Il presente mancato. In the mood for love e 2046 di Wong Kar-wai PDF 
di Aldo Spiniello   

Quando ripensa a quegli anni lontani, è come se li guardasse attraverso un vetro impolverato. Il passato è qualcosa che può vedere, ma non può toccare, e tutto ciò che vede è sfocato, indistinto.
(da In the mood for love)

Wong Kar-wai ci ha abituato a certe connessioni, a certi rimandi interni tra un film e l'altro. Già Hong Kong Express (1994) e Angeli perduti (1995) rappresentavano due frammenti di un discorso unitario, tanto più che il secondo film era stato inizialmente concepito come un episodio del primo. Con le sue ultime due opere, In the mood for love (2000) e 2046 (2004), il regista hong-konghese estremizza ancor più il suo discorso, portando a compimento un dittico inscindibile che mette in scena gli stessi personaggi e gli stessi ambienti. Nel primo film descrive il delicato rapporto tra Mr. Chow (Tony Leung Chiu-wai) e Su Li-zhen (Maggie Cheung), vicini di casa e "compagni di sventura", raccontando una struggente storia di "amore mancato", di rinunce, di paure e di rimpianti. Nel film successivo, troviamo lo stesso protagonista che ci racconta i suoi rapporti sentimentali, dopo che, come dice lui stesso, ha perso l'amore della sua vita. I rimandi al film precedente sono fittissimi, sin dal titolo (2046 è la stanza d'albergo in cui s'incontravano Chow e Li-zhen nel film precedente). Anche lo stile è sostanzialmente lo stesso: i colori caldi e carichi, i movimenti di macchina avvolgenti, i giochi di specchi, la geometria degli spazi chiusi, l'uso "suggestivo" della musica e quel modo di narrare fatto di ellissi e sottintesi. E poi ritroviamo lo stesso apparato iconografico e simbolico: le atmosfere, gli ambienti, gli oggetti, i vestiti da donna, la cravatta di Chow, le sigarette, i taxi, Singapore.

Wong Kar-wai, sembra in un certo senso codificare uno stile romantico e visionario, con l'intento di costruire un mondo alternativo, attingendo al proprio passato cinematografico. Non si tratta di sterile manierismo, come qualcuno ha fatto notare, ma del desiderio di portare a compimento un discorso che sentiva in qualche modo sospeso. E del resto le differenze non mancano tra i due film, soprattutto sul piano della struttura narrativa, anche se vengono a riflettersi in una profonda unità di temi. In the mood for love presenta uno svolgimento cronologico sostanzialmente lineare, pur trattandosi di una diacronia poco ortodossa. Wong Kar-wai lavora sull'iterazione e giustapposizione di gesti e situazioni che apparentemente non fanno avanzare la dinamica del racconto, ma contribuiscono a creare un'atmosfera di sospensione, di eterno ritorno o ancor meglio di impasse temporale. Sono degli accorgimenti minimi nella messa in scena a suggerire lo scorrere del tempo: i diversi abiti di Mrs. Chan, l'alternarsi di pioggia e sereno, le cravatte di Chow. 2046 è, invece, più apertamente giocato sui salti temporali, il presente della vicenda (che è pur sempre un passato rispetto al momento della narrazione), il futuro "romanzato", il passato "filmico" e, per questo, può risultare a volte macchinoso e cerebrale, lontano dalla grazia e dalla perfezione del suo precedente. Eppure resta un film necessario, una disperata resa dei conti col passato e un approfondimento dei due temi fondamentali della riflessione di Wong Kar-wai, o meglio delle sue ossessioni. Amore e Tempo.

Sin da Days of being wilds (1991), il regista hong-konghese non fa che parlarci della solitudine tra i sessi, della perdita, della provvisorietà dei sentimenti e dei rapporti, dell'ansia di contrapporre una labile memoria all'inevitabilità dell'oblio. "Tutto ha una data di scadenza" ci dice 223 in Hong Kong express. Una banalità forse, ma è sottintesa una riflessione molto truffautiana. Non è facile accettare il provvisorio in maniera indolore. C'è chi superficialmente si accontenta, ma c'è chi ne è incapace. In fondo è su questa dialettica tra passato/presente, memoria/oblio che prende corpo l'intero universo poetico di Wong Kar-wai, sia a livello diegetico che a livello formale (il lavoro sui tempi, i ralenti, gli step-framing e i fermo-immagine). Ogni film aggiunge un tassello al suo discorso e In the mood for love e 2046 arrivano a costituirne l'ultima e forse più toccante declinazione. Che cos'è tutta la storia tra Mr. Chow e Su Li-zhen se non una storia costantemente incompiuta? Il regista osserva con un pudore estremo lo svilupparsi della loro relazione, descrive il loro progressivo innamoramento, ma frustra le attese dello spettatore, nega alla vista qualsiasi concretizzazione del rapporto. I misteriosi incontri nella stanza 2046 sembrano suggerire qualcosa in più, ma non è dato sapere altro. Ciò che si sa è che l'intera vicenda è un susseguirsi di reticenze, silenzi, paure, desideri inespressi e repressi, appuntamenti mancati, ricerche vane, un gioco sottile di corpi e mani che si sfiorano e si negano. È il dramma, universale, di un uomo e una donna che non sanno e non possono vivere appieno la loro passione, non possono godere dell'attimo presente. E alla fine ognuno va per la sua strada, ancorato ad un passato dal quale non può sfuggire (non a caso Mrs. Chan sceglie di restare col marito infedele) e atterrito da un futuro incerto.

