Il Decalogo: o della religione come fato
di Valerio Sammarco
La forza dell'uomo si esaurisce nel momento in cui non è più artefice del proprio destino. Kieslowski sembra essersi occupato principalmente di questo, nell'arco della sua carriera, regalandoci momenti sublimi di tenera rassegnazione ed altri di insospettate virtù nascoste in alcuni dei protagonisti dei suoi lavori.
Realizzato fra il 1988 e il 1989 per la televisione polacca e strutturato come un film in dieci episodi, il Decalogo nasce dalla collaborazione fra il regista e Krzysztof Piesiewicz, noto avvocato e difensore di molti oppositori al regime, al quale si deve la paternità ideale dell'opera. Ogni episodio è un richiamo, più o meno esplicito, agli altrettanti comandamenti cattolici e si risolve (o non si risolve) in un arco di tempo delimitato mediamente in sessanta minuti.
Come poi accadrà nella celebre "Trilogia dei Colori", Kieslowski fa roteare gli stessi attori lungo il continuum ideale che lega le singole storie, dandoci modo così di osservare, anche solo per un attimo, che nella vita si può essere protagonisti e allo stesso tempo comparse di un unico destino, che si può soffrire sotto i riflettori o, il più delle volte, tristemente senza testimoni. Figura emblematica che si aggira, quasi nascondendosi, in otto dei dieci episodi, è quella di Artur Barcis: una sorta di angelo wendersiano, senza il dono della voce acusmatica e pertanto senza la capacità di renderci noti i suoi pensieri, che palesa – con il suo passaggio o con il suo sguardo – l'impotenza di un osservatore inerme, seppur forse divino, di fronte ad un mondo dimenticato dal sacro e dominato dal caso. Ogni personaggio si trova dunque ad affrontare l'opprimente macigno dato dall'ambivalenza dei sentimenti, dalla scoperta di essere inevitabilmente in balìa di un "gestore", sia esso Dio o, come detto, il Fato.
Ci troviamo così dinanzi a dieci distinti momenti, dieci splendidi affreschi di inaudita sottile ferocia; dieci, ma potrebbero essere diecimila. Dieci come Uno, insomma, attimi di esistenza che divengono arte nell'illustrazione dinamica, apparentemente statica, che Kieslowski ci fornisce. Ogni comandamento vive di vita propria ma perde pregnanza se non inscritto nell'insieme degli altri nove, se non considerato tassello inamovibile di un Tutto che avvolge, che stringe, che asfissia. Così come asfissia l'obbligo di una scelta, di una presa di coscienza o – come nel caso del Decalogo,3 – della menzogna come unico viatico per evitare di "santificare le feste" in solitudine… La volontà del regista, tuttavia, sembra essere quella di discostarsi il più possibile da una visione monolitica, monocorde, di un blocco unico, e l'impostazione visiva (un direttore della fotografia diverso quasi per ogni episodio) completamente originale per ognuno dei "racconti" è l'attestato più convincente di questa scelta.
Le musiche, curate da Zbigniew Preisner, accompagnano in maniera quasi ipnotica tutti i protagonisti lungo il lento, lentissimo viaggio che quotidianamente sono chiamati ad affrontare. Non è un caso, infine, che l'idea originaria (poi non realizzata) fosse quella di chiudere l'opera con l'esplosione del palazzo dove si svolgono la maggior parte degli episodi: il caseggiato, situato in una Varsavia che assume a seconda delle vicende connotazioni ben precise – coperta dalla neve, notturna, desolata o "sepolta" dalle foglie autunnali – diviene simbolo dell'intimità umana, a volte sin troppo manifesta, che tenta di nascondersi fra le mura di un "inferno" enigmatico e senza risoluzioni definitive.
