Christopher Nolan
Memento: la decostruzione del tempo cinematografico
di Alessio Gradogna
Leonard ha subito un terribile trauma. Sua moglie è stata stuprata ed uccisa. Da quel momento egli non è più in grado di mettere ordine ai propri pensieri, ed ai propri ricordi. Ha perso la memoria a breve termine, e nel giro di pochi minuti rimuove dalla mente ciò che ha appena fatto, ciò che ha appena detto, le persone con cui ha da poco comunicato. Gli unici ricordi risalgono a prima dell'incidente. La sua vita presente consiste unicamente nel desiderio di vendetta, trovare l'assassino dell'amata moglie e ucciderlo. Per far questo egli si tatua sul corpo le cose più importanti, quelle da non dover per nessuna ragione dimenticare, e attraverso fotografie e appunti tenta di dare concretezza alla realtà come appiglio per ovviare alla sua impossibilità di mantenere un discorso mentale logico. Chi gli sta attorno sfrutta il suo disturbo come può, e Leonard, esulando dalla realtà concreta dei fatti, mantiene viva in sé l'unica ragione della sua nuova esistenza: la vendetta.
Memento, di Christopher Nolan, uscito in sordina all'alba del nuovo millennio e divenuto in breve tempo film di culto, pone in essere, al di là di una trama non particolarmente innovativa, un motivo di estremo interesse, che la colloca come concreto oggetto di studio nell'analisi dello sviluppo del cinema contemporaneo: la rottura della consequenzialità temporale del racconto. Le basi del cinema, e le regole precipue che da sempre lo governano, indicano lo sviluppo spazio-temporale del racconto filmico come una successione logica e ordinata di avvenimenti, che si susseguono razionalmente in modo da permettere allo spettatore di seguire senza troppa difficoltà la vicenda narrata. Occasionalmente l'uso di flashback, flashforward ed ellissi complica la ricezione della platea costringendola ad un maggiore sforzo di percezione, ragionamento e ordinamento della realtà filmica e dei significati da essa portati alla luce.
Memento estremizza invece l'autarchia di tanto cinema contemporaneo, pronto ad ogni occasione a invertire e modificare le regole in modo da presentarsi come contenitore di nuovi elementi da assimilare ed analizzare. La narrazione a gambero del film di Nolan scardina il rapporto di contiguità tra fabula (l'ordine cronologico degli eventi proprio della storia) e intreccio (l'ordine degli eventi come vengono narrati nel racconto), regalando a quest'ultimo un ruolo di primaria importanza, e costringendo lo spettatore ad un notevole sforzo mentale necessario per comprendere lo svilupparsi a ritroso della sceneggiatura. Tocca a lui, cioè a noi fruitori della pellicola, mettere ordine nelle immagini capovolte che ci vengono mostrate, collegando insieme i segmenti di questo puzzle per dare una forma conosciuta alla misteriosa figura che fluttua davanti a nostri occhi. In base alla teoria psicologica della Gestalt, per cui <<il concetto di forma emerge non dalla somma delle sensazioni associate a ciascun elemento, ma dalla relazione fra questi elementi[...]Le totalità percettive possiedono caratteristiche peculiari diverse da quelle degli elementi che la compongono[...]L'organizzazione automatica degli eventi avviene in virtù non di mere leggi associative, ma di forze che obbediscono tutte ad un principio di minimo: si realizza la soluzione più semplice, più regolare, più economica...>> (Paola Bressan, La Percezione Visiva, Padova, Cleup, 1992, pp. 76-77), si tende ad avvicinare ed incollare ogni singola sequenza del film, tentando di trovare un ordine logico e di rimanere avvinti alla trama proponendo di volta in volta le opzioni più semplici che ci permettano di identificare il contendere della questione (chi è l'assassino? Riuscirà Leonard a trovarlo? Uccide le persone giuste o quelle sbagliate? E la moglie, è realmente stata assassinata?).
