Tim Burton tra Media e Mitizzazione
di Maria Vitteritti
Introduzione
Ieri soffiava un vento conosciuto. Un vento che avevo già incontrato (1).
Il vento che muove la neve di Edward. Quello che scuote Sleepy Hollow. E' lo stesso di cui parla Agota Kristofin in Ieri: l'atmosfera di impotenza nostalgica che domina l'attuale produzione letteraria, e con essa tutta la cultura del postmoderno, non manca di riflettersi anche sul grande schermo, inserendosi in un "effetto di scambio" mediatico che non concede speranze antropologiche. Il cinema di Tim Burton non è immune alla situazione venutasi a creare tra i mezzi di comunicazione negli ultimi anni; con una differenza, però.
Burton usa la nostalgia a suo vantaggio, capovolgendo il procedimento di mitizzazione di cui sono stati artefici i media in epoca moderna. Per farlo, parte inglobando quegli stessi media, riproponendoli poi al grande pubblico attraverso un superamento creativo che trasforma le opere originarie in qualcosa di diverso. La storia del '900 è continuamente disseminata da processi di mitizzazione. Un fenomeno che trae origine nell' antichità, quando alti esponenti del clero istituzionalizzavano simboli, attingendo a un calderone di tensioni e aspettative popolari. Una spinta che partiva dal basso per tornarvi dopo essere stata registrata dall'alto. Da allora questa forma di simbolizzazione inconscia non ha mai abbandonato la scena, facendosi dapprima "soggettiva" in epoca moderna, quando per entrare a contatto con il sentire dell' artista occorreva avere la capacità di immedesimarsi empaticamente in lui, per poi tornare nuovamente "oggettiva".
Dalla pubblicità ai fumetti, la comunicazione contemporanea si rivolge a un uomo eterodiretto, gli offre indicazioni che ne guidino volontà e desideri (2). Tim Burton fa qualcosa di nuovo, proponendo in basso lo spirito di un universo alto, quello del potere comunicativo che sembra dirigere senza sosta la società attuale: ne è una metafora esplicita la New York di Mars Attacks!, simbolo dell'egemonia televisiva. L'operazione di Burton non ha niente a che vedere con le provocazioni Dada o tipiche della Pop Art. L'intento del cineasta, infatti, non è quello di ridicolizzare o di rendere esteticamente valido l'oggetto da cui parte. Burton agisce mitizzando il mito: dona una nuova vita a simboli già avvertiti come tali, attraverso una libera interpretazione che sfocia nella soggettività pur senza richiedere un'assoluta partecipazione, come avveniva invece nel moderno.
I. Postmoderno e contaminazioni
Allo stesso modo di Batman, anche Tim Burton opera a Gotham City. Opera cioè in una "città-ecosistema". Comprendendo una selezione di specificità geografiche, dalla caverna al monte, dal fiume al mare, la sua Gotham City si fa specchio del mondo (3). O meglio: si fa specchio della frammentarietà del mondo, diventando baluardo della postmodernità. Non solo per l'architettura eclettica e gotica che domina nei due film di Burton, attinta vastamente da Metropolis e conseguentemente da BIade Runner, ma soprattutto per la sintesi in cui convivono elementi disparati, in contrapposizione allo schema che precedentemente avrebbe visto lo spazio urbano dilaniarsi tra centro e periferia. "Preferisco il sia...sia al 0...0..., il bianco e il nero, e talvolta il grigio, al bianco o nero" (4): le parole con cui Robert Venturi definisce la nuova era, fatta di sintesi piuttosto che di antitesi, caratterizza lo scenario che presta azione a Tim Burton. Oltre alla frammentarietà e alla sintesi, il postmoderno si configura, secondo i parametri individuati da Fredric Jameson, in una sorta di ibridismo che vede cadere le barriere tra cultura d'elite e cultura di massa. Questo lo scenario in cui opera Burton. Lo fa recuperando alcuni dei pezzi di cui è composto il puzzle del postmoderno, per poi incastrarli e formare un'opera nuova. Si tratta di pezzi attinti da ogni settore mediatico che ha preceduto o caratterizzato la contemporaneità.
