Frozen river: la barriera invisibile PDF 
Gioia de Bigontina   

Frozen River: confine invisibile che separa territori, culture e soprattutto esseri umani. Ma il coraggio di due donne riuscirà a rompere la superficie del fiume ghiacciato, aprendo la strada al cambiamento. Ray, madre di mezza età con due figli, viene abbandonata dal marito che scappa portando con sé i soldi necessari a comprare una nuova casa. Per recuperare la somma Ray decide di trasportare immigrati clandestini dal Canada agli Stati Uniti, passando sul “frozen river” St. Lawrence che funge da confine. In tutto ciò però non è sola; è infatti necessario l’aiuto di Lila, una donna mohawk che abita nella riserva all’interno del territorio canadese e a cui è stato sottratto il figlio dopo la nascita. Nonostante i pregiudizi e la diffidenza iniziale le due donne intraprendono un’avventura che le unirà nel bene e nel male e il cui unico obiettivo è quello di proteggere il loro bene più prezioso.

Courtney Hunt, regista e sceneggiatrice del film, aveva già mostrato il suo interesse verso un cinema d’impronta sociale con il suo cortometraggio d’esordio Althea Fought relativo alla Guerra civile americana. Ora riadatta il secondo corto, Frozen River appunto, trasformandolo in un lungometraggio nel quale pone l’accento sui temi della frontiera, capace di separare sia geograficamente che culturalmente, sulla vita all’interno di una piccola comunità e sul rapporto madre-figli, vero filo conduttore di tutta l’opera. Il film viene prodotto, neanche a dirlo, dalla Frozen River Production e si aggiudica il premio come miglior film al Sundance Film Festival del 2008.

Il tema della frontiera è fortemente presente nell’opera sia per quel che riguarda il confine geografico sia per quello culturale. Nel primo caso la frontiera indica il limite tra due grandi Stati come Canada e gli Stati Uniti, che viene continuamente oltrepassato attraverso il contrabbando di immigrati clandestini cinesi e pakistani, ma anche quel confine che si pone tra la riserva mohawk e lo stesso territorio canadese nel quale si trova. Attraverso la scelta di usare campi lunghi la regista vuole dare allo spettatore l’idea di un territorio che va, e deve essere, indagato per comprenderlo appieno. Pertanto, con lo scopo di rafforzare tale concetto, essa adotta uno sguardo tipicamente documentario, distaccato, ma al cui interno si notano anche influenze relative soprattutto al genere western per quel che concerne il tema della conquista e colonizzazione del “selvaggio” e dell’inesplorato. Mentre nel secondo caso, il confine culturale, ruolo di primo piano viene assunto dalla persona di Lila che, respinta dalla comunità mohawk, è costretta a vivere, isolata, in bilico costante tra la stessa riserva e “l’universo bianco” circostante. Proprio grazie a ciò essa diventa la figura di mediazione necessaria per collegare lo spettatore, che assume le sembianze di Ray, con il piccolo mondo degli indiani mohawk. Come accennato in precedenza la vita all’interno di una piccola comunità, inglobata dentro un territorio i cui usi e costumi sono completamente differenti, è oggetto di un interesse particolare da parte dell’autrice del film. Infatti l’intento è quello di mostrare che la vita in un ambiente così ristretto non sempre è facile come si pensa; Lila lo mostra molto chiaramente. I pregiudizi sono estremamente forti e pesano costantemente sulla donna, portandola infine alla dura decisione di isolarsi completamente in un silenzio carico di odio. Sarà poi Ray che, riuscendo a instaurare un rapporto di fiducia, le darà la forza necessaria per ribellarsi alle imposizioni delle riserva e riprendere in mano la sua vita.

Entrambe le tematiche precedenti vengono inglobate all’interno del vero filo conduttore di tutto il film: il rapporto madre-figli che si sviluppa, a sua volta, su due rami tra loro molto diversi: uno relativo alla famiglia di Ray e l’altro riguardante la vicenda di Lila. A Lila infatti viene sottratto il figlio, subito dopo la nascita, poi allevato dalla suocera per un anno intero fino a quando per l’appunto la protagonista trova il coraggio per riprenderselo. Mentre il caso di Ray è più complesso perché costretta, innanzi tutto, a crescere i figli tra svariate difficoltà economiche. Il rapporto che si crea col maggiore dei due è molto spesso conflittuale, a causa della sua età adolescenziale, mentre quello con il minore assume toni delicati perché ancora troppo piccolo per capire veramente l’intera questione. La donna è perciò sempre costretta a “indossare” una maschera per celare le sue preoccupazioni, respingendo nel più profondo del suo cuore il dolore costante che l’accompagna. Inoltre, pur di garantire loro un futuro migliore, accetta di trasportare dei clandestini nel bagagliaio della sua auto ben consapevole dei rischi a cui va incontro e che la portano effettivamente ad un periodo di detenzione in carcere.

Forte è la sensibilità che emerge nel mostrare tutto ciò proprio perché a farlo è una donna la quale, possedendo in sé per natura l’istinto materno, più di qualsiasi altro autore maschile, senza nulla togliere, riesce a riprodurre sullo schermo i turbamenti che solo un’altra donna può provare. Frozen River è dunque un film carico di significati che convoglia nelle due figure protagoniste temi di costante attualità con lo scopo di risvegliare nello spettatore una coscienza sociale troppe volte dimenticata. Soprattutto ora, che le frontiere sono sempre più marcate, si sente la necessità di trovare un legame che sia più forte di qualsiasi pregiudizio. In questo Courtney Hunt ha dato prova di saper superare ogni barriera, donando al mondo un’opera d’impressionante sensibilità.

 


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