Visibilità e controllo secondo Zygmunt Bauman: dal Panopticon a Facebook PDF 
Paolo Fossati   

In occasione dell’uscita del suo ultimo libro, Vite che non possiamo permetterci, Zygmunt Bauman è giunto in Italia, ospite nell’ambito dell’evento “Libri come - Festival del libro e della lettura” all’Auditorium Parco della Musica di Roma. L’intervento del sociologo, dal titolo “Come Facebook”, si è concentrato sul fenomeno del successo del social network più conosciuto. Un vero e proprio studio di un caso di stretta attualità, analizzato attraverso gli strumenti teorici messi a punto in decenni di ricerche.

Il nuovo volume, edito nella versione italiana da Laterza, si compone di una serie di conversazioni tra Citlali Rovirosa-Madrazo e Bauman, intervistato sullo stato attuale del diritto, dell’economia, della cultura, della politica, della religione, dei sentimenti: grandi temi da sempre al centro delle sue riflessioni sulla vita. Living on borrowed time, il titolo originale dell’opera, esplicita il senso di precarietà e provvisorietà che pervadono i nostri tempi. Percezioni che Bauman riesce a motivare, oltre che ad evocare. Che si tratti di vivere sentendosi “in prestito” o di osservare lo scenario della quotidianità realizzando che quasi tutto ciò che ci circonda è “momentaneo”, in ogni caso le riflessioni del pensatore ultraottantenne si concentrano sui meccanismi fondanti il nostro modo di intendere la società. Riflessioni che lo conducono a manifestare interesse per l’invenzione del ventenne Zuckerberg, senza alcun timore di confrontarsi con un fenomeno che, si chiede in apertura della conferenza: “è per sempre? o siamo in momento di transito?” sostenendo che “la giuria sta ancora deliberando in merito”.

La successiva analisi di Facebook si basa su un approccio giocato su due fronti: sicurezza e libertà. Il quesito di partenza che Bauman si pone per giustificare il successo dell’attività di social networking è l’eventualità dell’esistenza di una domanda latente dei servizi resi possibili dal sistema: c'erano persone in attesa delle offerte di Facebook? E quali sono i bisogni soddisfatti dal servizio web? Si risponderà: quello di mostrarsi e sentire di esistere (esponendosi) e quello di far parte di una comunità (avere la prova della reale presenza al mondo di gente con la quale condividere opinioni). L’ipotesi del teorico è che questo tipo di proposte siano accolte in modo entusiastico a condizione che le persone (prima di diventare utenti) siano insoddisfatte, abbiano paura di cadere nell'anonimato, di essere escluse in qualche modo dal vivere sociale. Ma Facebook – afferma – non è una comunità, è una rete. La comunità ti sta a guardare e ti controlla, ti minaccia quando te ne distacchi: vede nella dipartita un tradimento. Mentre la rete no. È più facile, bastano due azioni per gestirla: collegarsi, scollegarsi. Il prezzo da pagare per questa maggior libertà è una minor o diversa quantità di sentimento o almeno di percezione della realtà: la differenza tra un abbraccio e un poke. E se Facebook consente di mantenersi in contatto con migliaia di persone e di stilare ed esporre liste pressoché infinite di amicizie, Bauman replica citando Robin Dumbar, che sostiene che il numero massimo di amici che un soggetto può avere e gestire nella vita sia limitato a centocinquanta. La mente umana riesce a sopportare relazioni efficaci e approfondite con una mole simile di soggetti, la parte eccedente è da considerarsi, tutt’al più, come un bacino di persone nei confronti delle quali si può svolgere un’attività voyeuristica.

Impossibile a questo punto, per chi scrive (e per chiunque si occupi di cinema e comunicazione), non pensare alla figura dell’icononauta teorizzata da Gian Piero Brunetta: l’uomo tipico della modernità immerso in un mondo pervaso da immagini, che contribuiscono a costruirne una geografia mentale ed emotiva. Questo nuovo soggetto sociale, divenuto nel Novecento homo cinematographicus, vive oggi l’ennesimo slancio evolutivo attraverso internet, che consente di condividere fotografie e filmati, oltre che naturalmente pensieri. In più Facebook, contenitore infinito di frammenti di storie, concede di vivere una simulazione dell’esperienza del flaneur ottocentesco, che trascorreva il tempo vagando nella metropoli e lasciandosi trasportare dal proprio sguardo, tra vetrine e grandi esposizioni universali. Già Francesco Casetti, nel suo L’occhio del Novecento, aveva attribuito questa attitudine allo spettatore cinematografico: oggi, in una società di icononauti, il voyeurismo si esercita sempre più navigando “a vista” su internet, lasciandosi trasportare dal proprio sguardo da flaneur attraverso le tracce di vita disseminate da amici e conoscenti sui social network. Si tratta dunque di viaggiare restando immobili, come al cinema del resto, ma, diversamente dall’esperienza spettatoriale, disseminando indizi del nostro passaggio e del nostro passato. Prove che testimoniano l’esistenza della nostra rete di relazioni, nella quale ci possiamo sentire talvolta imbrigliati, scoprendo l’altra faccia del piacere di mostrarsi: la sensazione permanente di essere osservati. È così che la sicurezza di sentirsi parte di un mondo pulsante di vita deve fare i conti, secondo l’equilibrio suggerito da Zygmunt Bauman, con la libertà.