II. Il fumetto
Un caso senza dubbio controverso, quello che interessa il fumetto nell'opera di Burton. Nate negli anni '30, Le strips incarnano da subito la tradizionale forma di mitizzazione diretta alle fasce basse della popolazione dall'istituzione alta di un'elite giornalistica. Il nuovo medium, del resto, si dimostra intimamente legato non solo all'animazione ma al mezzo cinematografico stesso, per la sua specificità capace di permettere la convivenza di una molteplicità segnica fatta di icone (le immagini) e simboli (le tracce scritte). Un invenzione a metà strada tra l'arte e lo strumento comunicativo, significativa dell' ottica che va delineandosi di stretta unione tra le due parti. L'entusiasmo dei destinatari, cioè il pubblico che inizialmente legge le strisce sulle pagine dei quotidiani, non si fa attendere. Un vero fenomeno di massa, quello che si crea. Sempre di più sono i lettori che seguono le avventure dei propri beniamini. Destinati a diventare vere e proprie icone sono i supereroi, uomini dotati di poteri eccezionali, Superman in prima fila. Il cittadino medio può identificarsi nell' identità fittizia dei personaggi, che per nascondere il loro vero io vestono i panni di persone qualunque costrette alle delusioni della routine quotidiana. Un primo contatto che, a trasformazione compiuta, si amplifica, facendo sì che le frustrazioni del lettore vengano appagate dal nuovo modello.
Ma tra questi superuomini non manca quello "umano, troppo umano". Si tratta di Batman, comparso per la prima volta nel 1939 sulla rivista Detective Comics, nato dalla penna di Bob Kane. I fumetti dell'uomo pipistrello, presto affiancato dal multicolore Robin, dimostrano già una forte influenza del grande schermo, soprattutto nell'uso delle didascalie che, proprio come nel cinema delle origini, si sovrappongono all'immagine descrivendola dettagliatamente. Burton si muove nei confronti di Batman con un'ottica ben diversa da quella che attraversa un po' tutta la metamorfosi filmica dei supereroi.
Al contrario di quanto accade per personaggi come Superman, che sullo schermo si apprestano a combattere il crimine proiettati verso il lieto fine e coperti da calzamaglie dai colori sgargianti, Batman si vede catapultato in un clima dalle tinte gotiche e postimpressioniste, in cui il suo travestimento non stona rispetto a quello degli altri personaggi o della stessa ambientazione (5). Non è un caso che Burton abbia motivato l'assenza di Robin, stabilita all'ultimo momento, con un: "Mi era difficile giustificare l'esistenza di un personaggio che indossa una mantella gialla e degli stivali verdi" (6). Si tratta di uno dei casi in cui Burton aspira al mito trasformando le suggestioni mediatiche in nuove opere dominate dalla soggettività. Una tensione lirica che non può trovare migliore esemplificazione nella contrapposizione tra iconoclasti (gli avversari di Batman) e iconologia ostentata dall'uomo pipistrello (i segnali luminosi) ma anche nelle soluzioni stilistiche (la mdp che rimarca continuamente sullo stemma del protagonista). Ne è una prova una delle sequenze più celebri del film, in cui Joker, al Flugelheim Museum, incita i suoi sottoposti a distruggere opere d'arte di grande valore, risparmiando solo l'oscurità di un dipinto di Francis Bacon (7).
III. Figurine e TV
Qualcosa di analogo a quanto accade per il fumetto, si ripete sulle figurine. E' il caso di Mars Attacks!, ispirato a una serie degli anni '50, rimasta impressa nella mente di Burton nonostante in seguito censurata. E' un elemento che contraddistingue, questo, il suo fare cinema: creare il Postmoderno ricorrendo a mezzi di comunicazione del moderno. Le suggestioni degli anni '50 e '60 si trovano incarnate principalmente nella televisione. Del resto, figurine e tv non sono tanto distanti tra loro. Le figurine, analogamente al fumetto, sono la libera interpretazione di un fermo immagine, come un fotogramma cinematografico.
Delimitate da una cornice visiva, mostrano una porzione di spazio, una figura "inquadrata" in primo piano, piano americano o comunque si voglia. L'analogia con il quadro filmico è evidente, come lo è il processo creato da una serie: una corsa al pezzo più ricercato, in un comportamento che tanto ricorda quello dei teen-ager di oggi, impazienti di non perdere nemmeno una scena del proprio telefilm preferito (e le raccolte basate sugli stessi serial non sono mancate negli ultimi tempi).
