Fra Twin Peaks e Twin Towers: Mulholland Drive di David Lynch PDF 
di Marco Gatti   

Alcuni mesi fa Enrico Ghezzi proponeva Lost Highway in una notte di FuoriOrario intitolata "Torri perdute", individuando un suggestivo percorso di senso tra le immagini delle Twin Towers al crollo e la strada diritta che taglia il buio mentale in cui il film di Lynch è calato: il disastro d'inizio secolo che tutti noi abbiamo consumato attraverso schermi televisivi si manifesta come l'apocalisse dell'iper-razionalità rappresentata dalle potenti geometrie architettoniche dello skyline newyorkese bombardate dal cielo azzurro di una mattina assolata.

Ghezzi, che a differenza di molta critica nostrana è sempre rimasto sintonizzato con l'avanguardia stilistico-narrativa espressa dal cinema di Lynch, osservava come il collasso delle Twin Towers in quella mattina luminosa dell'11 settembre è la manifestazione estrema delle moderne paure di massa, di quel terrore occidentale sulla perdita del controllo, sulla sconnessione dalle reti che uniformemente ci comprendono, sulla provenienza misteriosa dei pericoli; la visione di un'autostrada perduta, un tratto diritto di asfalto su cui procedere senza esitazioni verso l'ombra, diventa l'acuta profezia di un autore statunitense al 100%, capace di percorrere a tutta velocità i confini tra le contraddizioni di una cultura buia e luminosa allo stesso tempo, distribuita tra ventre, cuore e cervello dell'essere occidentale.

Sembra dunque un caso interessante che nel momento in cui New York esibisce presuntuose consapevolezze sulla sua natura di capitale del West, la voce di un cineasta indipendente come Lynch racconti una storia che vede protagonista Los Angeles, situata più a ovest di New York, sull'altra costa degli States, dove la capacità statunitense nella costruzione economica si dedica al commercio di sogni. Mulholland Drive fa di Los Angeles la rappresentazione cinematografica dell'inconscio occidentale come le immagini degli incredibili fatti di distruzione reale hanno reso New York la rappresentazione televisiva della coscienza occidentale. La cultura statunitense è la cultura del presente occidentale in quanto cultura dell'immaginario, giacimento di sogni che cercano di realizzarsi: il cinema classico ha condensato una dimensione d'immagini che col tempo sembrano liberarsi da una posizione subalterna rispetto alla realtà, e in questo riconosciamo il potenziale esoterico del cinema come linguaggio visivo che rivela forze nascoste del nostro mondo reale; David Lynch ha maturato una poetica che si alimenta delle capacità trascendenti dell'immaginario cinematografico classico rielaborandone in forme sperimentali la carica emotiva che è in grado di innescare nello spettatore.

In Mulholland Drive il tema della visione, spesso centrale nelle opere di Lynch, si fa più esplicito in quanto la storia si compone di risvolti metacinematografici. Sono raccontati però non solo episodi che si svolgono sui set e negli studi hollywoodiani, ma gli effetti di un immaginario cinematografico che si fonde con la realtà di un luogo americano. La cultura statunitense viene psicanalizzata per mezzo dei suoi miti, creando una sovrapposizione traumatica tra l'immaginario e la realtà, e spingendo all'estremo una marca stilistica unica della filmografia dell'autore. Esempio emblematico l'incredibile scena nell'anonimo diner di periferia, dove un nevrotico dà appuntamento a quello che sembra essere il suo psicanalista: con pochi primi piani, battute di dialogo sospese e movimenti di macchina su un muro scrostato, Lynch condensa l'angoscia delle allucinazioni che diventano reali al punto di uccidere, al punto che il misterioso barbone dal volto lercio, rifugiato in un vicolo di immondizie, diverrà alla fine del film una sorta di figura forse dominante su tutte le altre della vicenda, una divinità calata tra gli uomini e padrona dei misteri che li controllano. Questo demone è l'abitante del fondo oscuro di una Los Angeles rappresentata come il luogo dei sogni, delle illusioni, dei film e dell'inappagamento costante, facciata lunare di un'America terribilmente bella e pericolosa, capace di ingannare con violenza e crudeltà le ragazze bionde che arrivano dalla provincia in cerca del loro volto riflesso sul grande schermo.

