Quattro parole di velluto grigio: Dario Argento
di Giovanni Franci
L'Italia lo ricorda per i suoi esordi, lo racconta sempre come una vecchia esperienza indimenticabile di fronte allo schermo, tutti ti sanno canticchiare le sue nenie da brivido, e tutti, dico proprio tutti, di qualsiasi generazione, hanno visto almeno un suo film, o al cinema, o affittandolo per passare una serata all'insegna del mistero…ma ora, e da un bel po' di tempo, la critica lo tratta come un parente scomodo, lo sottovaluta e pecca puntualmente di una superficialità, direi, cronica, nei suoi confronti, scrivendo poche righe, inutili, sui giornali, e spacciandolo per un vecchio bravo regista che, insomma, ormai ha fatto il suo tempo. Vergogna!
Vergogna soprattutto se si pensa che la rivista di cinema, almeno storicamente, più importante del mondo, Cahiers du Cinéma, è pronta a dedicare pagine e pagine su di lui, se si pensa che in Germania, in Giappone, in Inghilterra è considerato un regista di assoluto pregio, oltre al culto che matematicamente provoca di generazione in generazione, oltre le barriere doganali che, spesso, l'Italia non supera, anzi, direi, quasi mai, salvo rarissime eccezioni.
Io voglio quindi offrire un omaggio, ad un maestro del cinema italiano, un autore coraggioso e formidabile, che ha saputo elevare alla serie A un cinema che ormai si stava imponendo, anche per mano propria, alla serie B, e non solo, ha trasformato dei film di genere, termine più propriamente di stampo hollywoodiano, in film d'autore, un autore, forte, elegante, "espressionista", provocatorio, sensibile, innovatore e di assoluto fascino chiamato Dario Argento.
Parlare, ora, di lui, ripercorrendo i suoi film, significa addentrarsi in un mondo macabro, sottile e seducente, fatto di brividi, di psicosi, di segreti nascosti, di drammi rimasti chiusi per troppo tempo in fondo alla gola, che all'improvviso sfociano in una furia inarrestabile…ville misteriose, teatri con infiniti sotterranei, quadri nascosti, stanze murate, corridoi (in)accessibili, parole enigmatiche, vittime sacrificali, occhi che spiano o che tremano di terrore, sangue innocente e necessario perché si completi un progetto oscuro, terribile, sempre drammatico, mai a caso, non si cede mai al caso, per tutto c'è un motivo, che vi piaccia o no, per tutti c'è una fine che è stata già scritta nella mente geometrica ed incontrollabile di un uomo che è nascosto dietro la porta della vostra camera…perciò, se la vostra coscienza conserva qualche segreto, affrontatelo, prima che qualcuno lo faccia per voi, infatti, siamo (sono) tutti sospettati, le ragioni di un incubo non hanno ne cercano pietà, il passato si completa in un gioco senza tempo che mangia l'anima a chi ne è coinvolto e a chi cede al fascino di farsene, a suo rischio e pericolo, coinvolgere. E se la realtà vi appare così assurda, sappiate che esistono case maledette progettate apposta per custodire il male, libri che nascondono le tracce di un'alchimia sterminatrice e mostri talmente brutali che non possono nemmeno guardarsi allo specchio.
E' iniziato tutto alla fine degli anni sessanta, quando un uomo che stava per ritornare in America, assiste alla scena inquietante di un uomo "nero" che cerca di uccidere una bella signora, i due sono all'interno di una sala d'esposizione d'arte, dietro una grande vetrina che affaccia su una strada collaterale, ed il povero malcapitato assiste al di là del vetro non potendo far niente…solo guardare, guardare, guardare attentamente, perché qui, nulla è quello che sembra, e ben presto ne avrà la prova! Possiamo dire che Dario Argento (forse inconsapevolmente) in questa scena de L'uccello dalle piume di Cristallo racchiuse e profetizzò gran parte di quella che sarebbe stata la poetica di quasi tutti i suoi successivi lavori, compresa anche la teatralità di questa mise en scene (il teatro sarà sempre presente in qualche modo nei suoi film, ed anche la maggior parte dei suoi attori provengono dal teatro), lo sguardo, mai cinico, che mostra fin dalla prima scena la chiave risolutiva del film, in questo caso: chi era che davvero impugnava l'arma, l'uomo nero o la donna bellissima? (così come il quadro di Profondo Rosso, il fiore blu di Suspiria, le soggettive dell'assassino quasi raso terra di Phenomena…) quasi a sottolineare la natura superficiale dell'uomo, che invece dovrebbe, come fanno quelli nei suoi film, addentrarsi nell'incubo, mettendo in gioco anche la propria vita, avere il coraggio di cercare la verità.