Decalogo, 1 – Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio all'infuori di me
L'episodio più esplicitamente connesso alla presenza di Dio, incentrato sulle inquietudini del piccolo Pawel – trovatosi per la prima volta a domandarsi "perché la gente muore?" e, soprattutto, "che cosa resta dopo?" – e sulla scienza come strumento incompleto per il raggiungimento di certezze. Il referente di Pawel, suo padre, è un docente universitario fieramente convinto di poter calcolare anche la minima cosa avvalendosi di un computer, persino la resistenza dello spessore ghiacciato del laghetto dove il figlio vuole inaugurare i pattini nuovi: la vendetta divina sarà atroce, atta ad ammonire che la conoscenza umana, seppur affinata, non potrà mai essere totale, in grado di prevedere gli eventi. L'acqua che inghiotte è simbolicamente illustrata dalla macchia d'inchiostro che si allarga sui documenti del padre e lo sfogo finale di questi, nella chiesa buia, diviene manifestazione concreta dell'imponderabile e incontrollabile dolore umano, talmente violento nella sua brama di razionalità da far piangere, metaforicamente, e quasi blasfemamente, anche l'icona della Madonna raffigurata dietro l'altare. La presenza di Artur Barciś, seduto sulla riva del lago ghiacciato per tutto il tempo precedente la tragedia, è lo sguardo, immobile e forse consapevole, di quanto accadrà in seguito.
Decalogo, 2 – Non nominare il nome di Dio invano
Ancora la scienza, stavolta la medicina, quale mezzo non sempre affidabile per conoscere il futuro: la violinista Dorota vuole sapere a tutti i costi se il marito, malato di tumore, avrà qualche speranza di sopravvivenza. Incinta del suo amante, infatti, deve decidere alla svelta se abortire o portare avanti la gravidanza. Il primario (figura centrale e che dichiara di credere in un Dio che forse basta solo a sé) inizialmente non si sbilancia sulla sorte del paziente, ma dopo aver constatato l'aggravarsi delle metastasi consiglia categoricamente alla donna di non abortire, dando per certa la morte del marito. La celebre sequenza in cui l'insetto cerca strenuamente di uscire dalla bibita diviene simbolo eccezionale del ritorno alla vita da parte del malato, strumento inconsapevole della punizione spettante alla moglie: lei non spera che il marito muoia, ma invoca l'intervento divino (ovvero la certezza di un esito) affinché possa essere meno oberante il peso della sua scelta. Artur Barcis, stavolta angelo vestito da infermiere, si aggira nell'ospedale e dapprima osserva il dottore nel momento in cui questi analizza i prelievi del paziente, poi si trova sulla porta mentre Dorota va a trovare per l'ultima volta il marito. In entrambe le situazioni il suo sguardo onnisciente sembra farci avvertire l'avvento del cambiamento.
Decalogo, 3 – Ricordati di santificare le feste
Janusz, tassista, viene raggiunto dall'ex amante mentre festeggia la vigilia di Natale con la famiglia. Il marito di lei è scomparso e, disperata, cerca aiuto per ritrovarlo. In una Varsavia notturna e desolata, dove il freddo è acuito dal calore fatuo che si alimenta nell'animo dei personaggi, ospedali ed obitori sono il teatro sinistro e al contempo fittizio di una ricerca vana, di un disperato stratagemma per vincere un'altrettanto disperata solitudine: piuttosto che "santificare" il Natale senza compagnia, inventa pure una menzogna. La confessione finale alla stazione è agghiacciante nella sua semplicità, disarmante per quanto dolorosa.
All'inizio incontriamo nell'atrio del palazzo il docente del primo episodio, mentre Artur Barcis è il conducente del tram contro il quale rischiano di schiantarsi i due protagonisti: assiste, come sempre impotente, alla manovra folle del taxi, sapendo che l'impatto potrà essere evitato solamente da quest'ultimo.
Decalogo, 4 – Onora il padre e la madre
Toccante episodio sulla natura dei rapporti umani. Anka, giovane studentessa di recitazione, leggendo una lettera scritta dalla madre prima di morire e a lei indirizzata, scopre di non essere figlia di suo padre, Michal. Stavolta il luogo della rivelazione è l'aeroporto, dove Anka riferisce al padre, recitandole a memoria, le parole contenute nella lettera. Tale verità mette a nudo l'animo dei due, oramai non più uniti dal sangue, ed entrambi saranno in grado di spiegare le sensazioni che da sempre tentavano di nascondere. La scelta finale, ovvero bruciare la lettera e, con essa, la realtà appresa, è l'unico modo per continuare a vivere. Artur Barciś è l'uomo che esce dal fiume ed incrocia lo sguardo di Anka nel momento in cui sta per aprire la lettera: "vedrai", sembra dirle, "la tua vita sta per cambiare…"; verso la fine, poi, quando sotto al caseggiato Anka raggiunge Michal, lo vediamo passare di spalle ed osservare il desiderio del ritorno alla normalità. In ascensore, invece, i due si imbattono nel primario del secondo episodio.
