Andreas Krein
Hochbetrieb
di Claudio Cinus
L'impalcatura del cantiere di un grattacielo è un'immagine che, vista dall'Europa, evoca tempi passati e un mondo lontano, una civiltà diversa che pure ci appartiene, perché quelle immagini hanno contagiato anche la nostra memoria collettiva.
Il cinema, giocando con l'altezza e la vertigine, ama ambientare in questo luogo scene di forte tensione o di grande comicità. Il tedesco Andreas Krein ha optato per la seconda possibilità, nel suo cortometraggio Hochbetrieb (traducibile come "massima attività"). Presentato in concorso al Festival di Venezia del 2003, si è aggiudicato una menzione speciale così motivata: "Per aver messo la tecnologia moderna al servizio di un omaggio a Harold Lloyd che non dobbiamo dimenticare". Il film è niente altro che una slapstick comedy, tutta giocata sugli inseguimenti di un capomastro nei confronti di un apprendista, sempre in equilibrio instabile, con movimenti continui, cadute, botte. Un'opera che si rifà alle bobine degli anni '10 e '20, scritto e diretto da un regista che lavora con gli effetti visivi: antico e moderno si incontrano felicemente.
Un europeo che si richiama ai modelli d'oltreoceano deve confrontarsi con essi, e lo fa sfruttando tutti quei procedimenti che, per dirla alla Bergson, portano alla risata applicando atti meccanici alla vita quotidiana. Il suo lavoro fa riferimento all'immaginario americano nell'ambientazione, ma anche nell'epoca, l'età d'oro delle comiche. D'altronde, il cinema comico muto è essenzialmente americano: sotto le grinfie di Mack Sennett o Hal Roach, sono passate tante facce, soprattutto tanti corpi indistruttibili e snodabili, cui non sempre è facile associare un nome. Harold Lloyd era uno dei comici di maggiore successo dell'epoca, ed è anche molto più dimenticato, e meno visibile, rispetto ai mostri sacri Chaplin e Keaton; forse per questo la giuria l'ha voluto menzionare. Con i suoi occhiali e l'aspetto da bravo ragazzo, rappresentava l'americano medio; Krein invece guarda l'America da straniero, come chi la sogna partendo da una foto vista da ragazzo.
Questo corto, un inchino generoso di un tedesco nei confronti di una parte importante della cultura americana che è stata poi recepita a livello mondiale, coglie l'atmosfera di tutti i film del periodo, con suggestioni e rimandi che possono appartenere a numerose comiche. La trama è imperniata sulle peripezie di un ragazzo che, nella pausa pranzo, ruba un panino ad un collega più grosso: il tema del lavoro, le differenze sociali e fisiche, la fame, sono alcuni spunti che questo corto riprende dalla lunga tradizione cui fa riferimento. L'operazione, inoltre, sembra rivolta ad un preciso modo di fare cinema. Poiché era impensabile un film di durata cospicua tutto basato sui capitomboli, lo slapstick "puro" perdette vigore con il lungometraggio, ed andò a contaminare gli altri generi. Così viene omaggiato il punto più alto mai raggiunto dall'arte del cortometraggio, con quello che, forse, è l'unico genere che appartiene solo a questa modalità narrativa.
Le primissime inquadrature fanno pensare a un lavoro d'animazione. La scenografia è realizzata con tecniche digitali, cosicché ci si immerge subito in un non-luogo che somiglia all'America di inizio secolo, ma non esiste, una ricostruzione artificiosa, modellata sullo sguardo di chi adatta frammenti di immagini che appartengono ai suoi ricordi a un mondo che non ha mai visto: il film trova così il suo set naturale. Aggirandosi in uno spazio virtuale, i personaggi sembrano bloccati, e gli inseguimenti, giocati sulla precarietà delle travi, paiono quasi pesanti. In questo si sentono gli 80 anni che distanziano le vecchie comiche da Hochbetrieb: laddove il fisico dei personaggi era la forza motrice della storia, con una componente umana che era centrale, oggi subentra la tecnologia, che è capace di creare situazioni altrettanto divertenti, ma molto più edulcorate. Le situazioni rappresentate sono rarefatte, perché filtrate dal mezzo tecnico.
Harold Lloyd era celebre per cimentarsi in azioni spericolate senza aiuto di controfigure; oggi sarebbe impensabile. Così come l'improvvisazione sul set, che era necessaria per garantire la produzione di varie pellicole al mese; l'uso delle tecnologie, con elementi che fisicamente non compaiono sul set, con movimenti ben calibrati, e una notevole postproduzione, sposta decisamente il centro dell'interesse dall'uomo come macchina, alla macchina stessa che ingloba l'uomo. Aggiornare le comiche porta a svuotarle di umanità, ma aggiunge quel tocco di nostalgia di chi fa oggi ciò che forse avrebbe voluto fare allora.
Hochbetrieb gira per festival e rassegne assieme ad altri 10 corti diretti da giovani registi tedeschi, in una selezione dal titolo Next generation 2003; si sposa bene con gli altri lavori per almeno due motivi. Il primo è la presenza di quattro lavori d'animazione, un campo che viene esplorato in tutte le sue modalità, e nel quale Krein ha compiuto i suoi studi, come dimostra il suo film. Il secondo è una nota fortemente pessimista che compare in quasi tutti i lavori; anche nei più divertenti, si ride a denti stretti, perché i finali sono spesso spiazzanti, talvolta beffardi, alcuni addirittura atroci, a voler leggere tra le righe. Hochbetrieb non fa eccezione; nell'ultima inquadratura, una ranocchia che fa da terzo incomodo tra l'apprendista e il capomastro fa una brutta fine, senz'altro divertente, ma anche fatalmente crudele, per sé e per il povero apprendista ("la classe operaia che ingoia il rospo"). Anche in una comica che strizza innocentemente l'occhio al passato, non manca un momento, pur spassoso, di grigiore, e questo la dice lunga sul clima che si respira oggi, e che i giovani cineasti recepiscono.
HOCHBETRIEB
(Germania, 2003)
Regia
Andreas Krein
Musica
Stefan Ziethen
Durata
6 min