Samuel Beckett, Alan Schneider
Film: percezione e occultamento dell’immagine
di Stefano Trinchero
Sinossi: un occhio si apre. Buster Keaton interpreta il ruolo di un uomo che cammina per una via praticamente deserta, in una città distrutta, seguito da un altro uomo. Entra in un portone, sale le scale di un edificio ed entra nella stanza della madre. Chiude con cura la tenda, oscura lo specchio, butta fuori il gatto e il cane, chiude la porta, copre la gabbia del pappagallo e inizia a distruggere le foto del suo passato. Keaton si addormenta, quando si risveglia si trova di fronte il suo persecutore e muore. Un occhio si chiude.
"Soppressa tutta le percezione estranea, animale, umana, divina, essendo mantenuta l'auto-percezione. Nessuna valorizzazione della verità nel passato, considerato come semplice convenzione strutturale e drammatica. Con il fine di essere rappresentato in questa situazione il protagonista si divide in oggetto (O) e occhio (E), il primo in fuga, il secondo in persecuzione. Fino alla fine del film non sarà chiaro che colui che persegue non è altro che l'"io". Fino alla fine del film O è percepito da E da dietro, e in un angolo non superiore a 45 gradi. O sperimenta l'angustia di essere percepito solo quando si oltrepassa quest'angolo" (1).
"Esse est percibi" (esistere è essere percepito), frase del filosofo irlandese Berkeley, è il punto di partenza filosofico che porta Samuel Beckett alla concezione , nel 1963, del soggetto di questo film, che significativamente avrebbe dovuto intitolarsi "The eye". "Eye" è anche il nome di uno dei personaggi, E, l'occhio (l'occhio che si apre all'inizio del film), il persecutore, ma anche la macchina da presa, essendo attraverso l'occhio di E in soggettiva che noi vediamo l'immagine di O, l'oggetto. E è il personaggio che rende possibile l'esistenza di O, che può solamente "essere", grazie allo sguardo di E, alla sua persecuzione, esattamente come l'immagine filmica è possibile solo grazie all'azione della macchina da presa. Lo stesso titolo del film mette in evidenza l'intento di mostrare la struttura e il funzionamento del dispositivo cinematografico, ma allo stesso tempo Film funziona nel senso inverso, quello della negazione della percezione, dal momento che Buster Keaton interpreta un uomo che cerca di sottrarsi a quel dispositivo, cercando di smettere di essere percepito. Il suo tentativo di eliminare tutti gli sguardi all'interno della stanza è però fallito per la presenza di E (la cui sparizione implicherebbe la non-esistenza), che è sempre stato presente nella vita di O, come apprendiamo vedendo una delle foto in cui "lui e la sua fidanzata stanno di fronte ad un fotografo, e probabilmente E è colui che scatta la fotografia (2)".
O fallisce anche perché, se con molta fatica riesce a portare fuori o nascondere gli animali, non riesce a smettere di essere guardato dagli occhi di Dio (distrugge il ritratto di Gesù che sta sulla parete ma dimentica che la parte posteriore della sedia è anch'essa "una testa di Dio (3)", che ha due buchi come occhi) e dagli occhi di E, la macchina da presa: dopo avere invano tentato di annullare le condizioni necessarie alla sopravvivenza del cinema, eliminando la luce che entra dalla finestra, l'unica cosa che davvero potrebbe fare sarebbe distruggere la macchina da presa. Il gesto che il protagonista ricerca è quello della distruzione del film attraverso l'annientamento del cinema ma è un'azione che non è in grado di compiere.