La dialettica bellezza/orrore taglia il film su vari piani in forme diverse, tanto per cominciare nei passaggi improvvisi ma morbidi (come le curve che si susseguono lungo la strada collinare che dà il nome al film), da un tono narrativo ad un altro: la tensione del thriller (Betty si aggira estasiata per la casa della zia, ma ogni spettatore sa che li dentro è nascosta una donna fuoriuscita da un episodio violento), la risata della commedia rosa (Adam che trova la moglie a letto con l'uomo delle pulizie), gli squarci dell'horror (un cadavere putrefatto su un letto in una stanza buia), l'eccitazione dell'erotismo (Betty e Rita che si accarezzano il seno), l'effetto pulp dell'omicidio grottesco (il killer che compie una strage a causa di una serie di errori casuali). Poi nell'impianto radicale di tutto il film, centrato sulla figura di Betty/Diane, che nei primi due terzi della vicenda è protagonista di un bellissimo sogno che sembra divenire realtà (l'arrivo a Los Angeles, la luce e la cordialità delle persone che la circondano, il provino condotto con maestria, l'intenso sguardo scambiato con Adam, il regista di talento che sembra innamorarsi a vista di lei), mentre nella parte conclusiva si trova vittima di una società spietata e indifferente che non dà seconde chance, sadicamente torturata dalla persona che ama e poi trascinata nella follia dal suo stesso desiderio frustrato che la conduce all'omicidio e al suicidio.

Su questo punto è interessante esaminare la complessa sequenza dei titoli di testa, che possono costituire una chiave di lettura per un film che comunque è da considerare sempre come un meccanismo immaginativo ciclicamente aperto nella sua struttura seppure, a un'attenta lettura (consigliabili almeno tre visioni), mai confuso o caotico; si intende che l'oggetto misterioso si apre con più facilità a chi da tempo ha stabilito una sintonia con l'universo immaginativo di Lynch, ma questo sembra ormai cosa scontata per quelle autentiche poetiche d'autore ancora vive ai giorni nostri.
Il film si apre con una curiosa soluzione grafica di sovrapposizioni e figure scontornate su un fondo viola, varie coppie replicate in più dimensioni di giovani anni '50, sagome bidimensionali che ballano un jitterbug, un rock 'n roll guizzante che riempie lo schermo di movimento e freschezza: è il sogno delle immagini fascinose che faranno danzare Betty tra le finzioni del suo viaggio a Los Angeles in cerca del successo di attrice, per trovare Rita, bellissima creatura femminile indifesa e senza memoria della quale lei s'innamorerà. Poi sui ballerini calano immagini sovraesposte, quasi dei fantasmi, e più tardi scopriremo che queste sagome sono quelle di Betty/Diane con i suoi vecchi e diabolici genitori; i fantasmi rimangono mentre la musica e le immagini di fondo cambiano diventando suoni angoscianti e lenzuola di un letto sfatto dove la soggettiva di qualcuno che si muove esitando sul materasso ci porta a sprofondare in un cuscino: è la realtà di Diane abbandonata da Camilla, privata della zia attrice che poteva aiutarla, legata sentimentalmente a una lesbica sgraziata che torna nel suo appartamento sporco a recuperare un posacenere, schiacciata dalla depressione che presto la condurrà al delirio.

 Poi ecco che inizia Mulholland Drive, la strada sinuosa sulle colline di Hollywood percorsa lentamente da una limousine nera, il trascinante susseguirsi di eventi del film. La sconcertante dialettica di bellezza e orrore che regge tutta la vicenda di Betty/Diane si concentra già nei titoli, nel contrasto tra un balletto vivace di tante persone su un fondo rosa shocking e un cuscino stropicciato dove sprofondare il viso in completa solitudine. Mulholland Drive riesce nel rappresentare le sostanze nascoste sotto l'indole occidentale in forma di immagini e suoni che soltanto i sogni ci danno la garanzia di provare, cercati - da noi mangiatori di immagini - prima con la psicanalisi e ancora più a fondo con l'esoterismo, strumenti che li analizzano come rappresentazioni spontanee dell'essere razionale. Non è infatti molto razionale cercare di comprendere la forma dei sogni? Quando diventano immagini e ricordi sono già qualcosa di parecchio simile a un film di David Lynch, che - proprio come lo spettacolo offerto da un sogno - non va di certo apprezzato nei significati che il senso comune chiama razionali, e cioè nello sviluppo del tempo della narrazione, ma nelle sensazioni psico-fisiche che lascia appena apri gli occhi e ti accorgi di aver sognato.

