
                  La sua sensibilità deve aiutare l'uomo ad aprire la propria 
                  coscienza, ad aprire il proprio spirito, in un profondo intento 
                  di ricercare, di tornare a cercare, un senso di verità 
                  all'interno della propria esperienza di vita. Non si deve trattare 
                  di un semplice e scontato trasferimento di un messaggio, di 
                  un preciso e già delineato significato attraverso il 
                  significante immagine. 
				    
                
 
                Ma parlare di immagine nel cinema di Sokurov 
                  significa primariamente evidenziarne l'origine e la forte attrazione 
                  pittorica. Ogni scena, ogni ambiente, ogni scelta cromatica 
                  e di composizione del quadro racchiude in sé infinite 
                  suggestioni pittoriche, in grado non solo di rafforzare lo spessore 
                  culturale che sta alla base delle sue opere, ma anche di ricreare 
                  quella tensione e quel senso di stupore che in genere può 
                  essere avvertito in modo così forte e distinto dinanzi 
                  ad un quadro. L'opera cinematografica non riesce abitualmente 
                  a conservarne le stesse proprietà emotive. Il linguaggio 
                  che sta alla base del cinema, profondamente diverso da quello 
                  che caratterizza la pittura, va ad influire anche sulle modalità 
                  di sviluppo delle due differenti tipologie di opere. La cura 
                  per i singoli quadri che compongono un film è inevitabilmente 
                  inferiore rispetto all'attenzione per i dettagli, e alla forza 
                  attrattiva di sfumature e accenti dell'opera pittorica. La presenza 
                  di uno sviluppo narrativo da concepire e strutturare lungo tutta 
                  la durata di un film, determina inoltre anche una forma di impedimento 
                  a racchiudere, come avviene invece nella pittura, un intero 
                  mondo di personaggi, ambienti ed eventi, all'interno di una 
                  singola immagine. Queste diversità, per lo più 
                  di natura strutturale, determinano dunque anche una differente 
                  emotività per lo spettatore, e uno stato di tensione 
                  che, passando dall'osservazione di un'opera pittorica a quella 
                  di un'opera filmica, muta notevolmente sia per intensità 
                  che per tempo di sviluppo.
                Pittura quindi come evento emotivo univoco, 
                  d'impulso per lo più immediato, la cui bellezza attrae 
                  e mozza il fiato proprio per mezzo di una singola immagine. 
                  Il testo cinematografico, viceversa, sembra in genere disperdere 
                  questa tensione, discioglierla e disseminarla in molteplici 
                  direzioni, scandirla in tanti piccoli momenti, preferendo in 
                  sostanza la lusinga, il temporeggiare, il giocare con lo spettatore, 
                  concedendogli con parsimonia i propri indizi e le proprie virtù, 
                  ma di fatto anche perdendo quell'immediatezza e quella passione 
                  tipiche della pittura.
				    
