La XVI edizione del Festival Internazionale di Film con Tematiche Omosessuali di Torino si è conclusa tra frizzi, lazzi, paillettes (delle drag-queen) e spumeggianti battute (di Luciana Littizzetto, chiamata a presentare l'incredibile cerimonia di chiusura queer di mercoledì 18 aprile) con la vittoria del film taiwanese "Ye Ben" del duo Hsu Li-kong, Chi Yin, 'melodrammone' corposo che narra di un'inquieta relazione tra due uomini e una donna, fidanzata di uno dei due, sullo sfondo della Cina degli anni Trenta. Arditi corredi musicali, accurate ambientazioni storiche, complicati intrecci sentimentali trovano la loro soddisfazione in una materia narrativa fluida e visivamente elegante, meticolosamente messa in scena.
"Km.0" degli spagnoli Yolanda Garcia Serrano e Juan Luis Iborra si è invece assicurato il 'Premio speciale della Giuria'. Film di solitudini che intendono essere colmate, contatti che non sempre vanno a buon fine, equivoci che generano il divertimento ruotano intorno al celebre Km 0 della Puerta del Sol a Madrid, il tratto da cui è partita la metropolitana della capitale spagnola.
Una 'Menzione speciale' è andata a Dan Futterman, splendido e dubbioso Charlie in "Urbania" di Jon Shear, storia di reiterate situazioni esistenziali, monotone ripetizioni di un passato che ci si ostina a recuperare, salvo poi rendersi conto di percepire una realtà sfasata, rivissuta, ancorata a valori e sensazioni cristallizzati per sempre nella psiche senza che l'esperienza evolva o muti le sue dinamiche emotive. Jon Shear offre un ritratto cittadino claustrofobico, caratterizzato dalla pervasività di una musica che non abbandona mai la narrazione e da scenografie urbane ombrose degne di un incubo vissuto ad occhi aperti, anche se, su tutto, colpisce lo splendido motivo simbolico dell'ora legale invernale che il protagonista deve ricordarsi di puntare sul suo orologio, arco di tempo che permette di vivere due volte lo stesso periodo. In tutto questo Dan Futterman riesce a fornire una prestazione attoriale di tutto rispetto, mostrando apertamente il fastidio psichico che lo attanaglia e lo costringe a rivolgersi al passato per superare il trauma della rottura di un fidanzamento.
Come film di chiusura della manifestazione è stato invece presentato "Gaudi Afternoon" di Susan Seidelman, regista che aveva contribuito a creare una sorta di aura mitica sulla 'New Wave newyorchese' della prima metà degli anni Ottanta (grazie a una pellicola come "The Smithereens"), persasi poi un po' per strada in operazioni discutibili ("Cookie", "She-Devil" e il penultimo, intimista, "A Cooler Climate").
"Gaudi Afternoon" non è un ritorno, peraltro impossibile, all'ispirazione degli esordi, ma è una pellicola che viaggia con grande abilità all'interno dell'interazione tra cinque donne (un'isterica Judy Davis, una splendida Juliette Lewis post-hippy e svampita, una mascolina Lily Taylor e un'insondabile Marcia Gay Harden, più la rassicurante, nella sua carnale sensualità, anche se un po' defilata, Maria Barranco) perse tra problemi personali, confusione di generi e ruoli e solitudini colmate in modo sempre singolare. Un film che utilizza il tema dell'omosessualità come pretesto per riflettere sulle certezza che la stabilità affettiva offre e sulla sicurezza che il ruolo materno ricopre all'interno della famiglia, intesa come coacervo di un centro permanente di valori psicologici cui far riferimento in modo costante.
Non un film conservatore, ma una storia che diverte e si diverte grazie all'articolato intreccio a tracciare una mappa della crisi della stabilità e suggerisce discretamente modalità per farvi fronte. Ed intorno, come se fosse un altro personaggio, la città di Barcellona, quasi fosse un'esclusiva creazione di Gaudì, piena di fascinoso mistero, instabile nella sua architettura dinamica, movimentata nelle sue colonne portanti e nei suoi tetti vertiginosi, quasi uno specchio di cinque psicologie alla ricerca di stabili certezze. Sperando che lo sguardo su una Barcellona così caratterizzante renda al cinema pienamente la Seidelman.
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