E quel sogno rimarrà sempre depositato in questo genere di tracce, legato cioè alle sensazioni, così come avviene per i ricordi più vividi che riportano ad esperienze realmente accadute. Le sensazioni rendono i sogni intensi come esperienze che hanno qualcosa di reale, e così Lynch indaga la natura delle immagini in sequenza associate ai suoni, raccontando di forme visive tutte simili, i sogni, e poi gli incubi, le illusioni, i fantasmi, i ricordi, i film, il mondo dei film che si è creato nella mente degli spettatori, il loro immaginario. Lo fa esprimendosi con sistemi razionali quali l'utilizzo di una scrittura codificata in modo del tutto classico; è ormai risaputo che gli autori padroni di un linguaggio conoscono i canoni espressivi classici e le loro infinite possibilità combinatorie, ma nel caso di Lynch vale la pena ricordare che la sua capacità di innovazione non ha finora mai deluso i suoi spettatori, nel senso che ne ha sempre tenuta viva l'attenzione spiazzandoli di volta in volta, con una spontaneità disorientante che spinge a soffermarsi con più attenzione sull'opera. Essendo infatti Lynch un autore che costruisce il film sui limiti delle sue regole classiche di scrittura, la narrazione più bizzarra risulta sempre disseminata di sfuggenti indizi che suggeriscono possibili significati, sempre ambigui, ma comunque pervasi da un senso di plausibilità interpretativa. Le cose paurose fanno paura per mezzo della forma degli oggetti, della luce che li colora, del suono che li materializza, e le emozioni sprizzano da ogni punto del film, risata, paura, eccitazione sessuale.

Lynch può anche essere un manierista, e la cosa va bene, perché il suo pubblico sarà sempre quello degli spettatori che nelle immagini di un film trovano la magia, quella che diffonde energia necessaria a vivere la vita come uno spettacolo faticoso ma ricco di scoperte possibili che riguardano l'amore, la creazione e la bellezza, e ovviamente le paure, le violenze che la nostra mente e il nostro corpo sono in grado di fare verso se stessi. In genere Lynch è amato da chi ama davvero tanto andare al cinema.

Per questo il dolente quanto vitale romanticismo di Mulholland Drive comprende il senso di frustrante bellezza lasciato dalle illusioni della nostra cultura occidentale, capace di amare in modi puri l'artificio di cui sempre più siamo consapevoli. Ed è proprio questa consapevolezza che ci fa soffrire paure profonde, slanci creativi guizzanti e ansie opprimenti che i desideri di bellezza stimolano. E' tutto una registrazione, tutto un illusione, eppure Betty e Rita vengono scosse da lacrime e convulsioni elettriche quando assistono allo spettacolo del club Silencio, dove Lynch mostra, come in altri episodi del film - quali il provino di Betty, le audizioni del film di Adam e il racconto del sogno nel diner - la potenza dell'artificio consapevole, e cioè della carica emotiva portata dall'immaginare. Sono racconti dentro racconti, soluzioni narrative classicamente shakespeariane, che ci toccano però come sperimentazioni emotive, esprimendo l'artificiale intensità dei discorsi organizzati su sinestesie. Il canto di Rebecca del Rio cesella un particolare di luminosa bellezza nel punto del film dove scatterà la soluzione registica inventata da Lynch con Lost Highway, e cioè lo sfasamento temporale dell'ordine narrativo, in cui i personaggi rivelano la loro natura di fantasmi, da non considerare dunque come persone materialmente stabili nella loro apparenza ma segretamente travolte da mutazioni continue, impegnate nel nascondere verso l'esterno i fantasmi che li possiedono. Chi non comprende le identità doppie dei personaggi lynchiani si sforza inutilmente di trovare causalità lineari e non spaziali nell'ordine dei discorsi. Betty/Diane, come Rita/Camilla, o Fred/Pete di Lost Highway sono personaggi spaziali, si muovono tra le dimensioni parallele contenute in individui diversi che condividono valori profondi, passioni, energie travolgenti; possono essere la stessa persona con piccole differenze quali il nome e il colore della stanza in cui vivono, legate a variabili delle esperienze reali. I personaggi di Lynch sono esternazioni dei fantasmi che segretamente dimorano in tutti noi.