La tv è un emblema che torna più volte nel cinema di Burton, sia a livello di immagine, sia per ciò che riguarda le trame dei film. Il primo caso trova situazione rappresentativa ideale proprio nella già citata New York di Mars Attacks!. Ma Burton crede nel mezzo televisivo, non agli ingranaggi che vi stanno dietro. E l'impero della tv finisce così per dimostrarsi impotente, come nel suo film. Altro caso, quello del piccolo schermo come calderone cui attingere le trame: l'attenzione è rivolta tutta sui film dell'orrore che il cineasta amava guardare da piccolo. Film, e perciò prodotti del grande schermo: non in questo caso.
Burton parla esplicitamente di tv, quando racconta della sua totale dipendenza da registi quali Vincent Price o dai B-movies. E' proprio la televisione, del resto, a creare le nuove icone, consentendo una fruizione ben più elevata rispetto il cinema. Mc Luhan ne parlava identificandolo come un medium che, per via della scarsa qualità dei pixel, costringeva a una partecipazione maggiore da parte dell'utente, per decodificare le immagini. Un fattore che ha portato altri studiosi a considerare il mezzo come pronipote del movimento di cui fu fondatore Seurat. Dal divisionismo al sintetismo della Pop Art e all'universalità ormai riconosciuta al mezzo il passo è più breve di quanto sembri. Figlio di questa fruizione di massa è Tim Burton, e prodotto di quest'atteggiamento è Ed Wood. Un bianco e nero che non ha motivazioni di ricercatezza ("Non sapevo immaginare a colori i personaggi che ho sempre visto in bainco e nero") accompagna una storia che fa di Edward Wood Junior un altro tipo di emblema contemporaneo. Burton non indaga, nel suo film, le reali potenzialità di quello considerato come il peggior regista del mondo. Diceria o meno, Burton salva il suo personaggio (e facendolo aiuta le immagini col testo scritto, con la biografia cioè, di Rudolf Grey), elevandolo, focalizzando il nodo focale della storia sulla questione legata alla creatività. E' possibile fare cinema creativo in epoca digitale? Secondo alcuni critici, la creatività finisce con l'impossibilità di manipolare la realtà (8).
Creatività come modifica e non come creazione. Aprendo le porte a una discussione in proposito, Burton si dimostra il più creativo di tutti, non creando e non ripetendo, ma trasformando. Si può fare cinema, e si può farlo meglio, anche senza effetti speciali. Lo sapeva Bela Lugosi, nella scena del combattimento contro il polipo di plastica, immobile, passata alla storia grazie anche alla riproposizione speculare di Tim Burton.
IV. Favole
La figura del freak domina il cinema di Tim Burton. Batman e Ed Wood ne sono degli esempi, proponendo una figura di eroe diverso, sradicato dalla società. Una sorta di eroe postmoderno, che, al contrario di quello di un tempo, non conosce soluzione per risollevarsi dal suo stato. Del resto, non prova neppure a cercarla. Con questi eroi, quelli di Burton condividono l'essere fuori dal gruppo. Il reinserimento resta fuori discussione, tuttavia la redenzione di un futuro migliore, quello della speranza, non manca per loro. Proprio questo è il meccanismo che porta a una simbolizzazione cinematografica. Un meccanismo che parte dal personaggio, portandolo, nel finale, ad assumere un'aura mistica. Si tratta di eroi non ancora postmoderni ma non più moderni. Burton li rappresenta ricorrendo di nuovo alla tv, mescolandola a un altro mezzo di comunicazione, quello letterario, nello specifico la fiaba. Dal mezzo televisivo trae le suggestioni horror, mentre le favole prestano suggestione.
Così il cineasta ha risposto alla domanda se Edward fosse ispirato a un racconto dei fratelli Grimm: "Non ho letto le fiabe tradizionali e non ho letto molto. Non sono cresciuto in una città d'arte europea, ma nel sobborgo della plastica e del videoclip. I film horror guardati in televisione sono state le mie favole di bambino senza nonna" (9). Un legame diretto con la letteratura dunque è da escludere categoricamente, ma nella contrapposizione fatta tra Europa alta e America bassa, Tim Burton mette in luce il ruolo detenuto dalla tv come surrogato favolistico. Ancora una volta si avvicina alla realtà per allontanarsene, elevando, attraverso uno spiccato senso poetico, un mezzo di per sé assolutamente popolare.