Per riuscire nell'intento, che resta peraltro volutamente irrisolto nello svolgersi della pellicola, Nolan ci costringe ad evitare qualsiasi distrazione, a partecipare alla vicenda con un notevole impiego della nostra capacità di concentrazione, ed enfaticamente ci impedisce di chiudere gli occhi o di distogliere lo sguardo, attuando una sorta di Cura Ludovico non molto dissimile da quella a cui l'istituzione (e di riflesso Kubrick) costringe l'Alex di Arancia Meccanica (A Clockwork Orange, 1971). L'occhio è obbligato a guardare, a seguire, a non divagare, a non perdersi in pensieri che esulino dalle immagini, a immedesimarsi nel racconto mentre Leonard parlando al telefono con un interlocutore misterioso illustra la propria condizione quasi come se la spiegasse a noi per ottenere un po' di umana pietà, e ad aiutarlo, virtualmente a ricostruire le tappe della sua caccia all'uomo e a non cadere nelle trappole che in ogni dove lo circondano.
Memento, nella sua unicità e nelle sue radici che ci riportano, quantomeno a livello di trama, alla tradizione del noir, si basa sull'importanza indissolubile dell'organizzazione delle parti; basilare, a tal proposito, il pensiero di Leonard per cui <<devi per forza importi un metodo se vuoi farcela>>. Quello stesso metodo che il protagonista attua con l'uso di stratagemmi quali i tatuaggi, gli appunti, le fotografie (metafora dell'occhio umano e del suo desiderio di fermare la realtà e di dare ad essa durata infinita), quello stesso metodo che alterna con intelligenza le sequenze a colori e quelle in bianco e nero facendole progressivamente avvicinare fino a fonderle nel punto focale della narrazione, e che sviluppa in parallelo la storia di Leonard e quella del presunto malato Jim (disposto a lasciar morire la moglie pur di dimostrare la veridicità della propria condizione), è in fondo lo stesso che lo spettatore, rotta sintatticamente la quarta parete che divide schermo e pubblico, deve imporsi per non perdere (o per scovare) il filo logico della narrazione, appuntando ciò che accade in ogni sequenza per poterla agganciare a quella successiva (o meglio, precedente), e ricordandosi che il tutto naviga in una nebbia di incertezza e confusione, in quanto, sempre per usare le parole del protagonista, <<I ricordi sono solo delle interpretazioni, non sono la realtà>>. Derivando il nostro insieme di conoscenze da questo imprescindibile concetto, siamo chiamati anche noi ad interpretare gli avvenimenti, immergendoci in un'affascinante sciarada cinefila che si conclude, estremo inganno e dimostrazione ultima dell'impossibilità a riprodurre fedelmente ed oggettivamente la realtà, con un nulla di fatto: la trama non ha una fine, i dubbi seminati da Nolan restano tali, l'ultima sequenza ci riporta all'inizio della pellicola, il cerchio si chiude ed un nuovo giro di giostra rincomincia, il vortice in cui siamo avviluppati non concede spiragli, ed il gioco continua.
Memento ottimizza una tendenza notevolmente in voga nel cinema contemporaneo, il quale con sempre più frequenza attua quella decostruzione delle regole narrative a cui abbiamo accennato sopra: basti pensare a Mulholland Drive (di David Lynch, 2001), in cui la logica spazio-temporale viene abolita per riflettere il disordine della dimensione onirica dell'essere, sospeso in una realtà inconoscibile in cui l'identità stessa dell'individuo è messa in discussione, e al recente 21 Grammi (21 Grams, di Alejandro Gonzales Inarritu, 2003), in cui il mescolarsi dei tempi narrativi e l'intrecciarsi graduale di più storie parallele unite da un filo sottile che converge in un unico climax tenta di attualizzare la struttura classica del melodramma.
Il cinema sperimenta, il cinema si evolve, il cinema gira su se stesso alla ricerca di nuovi orizzonti e di nuove fascinazioni. I risultati sono interessanti ma discontinui, e nel marasma post-moderno l'unica cosa che ci resta da fare è non perdere la tradizione di un glorioso cinema classico destinato, forse, a scomparire. Dobbiamo serbarne il ricordo, magari appuntandocelo su di un pezzo di carta...oppure tatuandolo sulla nostra pelle.
MEMENTO
(Usa, 2000)
Regia
Christopher Nolan
Sceneggiatura
Christopher Nolan
Montaggio
Dody Dorn
Fotografia
Wally Pfister
Musica
David Julyan
Durata
113 min