Visibilità e libertà ci conducono a riflettere sull’idea del Panopticon di Bentham, ripresa da Focault e citata nel 1998 proprio da Bauman, nel paragrafo “C’è una vita dopo il Panopticon?” del saggio Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone (Editori Laterza). Prendendo spunto dall’ipotesi tardo settecentesca di questo carcere ideale che, grazie alla forma dell’edificio, consente ad un unico guardiano di controllare tutti i prigionieri in ogni momento, e a loro insaputa, il sociologo giunge ad un parallelismo con la città descritta da Orwell in 1984, dove “ognuno possiede una tv propria, ma nessuno può mai spegnerla, né sapere in quali momenti lo schermo può essere usato come una macchina da presa”. Prima del boom di internet e dell’avvento dei social network questo modello di struttura coercitiva era utile per porsi quesiti sulla privacy e sulla crescente mole di dati archiviati attraverso l’uso delle carte di credito, un’enorme mappa delle abitudini al consumo. Già allora Bauman poneva la propria attenzione sull’origine volontaria del gesto, diversa dall’ipotesi del Panopticon. Un’attività di sorveglianza, quindi, che deriva dall’accettazione di un sistema da parte dei singoli soggetti, che divengono utenti acconsentendo a essere censiti e incasellati in target. Una libera scelta di appartenenza che diviene emblema di libertà, sebbene la decisione di far parte del gruppo dei “sorvegliati” o “censiti”, che dir si voglia, sia il primo passo verso l’ingresso in un sistema strutturato su un modello di controllo.

Ma Zygmunt Bauman, nello stesso testo, ci fornisce già un panorama che apre a scenari differenti, citando Thomas Mathiesen e sostenendo che “l’introduzione del potere panottico rappresentava una metamorfosi da una situazione in cui i molti guardano i pochi a una in cui i pochi guardano i molti”, commentando “nella storia delle forme in cui viene esercitato il potere, la sorveglianza aveva rimpiazzato lo spettacolo”. Insomma: nell’era moderna la società inizia ad essere osservata attentamente dal potere, ribaltando la precedente situazione nella quale la rappresentazione pubblica del potere si lasciava ammirare dal popolo per infondere rispetto e timore. Con la nascita e la diffusione dei mass media si giunge alla creazione di un modello differente, quello del Synopticon, per natura globale, che trasforma i propri (s)oggetti da guardati in guardanti. “Il Synopticon non ha bisogno di costringere nessuno, seduce la gente perché guardi”.  Al tempo Bauman concludeva lapidario: “la tanto osannata interattività dei nuovi media è decisamente una esagerazione: si dovrebbe parlare di un medium interattivo a senso unico. I molti guardano i pochi. I pochi guardati sono delle celebrità”. A chi scrive viene da pensare di esser giunti ad una fase in cui i molti osservano i molti, senza ancora aver sviluppato una vera attitudine nel mettere in atto il processo, affidandosi dunque agli algoritmi di Facebook, che propone agli utenti inseriti in reti di numerosi amici, l’osservazione in via prioritaria dei contenuti condivisi dai soggetti abitualmente più cliccati. In pratica il social network censisce le preferenze vojeuristiche dell’utente, proponendogli ad ogni log in di andare subito ad osservare i suoi soggetti preferiti ed escludendo, di conseguenza, i meno osservati. È una soluzione matematica al problema sollevato dal numero di Dunbar, basata su un banale schema simile a una classifica di gradimento. Una gerarchia delle conoscenze che applica il concetto di celebrità all’interno di gruppi sociali predefiniti, trasversali alle comunità locali e gestiti da un soggetto che esercita un potere amministrativo.

