I gatti persiani PDF 
Eva Maria Ricciuti   

Nemo profeta in patria. Soprattutto se la patria è una “patria padrona” che vieta, processa e condanna qualsiasi movimento creativo che si discosti da quanto essa stessa dispone esser lecito e consono, e non si limita a porre veti ma incarcera, distrugge, oltraggia ed esilia. Bahman Ghobadi conosce bene questa patria che gli ha portato via, sia pure con lieto fine, la sua compagna di vita, Roxana Saperi (finita sotto i riflettori della cronaca per l’accusa di spionaggio a favore degli Stati Uniti), insieme alla possibilità di esprimere liberamente le sue idee e di esercitare la sua arte: il cinema. Perché in Iran per fare cinema, per fare musica, per fare arte, devi avere “il permesso”.

E Behman Ghodabi, che questo permesso non ce l’ha, ugualmente fa cinema e ne parla, con ironia, speranza e voglia di mostrare al mondo una nuova faccia dell'Iran. Coraggiosamente (perché lui sa che con ogni probabilità, dopo l’uscita della pellicola, diventerà persona non gradita) decide di raccontarci questa realtà girando in clandestinità, impiegando soli 18 giorni, spostandosi velocemente in moto da una location all’altra, avvalendosi di una trouppe ridotta al minimo  e di una videocamera digitale. Nasce così I gatti persiani, piccola opera assurta agli onori della cronaca dopo il successo ottenuto a Cannes, che piano piano ha visto crescere l’interesse del pubblico, rimbalzando di sala in sala grazie al tamtam di pochi spettatori, al passaparola di chi ha avuto l’occasione di scoprire e ammirare, forse per la prima volta, un’altra faccia della medaglia. Si svela così ai nostri occhi una Teheran inaspettata, moderna e sotterranea, terra di contrasti insanati, nella quale si percepisce il fervore di una nuova generazione in pieno fermento creativo che non vorrebbe ribellarsi, ma che suo malgrado deve per conquistare ciò che per noi è scontato e per affermarsi come entità concreta, con sogni, aspirazioni ed esigenze vive e, tutto sommato, semplici. Un mondo costretto a nascondersi, popolato di giovani nei quali esplode il desiderio di manifestarsi  attraverso il canto, la musica, l’arte. Raccontandoci, senza orpelli narrativi o sofisticazioni visive, la storia del quotidiano vivere di una giovane coppia di musicisti, Ghobadi guida i nostri pigri occhi occidentali alla scoperta della lotta quotidiana cui gli artisti, nello specifico i musicisti, sono costretti per ottenere ciò che a noi può sembrare ovvio, scontato e persino futile: un gruppo musicale. Perché laddove nella nostra quotidianità si è liberi di ascoltare ciò che si desidera, di leggere, di cantare, di viaggiare e spostarsi per il mondo, i nostri giovani protagonisti iraniani hanno appena finito di scontare una pena carceraria per aver assistito ad un concerto live di un gruppo inviso al regime e, sebbene loro stessi artisti di talento invitati all’estero per partecipare a festival di world music, devono attraversare mille peripezie per ottenere (illecitamente) i documenti per l’espatrio e per mettere insieme (in segreto) i componenti di una band, adattandosi a suonare nei luoghi più impensati, muovendosi nella clandestinità per fare quello che è più naturale nella condizione umana: esprimere le proprie idee.

A metà tra The Blues Brothers (si guardi alle rocambolesche avventure cui vanno incontro i protagonisti per reperire i membri del gruppo) e Buena Vista Social Club (per la forza aggregante della musica vissuta come espressione dell’anima contro le restrizioni di un regime totalitario), l’opera di Ghobadi non solo ha una grande valenza come testimonianza di una realtà conosciuta troppo spesso solo per il richiamo ai grandi temi, e della quale si dimentica la ripercussione che ha nel quotidiano vivere di migliaia di persone, ma rappresenta per noi una splendida occasione per conoscere, per imparare che l’Iran non è solo quello delle minacce nucleari e degli integralismi, ma una terra ricca di cose da dire, e a dispetto di quanto si è abituati a pensare, con una straordinaria vocazione verso il moderno e una coinvolgente aspirazione al futuro. Un menzione, doverosa, va alla splendida colonna sonora, che spazia dall’indirock al pop, dall’heavy metal al rap, regalandoci pezzi di rara bellezza nella loro semplice e spoglia armonia che, contro ogni logica occidentale, guarda alla musica nella sua forma più pura e originaria come una forma di libera espressione, piuttosto che come fonte di guadagno e mercificazione.   

I musicisti di Ghobadi non vogliono la luna, ma un viaggio all’estero e la possibilità di esprimersi, non vogliono cambiare il mondo o rinnegare le loro origini (cantano nella lingua natia), o tradizioni (indossano lo chador), ma vogliono trovare un posto nel mondo per esprimersi. E soprattutto vogliono che questo posto possa essere nel loro mondo: in Iran. 

TITOLO ORIGINALE: Nobody Knows About the Persian Cats; REGIA: Bahman Ghobadi; SCENEGGIATURA: Hossein M. Abkenar, Bahman Ghobadi, Roxana Saberi; FOTOGRAFIA: Turaj Mansuri; MONTAGGIO: Haydeh Safi-Yari; MUSICA: Mahdyar Aghajani, Ash Koosha; PRODUZIONE: Iran; ANNO: 2009; DURATA: 101 min.

 


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