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È il 1927 quando, per la prima volta in un film, si affida la parte di protagonista a una metropoli. Nessun attore, nessuna teatralità, nessuna star per quest'opera prodotta dalla Fox Europa, ma solo ed esclusivamente Berlino. Perché questa città? Semplicemente perché negli anni '20 risulta la più giovane, la più interessante del mondo, una creatura in fase di sviluppo, non ancora soffocata dalle facciate o schiacciata dalla sua stessa monumentalità. Berlino, la città dalle mille aspirazioni, è insieme centro, argomento e splendida attrice di quest'opera sinfonica di Walter Ruttmann.
Il film è paragonabile a un vetro frantumato sul quale è stata serigrafata la realtà, e il regista è colui che ne raccoglie i cocci - questi spaccati di vita quotidiana -, restituendoceli attraverso la macchina da presa: gente che si diverte al parco, macchine che sfrecciano nelle strade, rotaie, ciminiere che testimoniano con i loro fumi che la vita scorre anche all'interno delle fabbriche, tra lo sporco e l'aria torbida. Di fronte all'integrazione nella logica della valorizzazione e dell'inserimento della metropoli dissacrata, nel territorio ripugnante della "grande città" nietzscheana in cui "non c'è nulla da migliorare né da peggiorare", acquistano spessore problematico e si impongono come modelli Berlino - Sinfonia di una città di Ruttmann e, due anni più tardi, L'uomo con la macchina da presa di Vertov. Entrambi visualizzano, attraverso il dinamismo ritmico, le componenti spettacolari della vita urbana, evidenziando la metamorfosi umana in quanto elemento plastico di "materia neppure levigata". All'interno di un sistema in cui il potere si colloca come padre-padrone, si crea la lacerazione di ogni prodotto umanistico e quindi l'inequivocabile caduta dell'antropocentrismo, la fine dell'utopia del valore, la sconfitta dell'esistenza.
Questi due esempi denunciano la visione espressionista
sull'alienazione dell'Io piccolo borghese, sull'estraneità
dell'uomo al mondo delle cose, riportando la vitalità
"nell'impersonalità della metropoli".
La città diviene la forma universale per eccellenza,
lo spazio privilegiato in cui è possibile stabilire
il valore della plasticità e lo spessore assunto
dalla dinamica dell'oggetto, dalla sua funzione sociale
e, nello stesso tempo, spettacolare. Ruttmann e Vertov
ci regalano la cartolina più bella della grande
città, della polis tout court, recuperando
lo spunto offerto loro dalle avanguardie. Questa giovane
Berlino, carica di infinite possibilità rappresentative,
risulta uno dei soggetti maggiormente redditizi. Senza
studi, senza scenografie, nelle situazioni più
disparate, il regista-operatore è sempre in agguato,
con la sua piccola cinepresa da detective. Si addentra
nella vita della metropoli, registra senza essere visto,
perché nessuno dei soggetti deve sapere
e quindi apprestarsi consapevolmente a recitare.
Dal caos di queste tessere, dalla continua guerra tra
artista e creatura da dominare, Ruttmann, secondo canoni
estetici ben ponderati, ha saputo far nascere un mosaico,
una sinfonia basata su migliaia di energie in pieno movimento
effettivamente presenti nell'organismo di questa città-madre.
Egli si inoltra in una giungla di carne e ferro, vaga
zitto tra uomini che non si voltano, ma che vengono ad
urtare involontariamente il suo obbiettivo. Tutto sembra
ruotare senza volontà, trasformando la cinepresa
nel demiurgo del perpetuo vagare, il fulcro al centro
della piazza/città, che insegue cercando di non
perdere il contatto con la realtà e la vita, per
poi smarrirsi con il segreto che la riguarda.
Negli attimi in cui la capitale sembra dormire, il freddo della sera lascia il posto ai bagliori artificiali che ci accompagnano lungo i vicoli e le larghe strade, in cui la polvere sulla sua vita appena trascorsa sembra risollevarsi in un turbine, svelandoci l'inganno e il suo vero spirito notturno, con il suo traffico e le sue bettole, le sale da ballo, i campi sportivi, i teatri del varietà e le sale cinematografiche. Il risultato non è quello di un libro illustrato, ma piuttosto la visione di una macchina complessa, che può mettersi in moto solo se ogni più piccola parte ingrana con la massima precisione nell'altra, in una griglia musicale di crescenti e andanti.
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