Decalogo, 5 – Non uccidere
Una fotografia eccezionale, curata da Slawomir Idziak, avvolge con tonalità irreali di un giallo e verde quasi nauseanti i contorni dell'episodio più crudo – forse il più "caro" a Krzysztof Piesiewicz – dell'intero Decalogo. "La legge non dovrebbe imitare la natura, dovrebbe correggerla. La pena è una vendetta. Ma in nome di chi si vendica la legge?": con tali parole, proferite dal neo avvocato Piotr, si apre questo quinto capitolo. Jacek, giovane sbandato, uccide in modo efferato un tassista: la legge lo punirà con la pena capitale. La sequenza del delitto è agghiacciante, alla stregua dell'impiccagione che ne seguirà, così come sconcertante risulta il modo meccanico, di "routine", in cui viene preparato il teatro dell'esecuzione. Un atto d'accusa diretto all'omicidio istituzionale, incarnato dal grido finale di Piotr che urla al vento il suo sconcerto. L'incontro con Artur Barcis, questa volta, avviene nel momento subito precedente l'assassinio: il tassista, con Jacek a bordo, si imbatte nell'angelo (vestito da operaio) che ne ostacola il passaggio; gli sguardi, al solito, si incrociano ed il lento movimento del capo è inequivocabile, quasi a consigliare di non proseguire.
La fugace apparizione degli altri "inquilini", invece, in questo caso spetta alla coppia protagonista del secondo racconto: sono coloro che attendono, dietro al capanno, che il taxi cominci la corsa. Esiste anche la versione più lunga di questo episodio, intitolata Breve film sull'uccidere.
Decalogo, 6 – Non commettere atti impuri
Giovane impiegato all'ufficio postale, Tomek ha un appuntamento quotidiano con l'inquilina del palazzo di fronte: ne scruta i movimenti, tenta di coglierne i pensieri mediante un cannocchiale, stando seduto nella sua stanza. Un film "silenzioso", tutto teso all'esaltazione dello sguardo come unico, vero atto per comprendere gli altri: non servono parole, basta la contemplazione di un momento di solitudine. Un omaggio a Hitchcock se si vuole, ma laddove il maestro inglese faceva coincidere l'immobilità forzata del protagonista a quella reale dello spettatore, Kieślowski ci mostra come Tomek divenga personaggio attivo pur di avvicinare l'oggetto del suo sguardo, del suo amore. Inevitabile, poi, la presa di coscienza data dalla caducità di un desiderio che si realizza, la perdita di quell'aura di incertezza che ne muoveva gli intenti. Memorabile la sequenza in cui Tomek immerge i polsi recisi nel catino pieno d'acqua che, poco a poco, si mischia con il sangue.
L'angelo Artur Barciś è l'uomo con la valigia che dapprima sorride nel vedere i volteggi di Tomek, per poi gettare il suo sguardo impietoso sul ragazzo nel momento in cui questi urla felice di essere innamorato, quasi a contemplarne il dolore che ciò gli procurerà I due si incroceranno anche più tardi quando, sconvolto, Tomek corre via dal palazzo della donna.
Come per il precedente episodio, esiste la versione lunga intitolata Breve film sull'amore, ignobilmente distribuito in Italia con il nome Non desiderare la donna d'altri.
Decalogo, 7 – Non rubare
"Si può rubare ciò che è nostro?"… Insolito modo di concepire il "furto", in questo episodio i possibili peccatori sono due: Maika, giovane mamma di Anjurka, ed Ewa - la madre di Majka - che, anni prima, adottò la neonata per impedire che la vicenda suscitasse scandalo. Lo scippo è duplice, nel momento in cui Majka decide di rapire la figlia per tenerla finalmente con sé. Una sorta di melodramma che si risolve nel modo più classico: la bambina, oramai inevitabilmente convinta che la nonna sia la sua vera madre, continuerà a vivere con lei: Majka, in questo modo, paga il fatto di aver acconsentito, all'origine, che venisse tenuto segreto il parto e, di conseguenza, il suo essere madre. Artur Barciś non compare, forse perché il vero angelo della vicenda è Anjurka, vittima innocente delle decisioni degli adulti.
