Sole. Un colpo di manovella PDF 
Gabriele Angelo Perrone   

All’inizio degli anni venti, nel panorama cinematografico italiano, i fasti del cinema muto sono un ricordo che appare ormai assai lontano, e se i grandi kolossal non sono più una prerogativa tutta nostra, non rimane che una realtà in forte crisi che cammina di pari passo con quella che sta percorrendo tutto lo stivale, e che vedrà nel fascismo, quel movimento capace di pacificare la realtà e riportare l’ordine. In tal senso è necessario ricordare il valore dell’unico vero film di propaganda realizzato da Alessandro Blasetti, Vecchia guardia (1936), proiettato anche all’indomani della liberazione, presumibilmente per due ragioni: sia per attestare in un nuovo clima la validità tecnica e artistica del proprio film, sia per operare su se stessi una sorta di autoanalisi. 

“Io ho sbagliato a credere nell’idea a cui conduce Vecchia guardia, cioè quella della dittatura; uno sbaglio enorme, imperdonabile; però se si vedesse oggi Vecchia guardia tutti direbbero: signori miei, se ci guardiamo intorno attentamente si capisce perché sia nato il fascismo. Perché il fascismo è nato da una democrazia in decomposizione, demagoga, parolaia, e spesso anche sudicia, indegna di quella vera democrazia che è la voce del popolo” (1). La prima grande crisi che caratterizza il cinema italiano, è senza dubbio amplificata dall’assenza di un movimento interno che senta il bisogno di rinnovare i quadri organizzativi, di una realtà che vede sparire in pochi anni il grande successo ottenuto alle origini; se da un lato, quindi, si assiste inermi al sempre più crescente strapotere del cinema statunitense, dall’altro lato una risposta, lo Stato, tenta di darla con la fondazione dell’Unione Cinematografica Italiana (U.C.I., 1919), finanziata dalla Banca Italiana di Sconto e dalla Banca Commerciale Italiana, e che raggruppa tutte le principali aziende di settore. Questo tentativo risulta essere infruttuoso e poco duraturo, infatti, con la bancarotta della Banca Italiana di Sconto (1921), il crack dell’U.C.I. segue qualche anno dopo, nel 1923. 

Se i produttori italiani continueranno ad attuare politiche controproducenti, manifestando scarse idee per le quali ben presto verranno chiamati in modo dispregiativo “industriali delle scarpe”, nel settore della stampa, inizia a sentirsi qualche voce critica e propositiva; nell’anno del crack dell’U.C.I. esordisce quello che sarà in futuro tra i più importanti registi durante il regime fascista, Alessandro Blasetti. In questi anni si impone come figura tra le principali, dimostrando di possedere ottime capacità osservative e critiche, non dimentichiamo come Blasetti critico (è proprio lui a definire i produttori “industriali delle scarpe”) non scinda mai gli aspetti estetici, realizzati, da quelli produttivi. Osserva, critica e propone, fonda diverse riviste, tra le quali la più nota è la Rivista del Cinematografo nata nel 1928 e ad oggi ancora in attività. Siamo arrivati alla fine degli anni venti, periodo nel quale il cinema diventa argomento sempre più importante all’interno del dibattito sui rapporti tra arte e fascismo (2), periodo nel quale nasce Blasetti regista, che pur senza nessun tipo di esperienza decide di realizzare il suo primo film: “il primo colpo di manovella di Sole, il 20 dicembre del 1928, non è dunque soltanto un gesto di estetica bensì anche di politica cinematografica” (3). 

