Panoramica
IV Festival Internazionale del Cinema Kino Otok – Isola Cinema
di Piervittorio Vitori
Piccolo, di nicchia, e quindi non commerciale, non amato e quindi non sostenuto dai padroni del vapore del cinema sloveno, che lo vedono come concorrente dell'istituzionale LIFF di Lubiana. Già prima che sull'ultima edizione del Kino Otok – Isola Cinema si alzasse il sipario, l'impressione era un po' quella del villaggio di Asterix, assediato da forze preponderanti e condizionato da un futuro incerto. Se poi a questo si aggiunge il fatto che in quei cinque giorni la località costiera di Isola è stata spesso visitata dalla pioggia e che la presenza dei due ospiti più attesi è stata limitata (Abderrahmane Sissako) o addirittura impedita (Vittorio De Seta) dai loro problemi di salute, si capirà che difficilmente la IV edizione del festival verrà ricordata tra le più fortunate.
Fatta salva questa doverosa premessa, c'è comunque da aggiungere che nulla si può rimproverare all'organizzazione, come sempre riunita sotto il cappello dello Zavod Otok, l'ente organizzatore che si occupa, tra l'altro, di garantire la distribuzione cinematografica slovena alla pellicola premiata dal favore del pubblico tra le cinque in concorso. Quest'anno è toccato alla commedia kirghisa Saratan, diretta da Ernest Abdyjaparov, aggiornare un Albo d'Oro che finora metteva in fila il russo Babusya (Nonnina), il bosniaco Kod amidze Idriza (Da zio Idriz) e l'iraniano Gol ya puch (Pieno o vuoto). La provenienza di questi titoli è un chiaro indizio della filosofia che caratterizza la manifestazione, da sempre rivolta a scoprire e valorizzare il cinema non-occidentale. Africa, Asia, America Latina ed Europa dell'Est i bacini da cui ancora una volta ha pescato la selezione coordinata dal fiammingo Koen van Daele, che al titolo kirghiso aveva affiancato il ciadese Daratt (Premio speciale della giuria al Lido e recentemente distribuito in Italia da Lucky Red), l'argentino Glue, il cinese Jin tian de yu ze me yang? (Come va con i pesci oggi?) ed il kazako Zapiski putevogo obkhodchika (Appunti di un controllore ferroviario). I primi due hanno conteso quasi fino all'ultimo voto la vittoria a Saratan, dimostrando l'omogeneità qualitativa di una sezione in cui, comunque, il sottoscritto avrebbe dato la propria preferenza al film cinese: la giovane regista Xaolu Guo ha infatti messo in scena in maniera intrigante e coinvolgente la vicenda di uno sceneggiatore in crisi che manda il suo protagonista - un giovane assassino - alla ricerca delle fantomatiche luci di Mohe, la località più settentrionale della Cina. La vicenda si svolge seguendo allora un doppio binario: da un lato i dubbi e le paranoie dell'autore, dall'altro le peregrinazioni del personaggio, fino ad un metafisico incontro finale, una volta che anche il primo si sarà messo in viaggio verso Mohe. A favore della pellicola kirghisa ha giocato invece l'umorismo surreale e di sicura presa che permea le vicissitudini degli abitanti di un villaggio in cui nulla sembra andare per il verso giusto, tra un sindaco che non viene preso sul serio dalla moglie, un mullah che non riesce a svegliarsi in tempo per la preghiera mattutina, disperati ladri di bestiame, e il resto del mondo che sembra più lontano da quando la "Russia ha dichiarato l'indipendenza".
Spunti interessanti anche dalle altre sezioni: "Friends", tradizionale spazio riservato alle pellicole segnalate da registi, critici, e in generale addetti ai lavori del festival, ha presentato almeno due titoli degni di nota. Si tratta del brasiliano As tentações do irmao Sebastião (Le tentazioni di frate Sebastiano) di José Araujo e di Able Edwards dello statunitense Graham Robertson. Il primo ci porta in un Brasile profondo e cupo, dove un novizio cerca la via della fede tra violenza, sangue, un sesso spesso disturbante, e demoni interpretati da uomini in stato di trance. Il film di Araujo è un'esperienza non facile e a rischio kitsch, giustificata però dai richiami culturali ad un Cattolicesimo vissuto come sofferenza e alla fisicità dei culti pagani, che può ricordare i lavori di Jodorowsky. Con Able Edwards, invece - film passato al Torino Film Festival e premiato al SciencePlusFiction di Trieste -, l'esordiente Robertson ri-immagina Quarto potere, trasportandolo in un futuro post-catastrofe e mettendo al centro della vicenda un magnate che, più che a William R. Hearst, guarda a Walt Disney. Scommessa rischiosa, ma vinta, anche grazie all'affascinante impianto visivo (Robertson è un apprezzatissimo scenografo) e alla colonna sonora.