               
                Sokurov costituisce però una delle 
                  poche eccezioni nel panorama cinematografico, uno dei pochi 
                  casi in cui questa tensione, questa centralità emotiva 
                  riesce a rimanere, ravvivandosi e riaccendendosi in continuazione, 
                  inquadratura dopo inquadratura. Il profondo intervento che Sokurov 
                  opera sull'immagine, per mezzo di obiettivi deformanti, lenti 
                  anamorfiche, texture e solventi che mutano e modulano 
                  l'immagine sulla pellicola, ricrea quelle specifiche impressioni 
                  e suggestioni abitualmente riscontrabili nella pittura, caratterizzando 
                  in modo specifico il suo cinema, e confermano il suo valore 
                  di "cineasta-pittore". L'operare direttamente sullo 
                  spazio, il rimodellare volti ed ambienti per mezzo della luce, 
                  l'applicare distorsori ottici direttamente sull'immagine, spesso 
                  porta a ricreare gli elementi oggetto del suo cinema, a ricostruire 
                  e riformulare quei mondi e quelle sensazioni con cui abitualmente 
                  l'uomo ha a che fare. Sokurov lavora sullo spazio concesso dall'obiettivo 
                  proprio come fa un pittore su una tela, andando a creare profondità, 
                  a sviluppare la spazialità, a fletterla, estenderla senza 
                  tener conto delle limitazioni imposte dalla natura. 
                Non solo l'individuo, ma anche gli oggetti, 
                  la materia, ogni cosa presente all'interno dello spazio, può 
                  essere considerata come una sorta di corrugamento, di raggrinzimento 
                  dello spazio, come un "luogo di curvatura particolare" 
                  dello spazio stesso. È come se tutto potesse in un certo 
                  senso essere ricondotto ad una visione primordiale dell'ambiente 
                  basata su un insieme di linee e di formule. Si assiste ad un 
                  processo in cui, non solamente l'uomo, ma ogni cosa materiale 
                  viene a perdere i propri tratti, i propri caratteri primari, 
                  la propria fisionomia. Sono le stesse parole di Sokurov a chiarire 
                  questa concezione dello spazio, visto sempre più come 
                  habitat divino, come eden immacolato. "Presto non ci sarà 
                  paesaggio alcuno. Ma solamente luce ed ombra espresse in spazi 
                  geometrici". Una concezione che avvicina enormemente l'idea 
                  di spazio di Sokurov a quella di altri importantissimi artisti 
                  russi di inizio Novecento. Il regista russo, nel suo cinema, 
                  non vuole raffigurare la realtà, riproducendone l'esistenza 
                  e l'oggettività, ma cerca di andare oltre al reale, oltre 
                  al naturale. Il suo tentativo appare dunque estremamente vicino 
                  a quello di pittori quali Vasilij Kandinskij, Natal'ja Goncarova, 
                  Vladimir Tatlin, Kazimir Malevic. Soprattutto quest'ultimo sembra 
                  rappresentare un referente importantissimo per cogliere i fattori 
                  che stanno alla base dell'idea di spazio elaborata da Sokurov. 
                  Malevic, infatti, diversamente da Kandinskij, evitava di risolvere 
                  la realtà in forme liriche di colore, prediligendo viceversa 
                  una sorta di primitività della raffigurazione, in cui 
                  l'oggetto non fosse più strettamente legato alle forme 
                  della natura, e potesse esprimersi attraverso forme base quali 
                  il quadrato, il cerchio, la croce.
				    
                
 
