Nixon. Gli intrighi del potere PDF 
Marco Capriata   

Figura alquanto scomoda quella del presidente americano “Tricky Dicky” Nixon, così apostrofato dai suoi detrattori per la sua natura infida, quasi un soprannome da fumetto, degno di un villain uscito da un’avventura di Batman, icona e simbolo dell’infausta guerra del Vietnam, sintomo ed emblema della perdita dell’innocenza di una nazione e del suo popolo, ferita sintomatica che gli americani hanno imparato ad esorcizzare come tanti altri loro traumi nazionali.

Stone, che a quella guerra ha dedicato più di una riflessione cinematografica, così come per le figure presidenziali, tanto da riproporsi con il recente W., nonostante le aspettative di caustica critica al vetriolo, alla fine ci restituisce un’opera in cui traspare un’umanità del personaggio inimmaginabile, grazie ad un’interpretazione molto sentita di Anthony Hopkins, che nonostante un trucco che tenta di ricalcarne per quanto possibile una certa somiglianza fisica, ci restituisce un individuo pregno di contraddizioni e problematico, schiacciato dai complessi d’inferiorità e da un senso d’inadeguatezza che non riesce ad accettare né comprendere. Nixon è visto come un potenziale presidente per antonomasia, un uomo in grado di comandare e di essere all’altezza del suo compito, nonché di essere perdonato per i suoi errori se solo fosse amato, come ricorda Kissinger (Paul Sorvino) nel momento più critico della sua presidenza e che suona come la migliore giustificazione alla mancata destituzione del presidente Clinton durante il Sexgate, richiamandosi inevitabilmente al celeberrimo ed emblematico Watergate. Nixon diviene così una sorta di figura paradigmatica della recentissima storia americana, quale dimostrazione della tesi dei corsi e ricorsi storici, che per un paese storicamente giovane come gli Stati Uniti pare adattarsi ancor meglio, costringendo analisti e studiosi a continui riferimenti al proprio recente passato per comprendere il presente.

Pertanto, Nixon – Gli intrighi del potere, diviene a suo modo un tassello utile – anche se non da un punto di vista strettamente storiografico – per comprendere alcune dinamiche sociali ed umane di un popolo così apparentemente semplice e complesso nelle proprie contraddizioni. Il film di Stone, per quanto cerchi di colmare attraverso l’invenzione narrativa e drammaturgica quelle vicende che ancora oggi sono ammantate da un’aura di mistero, tende a creare un ritratto in cui prevale l’umanità del personaggio, nonostante i molti riferimenti politici e storici che il regista americano rievoca attraverso immagini di repertorio. Riferimenti che si fondono con il racconto stesso, concorrendo a realizzare una trama visiva volta a tessere un unicum inscindibile tra immagine filmica e di repertorio, in cui il bianco e nero e la fotografia sgranata imbastiscono una sovrapposizione tra realtà e finzione, che nella loro ambiguità visiva divengono metafora dialettica e linguistica stessa della voce emanazione di Nixon, che egli stesso, quasi in una sorta di rifiuto/negazione psicologica, disconoscerà di fronte alla prova provata delle registrazioni che lo legheranno allo scandalo Watergate. Il Nixon di Stone è una figura schiacciata dai complessi che si porta dall’infanzia quacchera, in cui la figura materna giganteggia nei ricordi del presidente quale icona religiosa, nonché quello di colpa per il successo ottenuto a discapito dei suoi fratelli morti di tubercolosi, sino al confronto con il più carismatico Kennedy, figura fantasmatica di caratura scespiriana che lo adombrerà per tutta la carriera politica, come icasticamente sancisce in questa frase finale: “Quando ti guardano, si vedono come vorrebbero essere, quando guardano me, si vedono come sono”. Nixon è un Riccardo III dolente e sconfitto, la cui sete di potere è sempre vista in funzione del riconoscimento popolare, tanto da cercare un punto di riferimento costante nella figura di Lincoln, padre della patria cui vorrebbe ambire come caratura, ma di cui sembra costantemente contraddire lo spirito attraverso le proprie azioni e scelte politiche sino all’acme della guerra del Vietnam, in cui i bombardamenti indiscriminati della Cambogia acuiranno il conflitto orientale e interno al proprio paese per ottenere una presunta pace che diverrà invece una reale sconfitta per gli Stati Uniti e che ora sembra a suo modo riflettersi in maniera più subdola e strisciante nella guerra in Iraq.

La figura presidenziale è quasi sempre vista attraverso lo spazio in cui esercita la propria funzione di potere, quindi tendenzialmente chiusa, serrata, priva di aperture, come se fosse costantemente schiacciata ed oppressa dal proprio compito di comandante del mondo. E la regia di Stone accentua ed esalta questi aspetti, attraverso un uso della m.d.p. che si attacca ai corpi e che sfrutta il grandangolo in puro stile Quarto potere: c’è chi giustamente ha visto in questa rilettura della figura di Nixon una sorta di riferimento al senso di solitudine e megalomania di cui era pervaso il Citizen Kane di Welles. Stone predilige i chiaroscuri scegliendo per i momenti più drammatici, a partire dallo scandalo Watergate, le zone d’ombra delle stanze del potere fotografate con una luce espressionista, quale allegoria palese della scarsa limpidezza dell’operato del presidente Nixon, dallo scoppio del caso che lo porterà alla destituzione fino alle origini della sua carriera, senza lesinare sulle sconfitte elettorali, l’adesione al maccartismo e gli alquanto dubbi appoggi di certe lobby di potere, cui Stone pare attribuire una responsabilità indiretta dell’omicidio Kennedy.

Forse Nixon – Gli intrighi del potere meriterebbe di essere annoverato tra quei film che nel tratteggiare la storia della presidenza americana, ognuno a suo modo, ci restituiscono una chiave di lettura comunque necessaria della realtà odierna dell’America, partendo dalle elezioni perse da Al Gore e alla sua richiesta di riconteggio dei voti, sorta di nemesi al contrario di quanto subito apparentemente da Nixon negli anni Sessanta contro Kennedy, fino ad arrivare alla guerra in Iraq, sorta di conflitto invisibile e quasi dimenticato rispetto a quello iperdocumentato vietnamita, che ha costituito una delle principali colpe attribuite a Nixon. Questo film non fornirà sicuramente delle risposte o delle nuove ipotesi sulla politica americana, ma non smentisce la natura perversa del potere e di chi lo governa, per quanto possa sembrare benevolo e accondiscendente il ritratto che ne esce di una delle figure più controverse ed emblematiche della politica americana, ora aggiornatasi nel neo ex presidente Bush, su cui si è spesso discusso sulle reali capacità politiche e strategiche, doti che in Nixon sicuramente non mancavano, come hanno dimostrato i suoi contatti diplomatici con la Cina di Mao e l’ex U.R.S.S. di Breznev, ma che l’assenza di scrupoli ha portato ad affibbiargli quel calzante e mai così appropriato appellativo di “Tricky Dicky”. That’s all Folks!

TITOLO ORIGINALE: Nixon; REGIA: Oliver Stone; SCENEGGIATURA: Stephen J. Revele, Cristopher Wilkinson, Oliver Stone; FOTOGRAFIA: Robert Richardson; MONTAGGIO: Hank Corwin, Brian Berdan; MUSICA: John Williams; PRODUZIONE: USA; ANNO: 1996; DURATA: 190 min.

 


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