Sole come gesto politico significa realizzare un film che rappresenti un punto di rottura con il passato, e che esprima la necessità di avviare un nuovo discorso all’interno di una realtà che deve essere ri-fondata. Ciò esprime la necessità di questo gruppo di giovani critici (e non solo) dove oltre a Blasetti ritroviamo come aiuto regia Goffredo Alessandrini e l’antifascista Aldo Vergano, il quale propose il soggetto. Aggiunto questo, è facile capire come si stia parlando di un gesto politico che va oltre ad una intenzione innovativa, è un gesto che definisce una certa libertà di cui gode il cinema sotto il regime, e allo stesso tempo la particolare intelligenza e sensibilità di Blasetti, fascista convinto almeno fino alla guerra in Etiopia, che lavora e si avvale di “personalità scomode”. Sole si completa come gesto politico nel modo produttivo che lo caratterizza; per realizzare il film Blasetti costituisce una cooperativa chiamata Augustus (dal nome di Augusto Turati, segretario PNF), raccogliendo il denaro utile tra imprenditori, aristocratici e una colletta tra i lettori de la Rivista del Cinematografo. Il soggetto, la storia raccontata, è quella delle bonifiche delle paludi dell’Agro pontino (4), dove l’intreccio narrativo propone uno scontro tra anziani agricoltori, vecchi abitanti della palude, ed i bonificatori; una sorta di lotta tra chi vuole mantenere l’Italia ad uno stato di caos e chi, invece, arriva con la modernizzazione, l’ordine, il progresso. Il primo volto che il cinema trasmette del fascismo è l’ideologia ruralista, che assieme a quella della modernità, caratterizza le due tendenze principali all’interno del regime, e che si manifesteranno in modo contraddittorio nel Blasetti regista sotto il regime fascista.

Del film oggi rimangono 260 metri con i titoli di testa ed alcune inquadrature iniziali (poco più di dieci minuti), che pongono quest’opera prima come un qualcosa di diametralmente opposto a quanto si era visto fin quel momento in Italia, esprimendo quello che è il significato del gesto estetico. Blasetti critico inizia a sviluppare diverse proposte per un nuovo possibile cinema italiano, tra queste insiste su una possibilità di scoprire un certo realismo, o meglio, trattare nei film di problemi sociali. Blasetti ha la chiara intenzione di rappresentare “la realtà del presente aderendo in modo organico agli obiettivi propagandistici governativi” (5). Questa voglia di realtà si esprime in molte sequenze realizzate in esterni e l’impiego di un buon numero di attori non professionisti, alcune delle caratteristiche tipiche del neorealismo, in un cinema che rinasce ma che non è neorealista ma dal quale iniziano ad essere poste le basi che porteranno al neorealismo futuro. Un film del genere rivoluziona lo sguardo dello spettatore e la realtà industriale nel quale nasce, ponendo nuove possibilità, nuove realtà, dimostrando che è possibile fare del cinema di qualità a basso costo. Ma è possibile individuare altri motivi che rendono ancora più chiara l’importanza di questo esordio, ricorrendo alle stesse parole di Blasetti: “(…) E’ un film italiano, tecnicamente idoneo ai nuovi tempi, al quale l’ausilio tecnico straniero non è stato affatto necessario (…) Un tale film ha un complesso artistico di primo ordine ed è, guarda caso, diretto da un italiano, sceneggiato da un italiano, messo in scena da un italiano, fotografato da un italiano, interpretato da tutti italiani, approntato da maestranze italiane (…)” (6). A proposito dell’immagine che Blasetti costruisce: la composizione plastica delle inquadrature segnala un particolare rigore, uno studio che vuole ottenere un preciso obiettivo, riprendere la realtà senza definirla attraverso luoghi comuni, magari elevandola a qualcosa di altro. Guardando queste immagini e il montaggio a tratti veloce che le caratterizza, fanno pensare ad una chiara influenza di certo cinema sovietico targato Pudovkin e Ejzenstein, ma Blasetti ha sempre confermato in più occasioni di aver visto del cinema russo solo all’indomani della realizzazione del proprio film: “(…) fu soltanto negli stabilimenti di via Veio che ci fu consentito di vedere due anni dopo, i primi film sovietici. Cosicché questa derivazione dai sovietici è una pura invenzione, una di quelle illazioni con le quali tanto sovente si fa la storia. Noi avevamo visto Intolerance di Griffith, La tragedia della miniera di Pabst, Giovanna d’Arco di Dreyer, questi film si che li avevamo visti prima di cominciare a lavorare il nostro, ma i russi li vedemmo due anni dopo. Ogni derivazione dai russi è completamente priva di fondamento” (7).