                Sokurov cerca inoltre, all'interno delle 
                  sue pellicole, di superare il carattere primario della luce 
                  quale strumento. La sua ricerca cromatica e sui livelli di luce 
                  è estremamente raffinata ed in grado di mutare il valore 
                  del fattore luce, considerato non più come mezzo, ma 
                  come fine. E strumenti divengono così proprio gli artifici 
                  tecnologici, le lenti, gli obiettivi, i filtri. "L'immagine 
                  creata attraverso un processore ottico possiede un altro grado 
                  di oggettività. Al contempo essa è estremamente 
                  soggettiva". Ogni opera diventa così anche una dimostrazione 
                  di quale sia l'apporto derivante dall'impiego di nuovi artifici 
                  tecnologici. "Cerchiamo di scegliere per ogni film una 
                  tecnologia nuova; nuovi strumenti ottici, un nuovo criterio 
                  di ripresa". Il film Pietra è stato realizzato 
                  con l'aiuto di alcuni strumenti ottici speciali, in grado di 
                  renderlo una sorta di acquerello monocromatico. Per Il secondo 
                  cerchio sono invece state utilizzate delle riprese effettuate 
                  tramite ologramma. In Toro e Moloch sono stati 
                  scelti degli obiettivi particolari, con apposite superfici fotoriflettenti, 
                  in grado di indirizzare l'immagine ancor più in senso 
                  pittorico.
                La composizione del quadro operata da Sokurov, 
                  la profondità dell'inquadratura, la prospettiva che si 
                  viene a realizzare, si caratterizza così in una via maggiormente 
                  impressionistica, discostandosi dall'essenza naturalistica dell'immagine 
                  cinematografica. Viene sondato il livello suggestivo, connotativi, 
                  di ciò che è rappresentato, senza soffermarsi 
                  troppo sul valore effettivo e realistico. I paesaggi naturali, 
                  gli ambienti, i volti umani, i ritratti dei personaggi storici, 
                  sono tutti attraversati e mutati dall'intervento dell'arte. 
                  Nel cinema di Sokurov non vi è l'intento di riprodurre 
                  una realtà. È un "cinema orfico", che 
                  crea nuovi mondi, nuovi ambienti, nuovi volti, andando a trasfigurare 
                  le forme abitualmente rinvenibili nel reale. Elena Hill ha definito 
                  l'opera di Sokurov come "un cinema di osservazione, basato 
                  sulla semantica dell'immagine". Da questi lavori emerge 
                  infatti una precisa volontà di rifiutare l'illusorietà 
                  del realismo e della tridimensionalità, preferendo a 
                  questa l'orizzontalità, la frontalità, il piano. 
                  "Ho smesso di illudermi che le immagini sullo schermo abbiano 
                  una profondità" ammette Sokurov, ed ogni inquadratura 
                  trova del resto una sua ulteriore dimensione nell'apporto tecnologico 
                  che il regista conferisce ad essa. Si sceglie l'utilizzo di 
                  una luministica in cui le iridi, lungi dal restringere il campo, 
                  spiritualmente lo allargano, andando ad incapsulare al loro 
                  interno la totalità del reale. La superficie liscia dell'immagine 
                  viene modificata e modellata, spesso attraverso l'intervento 
                  diretto di Sokurov, che va a colorare e dipingere a mano i propri 
                  obiettivi. Ciò che si ottiene è così una 
                  forma di opacità ai margini dell'immagine, che la rendono 
                  ancor più onirica, sognante, spirituale.
                La gerarchia artistica da lui definita 
                  per lavorare sull'aspetto visivo delle sue opere lascia intravedere 
                  questo diverso utilizzo di riferimenti culturali, di fattori 
                  tecnologici, di concetti artistici spesso assenti dal linguaggio 
                  cinematografico e che caratterizzano in maniera assolutamente 
                  unica il suo cinema. "Ho speso molto tempo per familiarizzare 
                  con questo processo, per entrare al suo interno e per trovare 
                  un mio personale modo per liberarmi da questo". I film 
                  di Sokurov emanano, ognuno in modo differente, questa singolarità 
                  e questa visione personale del mondo e, opera dopo opera, sviluppano 
                  in maniera inscindibile questa relazione tra quadro e opera 
                  filmica, legame suggellato inoltre dal singolo termine russo 
                  
kartina che egualmente li indica.
                  
                  

 
                  L'amore di Sokurov per la pittura romantica tedesca e per l'arte 
                  romantica in genere si è concretizzata in scelte estetiche 
                  e formulazioni visive in grado di creare spesso legami tra immagini 
                  filmiche ed opere pittoriche del passato. Caspar David Friedrich 
                  ha costituito ad esempio il modello ideale su cui sviluppare 
                  i quadri che compongono 
Madre e figlio. Sokurov ha apertamente 
                  ammesso, infatti, di essersi ispirato al noto dipinto del pittore 
                  tedesco 
Monaco sulla riva del mare, del 1809. Come in 
                  questo dipinto, la raffigurazione umana nell'opera di Sokurov 
                  occupa uno spazio estremamente limitato. Il cielo è infinito, 
                  e ciò non fa che accrescere il senso di solitudine e 
                  di sgomento per l'essere umano, di fronte alla sconfinata vastità 
                  dello spazio. Ma al di là di questo parallelo, attraverso 
                  i lunghi piani-sequenza del film e l'uso di lenti anamorfiche, 
                  Sokurov rivela, al pari di Friedrich, la profonda malinconia 
                  dell'uomo e l'esplodere silenzioso della natura, manifestando 
                  così un immenso legame tra l'uomo dello 
Sturm und 
                  Drang e quello che anima il suo cinema. L'analogia con i 
                  lavori di Friedrich è evidenziata inoltre dalla comparazione 
                  con i dipinti 
Viandante all'ombra delle querce di Rugen, 
                  del 1799, 
Veduta della valle dell'Elba, del 1807, e 
Paesaggio 
                  invernale, del 1811, in cui l'inverno diventa simbolo della 
                  speranza cristiana. Friedrich è del resto riferimento 
                  obbligato anche nel film che più esplicitamente firma 
                  il legame tra Sokurov e la pittura, 
Arca russa. Qui sono 
                  i dipinti 
Naufragio della speranza, del 1823, e 
Viaggiatore 
                  sopra un mare di nebbia, del 1818, a caratterizzare un'opera 
                  in cui Storia e Natura giungono ad equivalersi, ed in cui il 
                  naufragio di una determina inesorabilmente il declino dell'altra. 
                  Mentre l'Ermitage non può che svelare la sua natura di 
                  