Ma c'è qualcosa di strano, un particolare, un oggetto, una determinata situazione, che trasformerà una persona in un criminale, che risveglierà gli incubi di un tempo, non lasciandogli altra scelta se non quella di cercare il sangue e di riproporsi o riproporre agli altri una violenza subita, sempre ne L'uccello dalle piume di Cristallo, questo elemento è un quadro naïf in cui una donna viene uccisa (memorabile lo zoom all'indietro attraverso il quadro dalla casa dell'indagatore alla dimora segreta del carnefice, che ricorda i virtuosismi tra realtà e pittura nel suo capolavoro, incompreso, La Sindrome di Stendhal) la forza dell'arte, un'immagine evocativa, può destabilizzare la sensibilità di una persona provocando effetti collaterali inimmaginabili, la parapsicologa che in un teatro avverte la presenza di un pensiero malvagio, una villa, una strana canzoncina (Profondo Rosso), la tragedia di un amore impossibile (Tenebre), la paura di essere considerato un diverso (Il gatto a nove code), una giovane donna che sembra la reincarnazione di sua madre, è come lei, canta come lei, ma non fa i giochi macabri che lei, in un passato sempre più invadente, faceva (Opera).
E poi ci sono gli attimi indimenticabili, come vedete non sto prendendo in considerazione i "luoghi comuni argentiani", la sua musica, gli omicidi esemplari…di questo se n'è parlato a non finire, vorrei invece riuscire a dare uno sguardo più intimo sulla sua opera, allora, stavo dicendo, i momenti indimenticabili, come il vento di Phenomena, quel vento che provoca il mal di testa, e che porta con sé odore di morte, di vermi, di putrefazione, che ci guida come fossimo segugi verso l'universo più macabro e sotterraneo che Argento ci abbia raccontato, attraverso momenti di una liricità sorprendente, la magia dell'essere partecipi in un disegno soprannaturale e la dura (puro hard rock) manifestazione della violenza, gli interminabili corridoi, che non hanno nulla da invidiare a quelli del'Overlook hotel, ma che, anzi, li precedono cronologicamente. L'accademia di danza di Suspiria, dove basta ascoltare i passi delle insegnanti la notte per tracciare una mappa da incubo fino ad antri che nascondono orrori al limite tra la realtà ed il sogno, in un film, il più seducente e "femminile" del regista, che abbandona, figurativamente, l'Art Decò ed il Liberty delle altre sue pellicole, per creare un gioco Pop-Art davvero indimenticabile, grazie anche alle strepitose luci di Luciano Tovoli.
Vittima, e molto spesso anche carnefice, nei suoi film è la donna, rappresentante di un universo fragile, sensibile, da cui si è attratti, e su cui si può scatenare il sadismo ed ogni forma di atrocità, emblema del mistero e della seduzione, di un'irrazionalità, direi, sistematica e lineare, portavoce di un teorema dell'incubo e sempre, ma qui per ben altri motivi, sull'orlo di una crisi di nervi. A questo proposito non si può non analizzare la figura profetica e inevitabilmente simbolica di Asia Argento: se ci fate caso, le protagoniste dei film del regista, in assenza di Asia, hanno sempre qualcosa di molto simile a lei, sia fisicamente che negli atteggiamenti, come anche il nome di Anna, che ricorre spessissimo come se volesse mantenere evocativamente viva la presenza della figlia scomparsa, tanto da poter far delineare, in un'ottica argentiana, un dramma sempre vivo ed ossessivo anche fuori dalla pellicola, nella propria intimità, per mettere a nudo le proprie ossessioni a partire dal "trauma" della perdita, perché, come nei suoi film, qualcuno ha sempre perso qualcosa di molto importante: una persona, così come la dignità, un sogno…nel costante scontro con una realtà volgare, anche lei sempre presente, e una quotidianità distratta. Quindi, care Chiara Caselli, Stefania Rocca…ricordate che voi, come dice nel suo film Asia, "siete delle persone, non dei personaggi", e con Dario Argento, questo vale più che mai.
Ossessioni dentro e fuori dal film, quindi, con un regista che dà e mette tutto se stesso nel realizzare un film, creando un microcosmo teso e acuto, sempre alla ricerca di una bellezza, nell'analisi di una follia che non sfocia mai nell'autocompiacimento.
Ed ora non ci resta che aspettare il suo prossimo lavoro, Il Cartaio, che uscirà a breve nelle sale cinematografiche. I suoi ultimi film non hanno entusiasmato critica e pubblico, in Italia si è forse creato un pregiudizio nei suoi confronti che sarà difficile estinguere, soprattutto quando piace tanto etichettare e sottovalutare, ma vorrei fare un attimo una considerazione, che concluderà questo mio omaggio: la paura, nel cinema, che evoluzione avrebbe avuto senza Dario Argento? Vi sarebbero bastati gli horror made in U.S.A. o avreste avuto bisogno di qualcosa in più, qualcosa di diverso? Io credo che dopo l'espressionismo tedesco e dopo Hitchcock, la suspense abbia un solo volto, quello di Dario Argento. Certo, sì, ci sono autori di pregio come Carpenter, Romero, ma sapete dirmi a chi si sono ispirati? Avete indovinato?