Altro regista che lo ha influenzato è Fritz Lang, del quale se ha apprezzato I nibelunghi (1924), individua dei limiti in Metropolis (1927), su tutti, quello rilevante riguarda quel particolare gioco di luci e ombre che grande ha reso quel cinema espressionista: “Riteniamo, infatti, che l’ombra-luce dello schermo non si limiterà a realizzare concezioni espressionistiche; che anzi sarà questa la prima fase, e la meno significativa, dell’ingresso espressionista nel cinematografo; ma più che forma realizzativa in quanto tale sarà rivelazione di nuovi orizzonti e di nuove vie all’animo dell’autore” (8). Nonostante Blasetti provi una vera e propria “adorazione” per questo suo primo tentativo, sottolinea come Sole non sia quanto di meglio si possa fare in Italia ammettendo anche la presenza di errori: “Se gli capiterà ancora di mettere in scena lo consiglierò di procurarsi una lavorazione più tranquilla, di frenare un poco la sua esuberanza, di tenere maggiormente la misura metrica delle inquadrature, di pensare molto di più l’armonia delle ombre e delle luci nella loro successione fra inquadratura e inquadrature, di utilizzare altri congegni per la mobilità della camera e, ad un tempo, di moderare alcune velocità di spostamenti, di penetrare con una ancor più profonda analisi i caratteri dei personaggi, di progredire come può e come sente verso livelli maggiori” (9).

Questa autocritica è dello stesso periodo del film, che ben fa capire l’animo che caratterizza il regista, che guarda sempre alle proprie opere compiute anche a tanti anni di distanza: “ero talmente entusiasta dei miei personaggi che li vedevo come in genere vedo le cose che ammiro, cioè dal basso in alto, mettendoli su un piedistallo (…) c’è un’esuberanza di valorizzazione del personaggio nell’immagine, nel fotogramma” (10). Se il film non ottenne quel successo di pubblico che si sperava, tanto da causare la bancarotta della Augustus (11), venne invece pienamente apprezzato dalla maggior parte della critica del periodo, che sottolineava l’importanza del film parlando di “rinascita” e non solo. “I costumi, lo stile, gli atteggiamenti, i movimenti sono addirittura mirabili. Per la prima volta in Italia i vari tipi sono stati resi con gusto e saggezza: i villani sono villani davvero, i lavoratori lavoratori, la palude palude, e il clima è quello umido, nebbioso, delle Pontine, con i suoi acquitrini e le sue bufale. L’incanto malsano di quei luoghi è reso alla perfezione, e il paese intero dove si svolge una parte dell’azione è un paese dei nostri, con le sue osterie, le sue mura annerite, la sua umiltà pittoresca” (12). Se questo è un valido esempio di come Sole veniva al tempo lodato da buona parte della critica, che quindi accentuava il carattere realista della pellicola, le critiche, che naturalmente non mancavano, accusavano il regista di plagio; un esempio chiarificatore può essere trovato nell’articolo del critico Guglielmo Alberti tratto da Cronaca del cinematografo del maggio 1930: “Ma più scontento ancora che il gran pubblico è stato quel Tizio che mi ritrovo sempre a fianco e che si spicca di una particolare competenza in fatto di cinematografo. Sole, - mi diceva costui, - si riduce a un plagio di tecniche. Specie di roba russa integrata dai tedeschi e soprattutto mal digerita”. L’intervento del “Tizio” continua riferendosi a episodi o particolari di film come Febbre dell’oro o Giovanna d’Arco, film che senza dubbio sono stati visti da Blasetti. Nonostante il critico continui l’articolo evidenziando qualche difetto (si intende, senza ricorrere al giudizio di altre persone), di seguito torna ad elogiare Sole, “Con tutto ciò Sole insegna in Italia come l’elemento folkloristico offra una ricchezza che può e anzi deve distinguersi dal volgarmente pittoresco”. E’ possibile trovare ancora giudizi su questa opera prima qualche anno più tardi, nel 1933, quando Leo Longanesi dalle colonne de L’Italiano (nn. 17-18, 1933) critica duramente la produzione italiana, compreso Blasetti, del quale definisce Sole, il film del “Rinascimento” italiano come “banale pellicola di imitazione sovietica”. Andando oltre il normale confronto che scaturisce la visione della pellicola, benché questo non sia motivato considerando le fondamentali dichiarazioni di Blasetti, non bisogna dimenticare come il modello sovietico sia un esempio che molti dei critici e registi del fascismo, considerano ed esaltano, dalle diverse riviste che formano l’arco socio-culturale durante il regime. 