luogo dello spirito e di morte fisica della Storia.
 
                La pittura di Rembrandt costituisce l'anima 
                  spirituale di Elegia del viaggio, film del 2000, il cui 
                  titolo di lavorazione, Nightwatch, riprende per l'appunto 
                  un'opera del pittore olandese. Elegia del viaggio ripropone 
                  in realtà anche l'idea di ronda notturna che sta alla 
                  base del dipinto, e costituisce, sia a livello filmico che reale, 
                  la rappresentazione del viaggio intrapreso da Sokurov per raggiungere, 
                  partendo da San Pietroburgo, un dipinto di Peter Saenredam al 
                  Museum Boijmans di Rotterdam. "Emotivamente il film è 
                  molto vicino a ciò che abbiamo vissuto veramente durante 
                  il viaggio attraverso l'Europa" racconta Jankowski, assistente 
                  di Sokurov. Un viaggio lungo, impervio, attraverso le nevi della 
                  Russia e della Finlandia e attraversato però dalla bellezza 
                  dei paesaggi e delle persone incontrate. Un viaggio intrapreso 
                  con l'obiettivo di raggiungere un'opera d'arte, la grandezza 
                  e la profondità di questa, così come accade anche 
                  nel cinema stesso di Sokurov. Il dipinto raggiunto a Rotterdam 
                  è Piazza e Chiesa di Santa Maria a Utrecht (1662) 
                  di Saenredam, un paesaggio della vecchia Europa, la piazza principale 
                  di una città, dove la luminosità serena della 
                  facciata della chiesa e l'azzurro tenue del cielo sembrano effondere 
                  un senso di placida armonia e di speranza.
				    
                
 
                Toro presenta invece una luce tendente 
                  al verde, o ad un blu latteo vicino ai colori usati nella pittura 
                  di Vermeer, creata dal direttore della fotografia, Anatolij 
                  Rodionov. Sokurov continua in questo film il suo lavoro di raffinazione 
                  dell'immagine. I paesaggi sono ancora una volta, proprio come 
                  per Madre e figlio e per Moloch, estremamente 
                  vicini alla forza visiva dei quadri romantici tedeschi. Quando 
                  vediamo Lenin disteso sul suo letto di morte, la luce verde 
                  che irradia la stanza da letto rende quest'ultima anch'essa 
                  un'entità cadaverica ed inerte. Non sembra la stanza 
                  di una casa ancora abitata, sembra pietra, una grigia entità 
                  marmorea. Anche Moloch è stato concepito come 
                  un'opera in cui la luce doveva in qualche modo essere ottenuta 
                  al pari di una tela, di un dipinto. Un quadro in cui tuttavia 
                  gli elementi raffigurati non fossero statici, bensì in 
                  movimento, e le cui ombre determinassero, per l'appunto, questo 
                  effetto di dinamicità e di continuo spostamento. Un incontro 
                  tra luce ed ombra in grado quindi di rinnovare le relazioni 
                  tra persone, cose ed ambienti.
                  