Dopo oltre un decennio di evoluzione della rete, giunta al web 2.0, e di tendenze televisive sempre più votate a esperienze di reality, crediamo, infatti, che il concetto di celebrità, sebbene ancora assolutamente attuale, sia profondamente mutato, almeno per quanto riguarda la velocità con la quale si può assurgere alla notorietà e, per contrappasso, tornare nell’ombra. È ormai più difficile far ritorno o restare nell’anonimato che esercitare la propria più o meno vasta popolarità, grazie alla funzione di banche dati svolta dai social network. Il consumo di massa, oltre che consumatori, ci ha reso prodotti: siamo aspiranti venditori di noi stessi che esercitano l’arte della promozione pubblicitaria, promuovendo il nostro stile di vita, le nostre opinioni, le innumerevoli playlist che riassumono le nostre preferenze in ogni ambito, ma anche storicizzando la nostra presenza nel mondo e nella società attraverso l’archiviazione condivisa in rete di scatti fotografici e filmati che ritraggono ciò che riteniamo importante. Siamo i curatori della confusa mostra personale che tenta di riassumere il nostro esistere. L’annosa diatriba tra arte e mercato continua, oggi, tentando di vendere come arte la quotidianità di chiunque.

Nell’intervento di Roma (reperibile in formato audio sul sito web dell’Auditorium), Bauman sostiene proprio che siamo tutti consumatori e che entriamo nel network con un atteggiamento da venditori: dobbiamo vendere noi stessi come merce, dobbiamo posizionarci sul mercato trovando un settore, offrendo qualcosa che soddisfi una domanda. Analizzando lo scenario attuale e volgendo lo sguardo a un’ipotesi sul futuro, afferma che chi tiene a cuore la propria privacy è visto con sospetto, poiché stiamo entrando nell'era della cultura del confessionale dove ci si confessa, oggi, davanti ad un microfono. Le vecchie pratiche sociali vengono abbandonate: tutto è detto a tutti. Conclude sostenendo che tale abitudine non è gratificante e dobbiamo essere consapevoli di essere di  fronte a una scelta: una vita che sia vivibile e gratificante va costruita su terreno solido (e qui è chiaro il riferimento, in contrapposizione, alla vita liquida descritta in uno dei suoi saggi più noti). Il consiglio del sociologo è essere attenti sia alle opportunità che al prezzo dell'accettazione degli schemi. Devono convivere le due condizioni citate in apertura, sempre in contemporanea: la sicurezza (che la società non ci abbandoni dal punto di vista dell'identità) e la libertà. Ovunque si cerca il compromesso tra sicurezza e libertà, ma da nessuna parte si è ancora raggiunta una soluzione perfetta. Sembra esserci un equilibrio variabile, a momenti alterni. Come se il progresso non fosse lineare, ma somigliasse nei movimenti al moto del pendolo.

Una metafora con la quale Bauman conclude anche la conversazione di Vite che non possiamo permetterci dedicata al welfare state nell’epoca della globalizzazione economica, nella quale aleggia ancora l’ombra del Panopticon, al quale il sociologo paragona le agenzie che si occupano della povertà, che ritiene utilizzate dagli Stati come strutture di controllo, piuttosto che di sussidiarietà.

TITOLO: Vite che non possiamo permetterci; AUTORE: Zygmunt Bauman; EDITORE: Laterza (collana i Robinson/Letture); ANNO: 2011; PAGINE: 240; PREZZO: 16,00€

 


#01 FEFF 15

Il festival udinese premia il grandissimo Kim Dong-ho! Gelso d’Oro all’alfiere mondiale della cultura coreana e una programmazione di 60 titoli per puntare lo sguardo sul presente e sul futuro del nuovo cinema made in Asia...


Leggi tutto...


View Conference 2013

La più importante conferenza italiana dedicata all'animazione digitale ha aperto i bandi per partecipare a quattro diversi contest: View Award, View Social Contest, View Award Game e ItalianMix ...


Leggi tutto...


Milano - Zam Film Festival

Zam Film Festival: 22, 23 e 24 marzo, Milano, via Olgiati 12

Festival indipendente, di qualità e fortemente politico ...


Leggi tutto...


Ecologico International Film Festival

Festival del Cinema sul rapporto dell'uomo con l'ambiente e la società.

Nardò (LE), dal 18 al 24 agosto 2013


Leggi tutto...


Bellaria Film Festival 2013

La scadenza dei bandi è prorogata al 7 aprile 2013 ...


Leggi tutto...


Rivista telematica a diffusione gratuita registrata al Tribunale di Torino n.5094 del 31/12/1997.
I testi di Effettonotte online sono proprietà della rivista e non possono essere utilizzati interamente o in parte senza autorizzazione.
©1997-2009 Effettonotte online.