Sole è un inizio e termine, così come lo è anche Rotaie, perché sa de questi due titoli la realtà industriale cinematografica andrà in contro ad una significativa evoluzione (CSC e Cinecittà), il resto della produzione italiana non li eguaglierà, ne li supererà, vuoi per diverse motivazioni (coinvolgimento nell’ideologia fascista, pesante intrusione della Storia), ma porterà avanti un po’ in tutti i registi del periodo, quegli elementi chiave che già sul finire del regime anticipano la nascita della grande stagione del Neorealismo, momento fondamentale nella Storia del cinema che ha in quelle due produzioni del 1929 le radici più profonde della sua nascita.

Note
(1)V. ZAGARRIO, Cinema e fascismo. Film, modelli, immaginari, Marsilio, Venezia, 2008 (pag. 223) 
(2) Nel 1926 “Critica Fascista” pubblica un dibattito sull’arte fascista. Il dato emergente è che l’arte deve essere autonoma e respirare l’atmosfera nuova che il fascismo ha instaurato. Sul cinema appaiono brevi interventi rivolti al teatro di Bragaglia e Pagano. Un anno dopo, nel 1927, su “Solaria” si pubblica la prima inchiesta sul cinema, ha così inizio il dibattito sul ruolo che questo deve ricoprire durante il fascismo.
(3)L. MICCICHE’, Ritratto d’autore, in AA. VV., Per Alessandro Blasetti. Atti della tavola rotonda dell’11 marzo 1987, Centro Sperimentale di Cinematografia, Roma, 1987 (pag. 14)
(4)Sole racconta in forma di film i risultati prodotti dalla “Battaglia del grano” promossa da Mussolini a partire dal 1925
(5)F. PRONO, Storia del cinema italiano, Volume IV 1924 – 1933, Leonardo Quaresima (a cura di)
(6)A. BLASETTI, Ho passato Sole in visione personale, in “cinematografo”, a. III, n. 20, Roma 13 ottobre 1929
(7)A. L. LUCANO, Una chiacchierata con Blasetti, intervista in “Rivista del Cinematografo”, a. XXXIX, n. 4, Roma aprile 1966
(8)A. BLASETTI, Metropolis, in Lo Schermo, a. II, n. 4, 29 gennaio 1927
(9)A. BLASETTI, Ho passato Sole in visione personale, in “cinematografo”, a. III, n. 20, Roma 13 ottobre 1929
(10)A. BLASETTI (1974), in Francesco Savio, Cinecittà anni Trenta, Bulzoni, Roma, 1979 (pag. 112)
(11)A causa del fallimento, la produzione di Rotaie di Mario Camerini è passata alla S.A.C.I.A. di Milano
(12) A. CECCHI, L’Italia letteraria, del 23 – 6 - 1929

 
 


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