                  Sokurov si rifà alla pittura russa, ad artisti quali 
                  Savrassov o Borissov-Moussatov, ma anche a Turner, a Munch, 
                  al pittore americano Andrew Wyeth, all'arte giapponese, in un 
                  insieme di riferimenti culturali e pittorici in grado di sorprendere 
                  per precisione e capacità di accostamento. Un film come 
                  Pagine sommesse sembra in effetti testimoniare la vicinanza 
                  con Rembrandt, ed in particolare sembra dimostrare come anche 
                  per Sokurov la luce debba essere estratta dall'oscurità, 
                  come essa debba apparire dall'ombra, e non viceversa. La luce 
                  che così emerge è quindi un bagliore lontano, 
                  immerso in un bagno d'ombra. Pagine sommesse è 
                  interamente immerso in tinte fosche, buie, che tendono al nero, 
                  e in un'atmosfera resa ancor più pesante dagli elementi 
                  che queste immagini lasciano intravedere. Corpi che si gettano 
                  nel vuoto, individui che urlano disperati, uomini perduti in 
                  grovigli di creature infernali. E dalla bi-dimensionalità 
                  di queste immagini demoniache, una terza dimensione viene così 
                  a concretizzarsi. Si tratta di un livello che apparentemente 
                  si distacca dall'immagine, ma che in realtà va ad approfondirla, 
                  ad invaderla. Una dimensione fatta di suoni, di urla, di risate, 
                  di echi spettrali e di voci sospese. È il sonoro infatti 
                  a creare, in quest'opera, il naturale effetto della tri-dimensionalità. 
                  Il visivo appiattito, compresso e livellato acquisisce una dimensione 
                  prospettica proprio attraverso l'apporto dell'ambiente sonoro. 
                
				  
                
 
                Pagine sommesse evidenzia anche 
                  un altro particolare molto significativo. Nella sequenza in 
                  cui Raskolnikov stila la lista dei beni da impegnare, il naturale 
                  flusso di immagini subisce un arresto improvviso. La raffigurazione 
                  che blocca a sorpresa la narrazione, mostra una superficie acquosa, 
                  all'interno di un'architettura in rovina, dove si intravede 
                  una imbarcazione e un gruppo di persone. Sul soffitto si distingue 
                  una sorta di figura mitologica, come aggrappata al cielo. Non 
                  è immediatamente chiaro che cosa questa figura rappresenti. 
                  I colori vitali sono apertamente in contrasto con il buio e 
                  dissimulato ambiente cromatico del film. L'immagine è 
                  un affresco di Hubert Robert, pittore estremamente caro a Sokurov. 
                  Ed è un'immagine in grado di chiarire in realtà 
                  la giusta chiave di lettura di quest'opera filmica. Il modello 
                  pittorico e soprattutto architettonico del film risulta essere 
                  infatti estremamente affine a quello della scuola di Robert, 
                  detta "dei capricci architettonici", del XVIII° 
                  secolo. Il modo in cui Sokurov ricrea l'ambiente della San Pietroburgo 
                  di Delitto e castigo predilige dunque una sorta di irrazionalità 
                  spaziale, contraddistinta da arcate altissime, da canali che 
                  solcano il territorio della città, rendendola una sorta 
                  di labirinto. Non è quindi nell'approccio cromatico di 
                  Robert che vanno trovate le connessioni tra dipinto ed opera 
                  filmica, quanto nella rivoluzione visiva ed architettonica operata 
                  dal pittore e ripercorsa da Sokurov.
                Sempre analizzando la vita e l'opera di 
                  Robert, risulta interessante l'accostamento operato da Sokurov 