 E' questa la radice della frustrazione violenta che Lynch rappresenta come orrore subito da Diane in Mulholland Drive, dopo le lacrime piante davanti al playback di Rebecca che sul palcoscenico del Silencio simula la morte, mentre il suo incanto vocale prosegue, col racconto di due possibili vie immaginative che indagano la bellezza unita all'orrore nella ricerca della felicità. Diane piangerà ancora davanti all'insieme di sguardi crudeli che la circondano al party, mentre anche i personaggi che sembrano più direttamente affacciarsi da un aldilà, spettri bislacchi creati da cine-mitologie di generi hollywoodiani quali il Cowboy o i Mafiosi, determinano lo spettacolo della sua rovina e sembrano goderne. Poi Diane sarà così infelice e allucinata da comprare l'omicidio di quel fantasma che è Camilla, il doppio aggraziato e sensuale della lesbica reale, della sua mascolina vicina di casa con cui ha avuto una relazione. E poi sarà così allucinata dalla solitudine e dal senso di colpa fino a essere assalita da spettri orripilanti e persecutori che hanno il volto dei suoi beffardi genitori, deformati in gnomi da una crudeltà ebete che la spingerà al suicidio.

La famiglia ritorna come in altri film di Lynch a rappresentare un nucleo di paure sbilenche, di deformazioni malsane: non sono casuali le battute che Betty recita durante il provino con il vecchio attore sbruffone e maschilista, per una scena che parla di una ragazza che seduce un amico del padre; potrebbe essere il provino per interpretare la parte di Laura Palmer, che a Twin Peaks non si è limitata al sesso spinto con gli adulti più rispettabili, ma si è data al padre stesso. E come a Twin Peaks le variabili frustranti che spingono le esperienze verso bellissime visioni o verso incubi neri di droga e morte sono decise da spazi extra-dimensionali occupati da nani possenti che decidono in segreto, da logge che scelgono senza possibilità di obbiettare chi saranno i protagonisti del film. In un certo film la protagonista femminile non poteva essere Betty, l'energico Adam non aveva in nessun modo l'autorizzazione a sceglierla, perché la ragazza doveva essere per forza un'altra. Loro sanno dove Adam si nasconde, gli annullano come niente il conto in banca, e guarda caso in quello stesso momento la moglie lo tradisce e lo sbatte fuori casa, mentre la maschera di un Cowboy emerso dalla notte hollywoodiana arriva a minacciarlo di morte se si rifiuterà non solo di scegliere la ragazza, ma anche di sostenerla portando a termine il film iniziato, rispettando il suo obbligo verso una società di dominatori occulti.

I fatti violenti che stravolgendo l'opinione pubblica occidentale ci sembrano spesso così incredibili da indurci a sospettare di ogni fatto, di ogni notizia, di ogni casualità più o meno apparente, al punto che a volte con ironia, a volte con meraviglia e altre volte con paura ci chiediamo se non ci siano davvero poche figure senza cuore, super-partes e ultraterrene, che agiscono su di noi per mettere in scena vive e inspiegabili rappresentazioni di dolore. Qualcuno ha deciso il destino di Diane, un destino di autodistruzione a cui lei reagisce inutilmente immaginando una possibile alternativa, una vita parallela in cui lei è Betty e in cui l'amore sembra venirle incontro con spontaneità. Ma è solo un'illusione, è solo immaginazione, e in questo Lynch sembra esprimerci ancora il senso di un'intensa bellezza funerea che aleggia intorno al cinema, lo strumento linguistico che ci proietta verso le luci ma ci lega alla frustrazione per quello che non è, e non sarà mai, realmente così. Mulholland Drive mostra come il nostro presente dominato da immagini, figure invisibili e disorientamento generale possa essere compreso grazie alle indagini di cui il cinema e solo il cinema è ancora capace di fare.

 


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