Adoro il cinema di Shane Meadows, cineasta quasi per caso. L’ho scoperto grazie al Torino Film Festival nel ‘96, quando ancora era Cinema Giovani (e quando anche Meadows era giovane, appena ventiquattrenne); aspetto pazientemente che qualche festival me lo riproponga, visto che il suo cinema in Italia non è distribuito (Ventiquattrosette ha avuto una discreta diffusione sui canali satellitari, C’era una volta in Inghilterra ha fatto una fugace apparizione nelle sale alla fine di agosto del 2004). Dopo Somers Town, presentato dal TFF l’anno scorso, quest’anno è stata la volta di Le Donk & Scor-Zay-Zee, eccentrico fin dal titolo.
Due personaggi stravaganti, non completamente in asse. Uno, Le Donk, che non vuole in nessun modo sentirsi chiamare Nicholas, un Roadie sfigato e suonato, convinto che il solo fatto di avere accesso a palchi di gruppi più o meno prestigiosi sia un elemento distintivo su cui costruire la propria fiera insolenza. L’altro, Scor-Zay-Zee, taciturno e corpulento, talento dell’hip hop che Le Donk intende far sfondare. Il terzo personaggio è la macchina da presa digitale di Shane Meadows, che li riprende, li insegue, li sollecita, li stimola. Apparentemente un documentario sul sottobosco della celebrità, in realtà un mockumentary che utilizza uno degli attori feticcio di Meadows, quel Paddy Considine oscuro vendicatore schizofrenico che in Dead man’s Shoes era tornato dal servizio militare per sterminare senza pietà la banda di spacciatori responsabile del suicidio del fratello. Paddy Considine abbandona la recitazione tesa e sopra le righe della precedente pellicola e dà vita ad una figura spassosa, perennemente interlocutoria, alla costante ricerca di un’identità davanti alla macchina da presa con cui dialoga sistematicamente, come se la sua personalità scaturisse direttamente dall’interazione con Meadows e si cibasse delle sue incessanti e pungenti esortazioni nella relazione con gli altri. Il grottesco di Le Donk nasce dal conflitto tra ciò che egli è realmente e ciò che invece pensa di essere: questo aspetto è fin troppo evidente nel nucleo centrale della vicenda, la visita a casa della ex compagna che aspetta un figlio suo, ma che, stanca della sua inconsistenza, lo ha lasciato per un’altra persona, più equilibrata e maggiormente responsabile. Il comico delle situazioni nasce dall’incapacità di rendersi conto dell’estrema normalità delle dinamiche di relazione, dall’impossibilità di una collocazione che non sia mediata dalla caratterizzazione di personaggio fatto di irregolarità e rock ‘n’ roll che Le Donk si è cucito impropriamente addosso. All’interno di un contesto placidamente normativo, Le Donk agisce sempre lungo coordinate perturbanti capaci di alterare l’inerzia dei dialoghi e l’incredula reazione dei presenti. L’agile camera di Meadows passa da un volto all’altro, rimpallando gli effetti che scaturiscono dalla variabile Le Donk e, di riflesso, dal suo protetto Scor-Zay-Zee, che il Roadie conduce sempre gelosamente con sé per lanciarlo nel firmamento dello Show Business. Il ritmo, agevolato dalle riprese in digitale e dalla troupe leggera, è sostenuto e le situazioni divertenti si susseguono, fino al gran finale in cui i due personaggi riusciranno ad eseguire la loro canzone in apertura del concerto degli Arctic Monkeys (che Le Donk si ostina a chiamare Arctical, nonostante lavori per loro), coinvolti da Meadows nella falsa ripresa documentaristica.
Cinque giorni di riprese, finanziato in completa autonomia: uno dei momenti più interessanti del festival nonostante le poche pretese. Un vero peccato che non ci sia la futura possibilità di vederlo circolare.
TITOLO ORIGINALE: Le Donk & Scor-Zay-Zee; REGIA: Shane Meadows; SCENEGGIATURA: Shane Meadows; MONTAGGIO: Richard Graham; PRODUZIONE: Gran Bretagna; ANNO: 2009; DURATA: 71 min.
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