Ecco, l'ossessione del passato è il vero nodo. In the mood for love è ambientato negli anni Sessanta, la vicenda dei due protagonisti è collocata in un tempo che è già Storia (i cinegiornali del finale, la visita del generale De Gaulle, i disordini di Hong Kong e in Cambogia). E poi i vestiti, gli arredamenti, le acconciature, la musica, tutto contribuisce a ricostruire in modo maniacale un'atmosfera retrò, quasi un Tempo mitico. Il passato è al tempo stesso ostacolo e desiderio: un vincolo che si oppone a nuove scelte, ma anche una sorta di luogo edenico, un paradiso perduto o mancato. È come se il presente venisse a scomparire, a configurarsi come un non-tempo, oppresso dal prima, disperso nel dopo. La stessa reticenza della narrazione, il non mostrare i volti dei coniugi infedeli, il lavoro sul non-detto/non-mostrato sono tutti segni della non rappresentabilità del presente, della fugacità delle cose. E lo splendido finale tra i templi di Angkor Wat, con la struggente musica di Michael Galasso, rende esattamente questa perdita irreparabile, il senso di una felicità ormai lontana e impossibile. Non resta che affidare il proprio segreto alle antiche mura e seppellirlo per sempre in quel cimitero del tempo.

 

Ancor più di In the mood for love, 2046 è un film ossessionato dal passato e dai ricordi. Lo dimostra il suo stesso rivolgersi costantemente al film precedente, il suo "aggrapparsi" a nomi, luoghi e situazioni, quasi a voler trovare una sua propria giustificazione. 2046 appare come una postilla, una grande appendice che non avrebbe senso senza l'opera cui fa riferimento. E ancor più sul piano narrativo è ribadito il vincolo con un passato incancellabile. Mrs. Chan scompare, rimane Chow, che, tornato ad Hong Kong dopo aver fatto il corrispondente a Singapore, ci racconta il suo rapporto con le donne, viene a presentarci il suo diario di seduttore. Egli diviene l'ultima incarnazione del Don Giovanni, di l'homme qui amait les femmes, il Bertrand Morane di Truffaut. Il grande amore è ormai lontano, le sue relazioni sono ormai diventate effimere, provvisorie. Il sesso non viene più taciuto, ma mostrato. Si avverte l'intenzione di Wong Kar-wai di contrapporre all' "aereo" In the mood for love una fisicità insistita. E il personaggio interpretato da Zhang Ziyi diviene l'emblema della carnalità della donna, il suo lato istintivamente sensuale. Ma con il procedere della narrazione, si scoprono tutta l'amarezza e la superficialità di questa nuova dimensione di Chow, il suo essere vittima del tempo. Quando incontra la figlia del pensionante, interpretata da Faye Wong, per un po' si illude di poter vivere un nuovo amore e il romanticismo sembra riprendere il sopravvento. Ma significativamente l'opportunità gli viene negata: la ragazza, simbolo della purezza e della passione non ancora contaminate, ama un altro. E altrettanto impossibile si rivela la storia con la vedova nera, la misteriosa Gong Li, che, avendo lo stesso nome della donna amata, Sun Li-zhen, incarna perfettamente l'ossessione del passato. In definitiva, su ogni donna che Chow viene ad incontrare aleggia lo spettro della signora Chan, spettro che arriva a prender forma in una delle più belle scene del film. Chow ormai è incapace di liberarsi dal passato e il suo costante volgersi all'indietro non gli permette di cogliere il presente, che viene a configurarsi propriamente come un Tempo mancante/mancato. La rigida scansione temporale del racconto (natale 1968, 1969, un'ora dopo, mille ore dopo) e i continui salti cronologici vengono a costituire quasi la ragnatela nella quale rimane intrappolata la vita del protagonista, che può legarsi solo a brandelli di memoria che lo condannano sempre più alla solitudine. Egli non vive più qui né ora, ma in un altrove mitico, cui cerca di dare un'illusoria realtà nei suoi romanzi.

Torna alla mente il Noodles di Once upon a time in America 1984), che cerca nell'oppio un riscatto a tutto ciò che ha perso irrimediabilmente. Ma si tratta pur sempre di un sogno. Se sul piano della finzione letteraria è possibile immaginare una fuga da 2046 (il mondo dei ricordi), alla fine occorre ammettere la propria sconfitta esistenziale. Possiamo chiudere i conti col passato, ma il passato non chiude i conti con noi. Ognuno rimane inevitabilmente legato al suo, vive un Tempo proprio che scorre in maniera diversa da quello altrui. Siamo tutti come l'androide dalle emozioni differite. Sempre un attimo prima o un attimo dopo. Ciò che ci si offre non sappiamo coglierlo, ciò che vorremmo cogliere ci sfugge. Non resta che affidarci al caso, sperare che il volo non venga cancellato e che quella splendida hostess salga sul nostro stesso aereo.

 


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