                  tra l'arte del pittore francese e la cultura giapponese, in 
                  un raffronto duale che rende il documentario Hubert Robert 
                  - Una vita felice uno dei lavori più completi e rivelatori 
                  del regista. La solitudine spaziale, il vuoto ambientale, il 
                  senso di mancanza che attraversa gli affreschi di Robert, e 
                  così angosciosamente riproposti in Pagine sommesse, 
                  vengono qui contestualizzati all'interno dell'arte giapponese, 
                  anch'essa in qualche modo segnata da questa solitudine. Le maschere 
                  da teatro che rompono la narrazione e l'emotività del 
                  breve film, testimoniano anche l'unitarietà estetica 
                  tra questi due poli, superando tradizioni culturali e confini 
                  geografici differenti. "Il Signore Dio ha creato una grande 
                  diversità di vita e una grande unitarietà d'arte", 
                  e il senso di ascensione elicoidale e di intimo mistero che 
                  tale accostamento tra la pittura di Robert e i paesaggi del 
                  Giappone viene a creare sembra anche corrispondere ad un implicito 
                  assenso all'idea di unitarietà dell'arte sostenuta da 
                  Sokurov.
                La voce solitaria dell'uomo apre 
                  un'altra possibile riflessione sull'utilizzo del colore all'interno 
                  dell'immagine. Il film presenta infatti, soprattutto nella seconda 
                  parte, una predominanza di tinte tendenti al rosso, di riflessi 
                  e di sfumature che rendono l'opera estremamente livida, vitale. 
                  L'utilizzo del colore ha una valenza anti-naturalistica, non 
                  seguendo in sostanza il normale insieme di sfumature e gradazioni 
                  del reale. Ricordando tuttavia il contesto narrativo del film, 
                  fatto di un forte senso di privazione e di annichilimento del 
                  proprio modo di vivere da parte del protagonista, si può 
                  tentare una considerazione sui motivi dell'impiego di questo 
                  particolare effetto cromatico. La luce rossa che filtra sull'immagine, 
                  riesce infatti a mutarne il senso, conferendo all'ultima sequenza 
                  dell'opera il suo più autentico valore di rinascita, 
                  di resurrezione e di ritorno alla vita per Nikita, protagonista 
                  del film. Analizzando le possibilità e gli effetti psichici 
                  prodotti dal colore, Kandinskij sosteneva come il valore cromatico 
                  dell'immagine sortisse una sensazione non solo emotiva ma addirittura 
                  fisica per lo spettatore. Una sensazione mutabile, del resto, 
                  proprio in relazione al colore osservato. Il filtro rosso utilizzato 
                  nell'ultima parte di La voce solitaria dell'uomo, associato 
                  inoltre all'inserto integralmente rosso presente per qualche 
                  istante verso la fine del film, sembra in effetti voler creare 
                  questa sensazione prima di tutto fisica, in cui, attraverso 
                  il contatto diretto del colore con l'occhio umano, l'osservatore 
                  giunge ad una gamma di percezioni ed esperienze psichiche remote, 
                  non più direttamente collegabili all'oggetto inizialmente 
                  considerato. La forza fisica primaria ed elementare del colore 
                  si trasforma così in forza emotiva, interiore, in grado 
                  di comunicare direttamente con l'anima dell'osservatore, andando 
                  al di là dell'iniziale rilevazione operata dall'occhio. 
                  "Il colore diviene il mezzo per influenzare direttamente 
                  l'anima".
				   