Decalogo, 8 – Non dire falsa testimonianza
Storia di un peccato non commesso, di una "falsa testimonianza" non proferita – il far battezzare una piccola ebrea nel '43 – anche a costo di mettere seriamente a repentaglio l'esistenza stessa della bambina. Quarant'anni dopo, Zofia, anziana docente di filosofia, rincontra Elzbieta, tornata in Polonia per conoscere a fondo le motivazioni di un tale gesto. Il momento del ricongiungimento è testimoniato dallo sguardo attento di Artur Barcis che, nell'aula universitaria, si mischia agli altri studenti: il racconto di Elzbieta costringe la macchina da presa ad alternare con insistenza l'attenzione sui volti della professoressa e dell'angelo dell'agnizione Barciś La ragazza, che in precedenza fornisce alla lezione l'esempio inerente il tema de "l'inferno etico", narra con precisione la storia cui abbiamo assistito nel secondo episodio, mentre il vicino di casa di Zofia con la passione per i francobolli anticipa, come una sorta di prologo, la vicenda che sarà illustrata nel Decalogo, 10: egli, infatti, altri non è che il padre dei due protagonisti. Infine, il tunnel che vediamo verso la fine dell'episodio è lo stesso che – nel Decalogo, 3 – ha fatto da sfondo al "quasi" incidente tra il taxi ed il tram.
Decalogo, 9 – Non desiderare la donna d'altri
Dopo dieci anni di matrimonio, Roman scopre di essere diventato impotente: può sperare che l'amore della moglie continui ad esistere? Condotta con i soliti toni sommessi, l'indagine di Kieslowski sulla natura del sesso e delle sue implicazioni sentimentali si fa più invasiva, ma allo stesso tempo meno categorica, lasciando viva la speranza che davvero "l'amore si trovi nel cuore e non in mezzo alle gambe" Non a caso, nel corso dell'episodio, Roman (cardiochirurgo) cerca di convincere una giovane paziente, dal cuore debole, a sottoporsi ad un intervento per consentirle di continuare a coltivare la passione per il canto. La ricercatezza formale è presente più che mai, dalle ossessive "aperture involontarie" del cassettino del cruscotto fino alla dolorosa sequenza di voyeurismo, girata in modo eccelso.
Artur Barcis passa con la bicicletta in due occasioni: all'inizio, quando Roman va fuori strada con l'auto e verso la fine, quando si vede sorpassare – sempre dal protagonista – anch'egli su una bicicletta, lanciato follemente verso la morte. In ambedue le circostanze il suo sguardo sembra meno consapevole delle altre volte, quasi sgomento, quasi a giustificare che il suo passaggio "nel mondo" volge al termine.
Decalogo, 10 – Non desiderare la roba d'altri
L'ultimo dei Dieci Comandamenti, forse non casualmente, è un monito concernente più la materia che l'anima e Kieslowski pare voglia "divertirsi" a chiudere la monumentale opera investendo l'episodio di un'ironia mai così percepibile nei precedenti. L'anziano filatelico intravisto nel Decalogo, 8 passa a miglior vita ed i figli ereditano la sua collezione, scoprendo di possedere una fortuna. Piuttosto che vendere, però, inizieranno ad appassionarsi alla cosa, arrivando persino a donare un rene per barattarlo con un francobollo rarissimo. Interpretati magistralmente da Jerzy Stuhr e Zbigniew Zamachowski (tra l'altro protagonisti, anni dopo, di Tre colori: Film Bianco), i due fratelli sono riavvicinati dalla morte del padre e dalla sua passione, per poi rischiare di perdersi nuovamente a causa dell'avidità che li porterà a sospettare l'uno dell'altro. Seppur, dunque, venga a mancare la "disperazione" presente nelle altre storie, Kieślowski riesce a costruire un intreccio perfetto, senza sbavature ed intriso di "divertente malinconia". Artur Barcis, come accennato poc'anzi, marca visita: il mondo non ha più bisogno del suo sguardo, nostalgico e onnisciente, per proseguire la sua corsa verso "l'esplosione". Scelta oculata, per l'appunto, sembra essere quella di utilizzare non la solita melodia ipnotica per "calare il sipario", ma un motivo dalle sonorità punk, quasi a sostituire la deflagrazione del caseggiato pensata inizialmente.
DECALOGO
(Polonia, 1990)
Regia
Krzysztof Kieslowski
Sceneggiatura
Krzysztof Piesiewicz, Krzysztof Kieslowski
Montaggio
Ewa Smal
Fotografia
Edward Klosonski
Musica
Zbigniew Preisner