I riferimenti al mondo delle fiabe popolari comunque non mancano. Il protagonista di Edward Mani di Forbice inneggia fortemente a Pinocchio (non il nostro ma quello di Walt Disney) mentre nei due Batman i riferimenti si fanno addirittura religiosi. Discorso a parte per la figura femminile, che subisce una progressiva metamorfosi da principessa a strega. La Kim di Edward, candida fanciulla spesso associata all'immagine di un angelo (specie nella scena in cui danza sotto la neve con un abito bianco) si trasforma in rivendicativa combattente del femminismo nella Selina di Batman il Ritorno, e giunge a una svolta nella "strega buona" incarnata nella Katrina di Il Mistero di Sleepy Hollow. Gli stessi elementi dell'influenza favolistica vanno ricercati nel cinema d'animazione, motore dell'intera produzione cinematografica di Tim Burton.
Elementi che in questo caso spiccano di più, andando a formare un qualcosa destinato agli stessi fruitori della fiaba. In Nightmare Before Christmas torna il freak spaventoso nel personaggio di Skeleton, come la protagonista dolce ma non certo scontata è identificabile in Sally. Per realizzare l'opera in questione Burton ha scelto la tecnica della Stop motion, donando il movimento ad oggetti e pupazzi. Una tecnica alla base del cinema d'animazione, quasi superata dal digitale, ma non troppo.
Marionette parlanti sono spesso presenti nel piccolo schermo, dai Muppets ai colleghi meno celebri protagonisti di serial e trasmissioni per ragazzi (e non solo). I pupazzi di Burton si fanno portatori di una realtà tridimensionale quasi speculare.
Alfio Bastiancich scrive, a proposito di Nightmare: "E' curioso rilevare come nel momento di lavori di notevole effetto realistico realizzati interamente al calcolatore elettronico, i personaggi ed i set di questo film siano realizzati invece con fil di ferro, lattice, stoffa e ogni altro materiale povero". Ma nonostante la concretezza speculare di cui i personaggi del film sono portatori, una via di fuga dalla realtà è fornita dall' anomalia che li contraddistingue. "I veri mostri sono i normali" è la morale "dylandoghiana" che contrassegna l'intera poetica di Burton, ed è per questo che personaggi e ambientazioni da lui creati si propongono come una valida alternativa all' orrore della quotidianità, per quanto spaventosi possano sembrare a un primo sguardo.
Note:
(1) Agota Kristof, Ieri, Einaudi, Torino, 2002, p.3.
(2) Cfr. Umberto Eco, Il mito di Superman, in Apocalittici e integrati, Bompiani, pp. 219 - 261
(3) Gotham City è definita una "Città-mondo" da Gianni Canova in L'alieno e il pipistrello. La crisi della forma nel
cinema contemporaneo,
Bompiani, Milano, 2001, pp. 107- 113.
(4) Robert Venturi, Complexity and Contradiction in Architecture, MOMA, New York, 1966, p.16 (cit in Canova, op.
cit.,
p.6).
(5) Secondo Michele Canosa Batman vive una rinascita grazie a Tim Burton dopo il declino televisivo. Cfr Canosa, Batman: la linea gotica in Desideri informa di nuvole, cinema e fumetto a cura di Michele Canosa e Enrico Fornaioli, Campanotto Editore, Prato 1996, pp. 185 -201.
(6) Norman Gobetti, "La superba corona degli ubriachi di Efraim": Nobody, nessun corpo nel cinema di Tim Burton, in AA.VV., Tim Burton, Garage N.5, Paravia Scriptorium, Torino, 1995, p.57.
(7) Sulla scena citata si veda Antonio Costa, Il cinema e le arti visive, Einaudi, Torino, 2002
(8) Cfr Roy Menarini, Il trucco è il trucco. Il rapporto tra creatività ed effetti speciali in Visibilità e catastrofi. Saggi di
teoria, storia e critica dellafantascienza, Edizioni della Battaglia, Palermo, 2001.
(9) AA.VV. Tim Burton cit, p.98