 
                Qualche cosa di simile accade anche in 
                  Madre e figlio. L'immagine presenta qui una particolare 
                  tendenza al verde, attraverso un effetto cromatico che caratterizza 
                  l'intero film. La luce verde, tenue e sfumata, che filtra dall'immagine, 
                  crea un effetto di dilatazione dello spazio in cui essa agisce. 
                  Anche il tempo, disteso sullo schermo, subisce un processo di 
                  amplificazione. L'immagine si mostra così all'occhio 
                  dello spettatore in modo apparentemente innaturale. Filtrato. 
                  Sfumato. Attraversata da una sorta di vapore che "diluisce 
                  i punti dell'inquadratura con un effetto di magica sospensione", 
                  dove degli alberi spesso non rimangono che le sagome e, del 
                  cielo, una tonalità giallo ocra che ne ricorda le sembianze 
                  nei momenti che precedono i diluvi, oltre a donare un senso 
                  di infinita lontananza temporale di quest'immagine ingiallita. 
                  Si realizza dunque una prospettiva inversa, una prospettiva 
                  cioè che, traendo ispirazione dalla pittura russa antica, 
                  va a creare una profondità non direttamente all'interno 
                  dell'immagine, bensì all'interno delle sensazioni e delle 
                  percezioni che l'immagine stessa suscita nello spettatore. È 
                  la profondità dell'anima, l'intimità spirituale, 
                  ad interessare in questo tipo di processo. La composizione del 
                  quadro, seguendo i precetti classici della pittura iconica, 
                  crea un valore fatto di suggestione e di ascesi, in cui la profondità 
                  spirituale dell'immagine diviene inesauribile, sconfinata. Si 
                  tratta di una visione in grado di impressionare intimamente 
                  anche attraverso il proprio contenuto e valore simbolico.
                Sokurov sembra del resto seguire la tradizione, 
                  l'arte e la disciplina dell'iconografia bizantina, in particolare 
                  di Andrej Rublëv, il più grande pittore di icone 
                  dell'antica Russia. Madre e figlio ripropone soprattutto 
                  il simbolismo rivoluzionario attuato da Rublëv nell'icona 
                  della Santissima Trinità. I fattori utilizzati 
                  da quest'ultimo, ricompaiono nella loro essenzialità 
                  nel film di Sokurov. Vi è il Padre, mostrato attraverso 
                  l'immagine dell'albero della vita. Vi è il Figlio, ovvero 
                  la montagna del Golgotha. E vi è lo Spirito, raffigurato 
                  grazie all'immagine della casa, vista anche come tempio. La 
                  vicinanza con la tradizione iconografica porta il cinema di 
                  Sokurov ad un livello metafisico, in grado di avvicinare l'uomo 
                  all'essenza più vera della vita e dell'amore per l'altro. 
                  Come il pittore d'icone, anche Sokurov costruisce nei suoi dipinti 
                  l'invisibile, il mondo dell'invisibile e della Grazia di Dio. 
                  Un mondo raggiungibile attraverso la contemplazione e la riflessione 
                  interiore. I simboli rimangono inspiegabili ed indicibili, eppure 
                  di fronte alla luce di queste icone cinematografiche 
                  si giunge alle soglie di quel processo denominato iconostasi, 
                  capace di portare l'uomo oltre il visibile. "L'iconostasi 
                  apre delle finestre, toglie i vetri che filtrano la luce spirituale, 
                  ci fa respirare l'eterico, e vivere nella luce della gloria 
                  di Dio". 
                Come testimoniato da Rublëv, da Florenskij 
                  e da Lermontov, le icone sono porte sull'eternità, e 
                  la loro forza è di poter agire sull'uomo, dimostrandone 
                  la sua vanità e superficialità. Attraverso il 
                  contatto con l'immagine iconica, l'anima dell'uomo trova una 
                  forma di risanamento e l'essere umano può raggiungere 
                  l'iconostasi. Il sacrificio, l'esercizio quotidiano verso l'obbedienza, 
                  l'umiltà, la carità, sono non solo alcuni dei 
                  temi più forti dell'opera di Sokurov, bensì anche 
                  le forme più consone per provare a raggiungere una sintonia 
                  con il mondo ultraterreno, di cui l'icona rappresenta al tempo 
                  stesso il risultato ed il tramite più adeguato e conforme.
                Bibliografia essenziale:
                  Alvaro Machado, Aleksandr Sokurov, Mostra Cosac & 
                  Naif, 2000
                  Intervista ad A. Sokurov di Lauren Sedofsky, Plane Songs, 
                  in "Artforum", novembre 2001
                  Intervista ad A. Sokurov di Georges Nivat, La vie n'est pas 
                  la mort, c'est le temps, in "Hors-Champs", n. 
                  9, primavera 2004
                  Elena Hill, Vers une archéologie esperimentale, 
                  in "Hors-Champ", n. 1, primavera 1999
                  A. Sokurov, "Sokurov di fronte a noi [lontano da noi]" 
                  in Aleksandr Sokurov - Eclissi di cinema a cura di E. 
                  Ghezzi, S. Francia-Di Celle, A. Jankowski, Torino
                  Carlo Chatrian, Film come quadri. Oltre la realtà, 
                  in "Cineforum" n. 385
                  Lorenzo Esposito, Le anime morte di Alexandr Sokurov, 
                  in "FilmCritica", n. 494, aprile 1999
                  Angelo Signorelli, La solitudine del dolore, in "Cineforum", 
                  n. 376, luglio-agosto 1998
                  Pavel Florenskij, Lo spazio e il tempo nell'arte, Adelphi, 
                  Milano, 1924-1995
                  P. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull'icona, Adelphi, 
                  Milano, 1977
                  V. Kandinskij, Lo spirituale nell'arte, SE, Milano, 1989