Lo sforzo di O che cerca di smettere di esistere coincide dunque con il tentativo di Keaton di smettere di essere percepito come attore, offuscando e annullando la sua immagine in due direzioni diverse: costruendo l'invisibilità (il mancato funzionamento della vista) attraverso il buio ed espellendo dalla stanza tutte le "macchine" adibite allo sguardo e alla percezione. Ma il dispositivo che dovrebbe in realtà distruggere è l'unico di cui non ha coscienza, E, la macchina da presa, fonte della sua esistenza in quanto entità creatrice e organo percettore della sua immagine. Nel momento in cui E entra nel suo campo visivo (valicando l'angolo di 45°), O improvvisamente percepisce di essere percepito e muore guardando la macchina da presa. Deleuze, a proposito di questa sequenza parla di immagine affezione, ovvero il momento in cui azione e percezione si bloccano e scompaiono (4).
O, cercando di vivere senza essere percepito, va incontro alla morte nel momento in cui si trova di fronte all'immagine di se stesso: guardando dentro lo sguardo dell'altro pone fine alla sua esistenza, il suo agire e il suo essere percepito si annullano e crollano sotto l'insostenibilità di questa "coscienza di percezione". Durante il suo tentativo di annullamento e nascondimento della propria immagine distrugge delle fotografie, cerca di cancellare ogni traccia esistente della propria vita annientando la memoria di sé affidata alle immagini del proprio passato (5), ma troverà la morte proprio nel momento in cui capirà di non essere nient'altro che un'immagine di se stesso, al pari di quelle fotografie.
La presenza di Buster Keaton come attore protagonista porta con sé implicazioni importanti (indipendentemente dal fatto che venne contattato solo dopo i rifiuti di altri tre attori). L'influenza di Keaton nella realizzazione del film sembrerebbe minima soprattutto perché lui non amò mai del tutto il progetto, anche per il fatto che le sue idee di gag per il film non venivano apprezzate, nonostante lo humour di Keaton sia stato spesso paragonato a quello di Beckett per la sua componente surreale. Ma l'aspetto fondamentale della sua presenza in quest'opera è dato da tutto quello che la sua immagine porta con sé, per il fatto che Film è un film sul cinema e perché è interpretato non da un attore, ma da un frammento (all'epoca dimenticato, quasi perduto) della storia del cinema stesso (come successe per lui, Gloria Swanson ed Eric Von Stroheim in Sunset Boulevard di Billy Wilder).
Dopo essere stato una stella e dopo essere stato relegato per molti anni ai margini del cinema, la sua immagine (scomparsa per molto tempo) riappare nella sua faccia invecchiata. Quello che vediamo sullo schermo non è più Keaton ma il suo fantasma, il suo corpo è già stato ridotto a icona, a un oggetto cinematografico morto da trent'anni, perché nell'immaginario di ogni spettatore non esiste un'immagine di Keaton compresa tra quella della sua gioventù o quella della sua vecchiaia (che è quella triste della pubblicità di una vodka, vestito da cowboy, con il volto solcato dalle rughe mentre regge una bottiglia). Il Buster Keaton di Film è un fantasma perché cinematograficamente non è esistito per trent'anni, perché il suo corpo smettendo di essere guardato ha smesso di esistere e riappare sullo schermo sotto forma di un'immagine morta, relegata per troppo tempo alla non-percezione e resa ormai "inguardabile" per la difficoltà dell'occhio dello spettatore di elaborare lo scarto (il vuoto) tra il Buster Keaton star del cinema muto e il Buster Keaton invecchiato e morente.
(1) Samuel Beckett, Film; ed. it. in Teatro completo, Einaudi/Gallimard, 1994.
(2) William F. Van Wer, To be is to be perceived… Time and point of view in Samuel Beckett's Film, in Film Quarterly, 2, 1980.
(3) ibidem.
(4) cfr. Gilles Deleuze, Le plus grand film irlandais, em Revue Belge du Cinema, 10, Inverno 1984-1985, pagg. 88-89
(5) Un gesto antitetico all'ossessiva archiviazione sonora della propria esistenza compiuto da un altro personaggio beckettiano che è l'eponimo protagonista de L'ultimo nastro di Krapp.
FILM
(Usa, 1965)
Regia
Samuel Beckett, Alan Schneider
Montaggio
Sidney Meyers
Fotografia
Boris Kaufman
Durata
22 min