Nel 1994 Steven Spielberg, in seguito all’uscita del suo pluripremiato Schindler’s List, decide di fondare la Survivors of the Shoah Visual History Foundation, fondazione no-profit che si prefigge lo scopo di raccogliere il maggior numero possibile di testimonianze video di sopravvissuti dell’Olocausto. La cifra di video-interviste ottenute si attesta intorno alle 52000 unità, in ben 32 lingue e provenienti da 56 paesi diversi. Nel 2006 la fondazione viene acquisita dalla University of Southern California cambiando il proprio nome in USC (Shoah Foundation Institute for Visual History and Education) ed è, forse banalmente, su questo punto che si dovrebbe focalizzare l’attenzione: l’utilizzo dell’archivio della fondazione come strumento educativo, con finalità didattiche dunque, si pone in netto contrasto con una tendenza bonificatrice delle ombre di un passato tutto sommato recente; “come se l’intero passato delle Germania fosse stato cancellato, con un gigantesco colpo di spugna”, afferma Primo Levi in una vecchia intervista rilasciata alla RAI. Il valore documentale di un archivio di queste proporzioni è dunque fuori discussione e l’impresa di Spielberg palesa l’assoluta necessità di un supporto tecnologico che consenta di fissare definitivamente una cronaca troppo preziosa perché vada perduta, e che deve anzi godere di uno status di estrema visibilità affinché abbia modo di estrinsecare al meglio la propria drammatica potenza.
La realizzazione di una pellicola di successo, dagli standard tipicamente classici e narrativamente avvincente come Schindler’s List, deflagra invece nella propria ambiguità, innescando reazioni disparate e una diatriba etica e morale. La principale procedura di attuazione del male operata ad Auschwitz, ovvero la progressiva spersonalizzazione dell’individuo, negherebbe la possibilità stessa di un’esistenza di una qualsivoglia volontà di autonomia artistica che si discosti dal meccanismo di controllo amministrativo del lager e per estensione, adornianamente, dall’industria culturale. Cambiando punto di vista si può ragionare sul fatto che nel XX secolo l’audiovisione ha eliminato, con la propria incessante parata di immagini, l’atto contemplativo dalla fruizione artistica ribaltando la sacralità estetica in uno sguardo politico, non più cultuale (nell’accezione benjaminiana del termine), capace cioé di un’influenza reale sulla vita quotidiana. E proprio la propaganda nazi-fascista sfruttò tale capacità dei nuovi mezzi di comunicazione artistica per spostare l’aura cultuale sull’esercizio del predominio sulla massa (e in manierà più celata l’american way of life ha fatto il giro del pianeta influenzandolo in qualche modo dagli schermi dorati di Hollywood).
Solo una concezione brecthiana dello spettacolo pare potersi discostare da tale pratica egemonica, attraverso un procedimento di politicizzazione dell’arte e una fruizione critica e mai passiva. Perciò tanto più controversa appare l’operazione Schindler’s List, criticata da più parti, come già accennato, per la propria tendenza catartica, omologante. Bisogna considerare che il cinema per Steven Spielberg è sempre stato, del resto, strumento dell’immaginazione, finalizzato al piacere della visione, e la linea dell’affabulazione è sempre marcata in maniera netta nonostante la maturazione tematica riscontrabile già a partire da Il colore viola e L’impero del sole. Tuttavia, è innegabile un tentativo di recupero della memoria storica, delle proprie radici, che passa prima attraverso una perdita dell’innocenza, della meraviglia dell’eterno bambino, e poi dal rifiuto del mondo fantastico. La realtà dell’Olocausto va infatti ben oltre l’immaginazione e nonostante la patina hollywoodiana, la lente cronachistica spielberghiana riesce in qualche modo a rendere visivamente la disumanizzazione perpetrata dal nazismo. La scelta di una rievocazione narrativamente trasversale, ovvero le vicende degli operai di Oskar Schindler, distoglie per una volta l’attenzione dai campi di sterminio, ma solo per fornire un contesto al ricordo, appiglio necessario affinché la consapevolezza di tale ricordo possa diventare Memoria. Consapevolezza, Ogni volta di più, Ti farà vedere, Cos'è arbeit macht frei.
TITOLO ORIGINALE: Schindler's List; REGIA: Steven Spielberg; SCENEGGIATURA: Steven Zaillian; FOTOGRAFIA: Janusz Kaminski; MONTAGGIO: Michael Kahn; MUSICA: John Williams; PRODUZIONE: USA; ANNO: 1993; DURATA: 195 min.
|