Ineccepibile poi la retrospettiva dedicata a Vittorio De Seta, di cui, nell'ambito della neonata sezione "Good neighbours", si sono visti Banditi ad Orgosolo, i documentari brevi degli anni '50 e, nella serata di chiusura, Lettere dal Sahara. Peccato che gli acciacchi abbiano impedito al maestro di essere presente ad Izola, ma gli farà sicuramente piacere sapere che i suoi lavori sono stati tra le proposte più apprezzate dell'intera programmazione. Poteva riportare con il pensiero a De Seta, poi, il film a sorpresa inserito nel calendario: Harvest: 3000 years, girato nel 1975 da Haile Gerima e recentemente restaurato dalla Cineteca di Bologna, è un affresco tra documentario e fiction su un'Etiopia che ancora non riusciva a chiudere i conti con il suo passato coloniale. Cinema politico anche quello di Abderrahmane Sissako, venuto in Slovenia dalla Croisette per presentare il suo Bamako: il regista di Aspettando la felicità allestisce una favola umanistica per denunciare la politica della Banca Mondiale e del FMI nei confronti delle nazioni in via di sviluppo. Qualche dubbio, invece, hanno suscitato le scelte della "Silvan Cine School": la sezione dedicata a Silvan Furlan, che fu presidente della Cineteca slovena ed uno dei padrini del festival, è passata dall'essere terreno di un workshop di critica ad una più semplice occasione di dibattito con gli autori delle opere proposte. Lodevole l'idea, ma se il tema scelto è quello dell'autore che guarda a se stesso ("I am the stage of cinema" era il sottotitolo di quest'anno) si rischia di tenere il pubblico a distanza con discorsi troppo autoreferenziali, anche se gli autori portano nomi illustri come Jonas Mekas.
Da segnalare, invece, tra le curiosità il progetto "PAH-fest", portato avanti da Christopher Coppola: "la pecora nera della famiglia più influente del cinema" (è nipote di Francis Ford, fratello di Nicolas Cage e cugino di Sophia), come l'ha definito il suo amico e "papà" del festival Jan Cvitkovič, ha istituito un mini-festival itinerante per promuovere l'utilizzo delle nuove tecnologie in ambito cinematografico a vantaggio dei non professionisti. Oltre che per aver lanciato la competizione volta a girare mini-film tramite telefonino cellulare, Coppola si è fatto notare anche per aver proposto il reality Bikerchef, dove il regista gira gli States a cavallo di una motocicletta per avvicinarsi alle diverse tradizioni gastronomiche. Un Davide Mengacci yankee, su due ruote e decisamente tamarro...Il "PAH-fest" di Coppola non è stata l'unica occasione proposta da Kino Otok per fare cinema, seppure in scala ridotta. È stata rinnovata, infatti, l'esperienza del workshop "Happy DV", come al solito volto alla realizzazione di cortometraggi, ognuno dei quali è pensato come testimonianza degli avvenimenti e dell'atmosfera del festival.
Un'ultima, doverosa menzione va alle volontarie e ai volontari dell'organizzazione, che ancora una volta, guidati dalla confermata direttrice Nina Peče, hanno provveduto al meglio alle esigenze di ospiti e spettatori, riuscendo nell'arco dei cinque giorni a parare ogni insidia portata dal maltempo - che più di una volta ha costretto al trasferimento delle proiezioni serali dalla centrale piazza Manzioli alla struttura coperta del Kulturni Dom - o da altri imprevisti. E dimostrandosi abbastanza resistenti da potersi permettere poi le ore piccole nelle tradizionali notti isolane passate in spiaggia, in quell'atmosfera di festa e fusione tra staff, ospiti e spettatori che, nonostante quest'anno la pioggia ci abbia messo lo zampino, rimane la cifra distintiva di Kino Otok. E se assumiamo che la definizione di "bel libro" che Salinger mette in bocca a Holden Caufield - "Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira" - sia applicabile anche ad un festival di cinema, ecco che Kino Otok risponde perfettamente alla definizione. Per fortuna i numeri di Jurij, Maja, Andreja, ecc., li ho...