Fantastic Mr. Fox PDF 
Francesca Druidi   

Ha fatto una promessa Mr. Fox (la cui voce nella versione originale del film è affidata a George Clooney): quella di non rubare più galline. L’occasione in cui l’ha pronunciata, del resto, non era delle più agevoli: durante un’incursione notturna, imprigionato in una trappola per volpi insieme alla compagna (Meryl Streep), che gli rivela proprio in quel momento di essere incinta, assicura alla partner che, in caso di sopravvivenza, non commetterà più furti. Per diversi anni, Mr. Fox sta ai patti: cura come giornalista una rubrica su un giornale locale e conduce un’esistenza tranquilla con la moglie e il figlio Ash (Jason Schwartzman) in un buco, comportandosi come una volpe ben integrata nella società. Un’esistenza un po’ troppo pacifica per l’irrequieto Mr. Fox che, d’altro canto, non è una volpe come tutte le altre. Dotato di immancabile savoir faire, sportivo eccellente fin da ragazzo, tanto elegante e carismatico quanto scaltro e intelligente, il protagonista ha però due “talloni d’Achille”: la fobia dei lupi, ma soprattutto una certa insofferenza per la piega ordinaria che ha preso la sua vita. Decide innanzitutto che non vuole più vivere sotto terra e, contro il parere del suo avvocato Badger (la voce è quella di Bill Murray), si trasferisce con la famiglia in un costoso faggio situato proprio di fronte alle tre fattorie appartenenti ai produttori agroalimentari più potenti della zona: Boggis, Bunce e Bean, la cui leggendaria spietatezza è ormai tramandata nelle filastrocche per bambini. Svaligiare le tre aziende, che custodiscono pollame e sidro alla stregua di tesori preziosi, è una tentazione troppo succulenta e irresistibile perché Mr. Fox possa resistervi. E così, insieme all’amico opossum Kylie (interpretato nella versione originale da Wally Wolodarsky) e al nipote Kristofferson (la voce è quella di Eric Anderson, fratello minore di Wes), unitosi nel frattempo al nucleo famigliare a causa del perdurare della malattia del padre, mette in atto uno straordinario piano in tre fasi. La reazione dei proprietari non tarda però a mancare e sarà decisamente più ostinata e vendicativa di quella che il “fantastico” protagonista poteva aspettarsi: una “caccia alla volpe” in piena regola e senza esclusione di colpi, i cui effetti ricadranno non soltanto su Mr. Fox e i suoi cari, ma anche su tutta la comunità di animali della zona. La nuova sfida per l’elegante volpe sarà, quindi, improntare una strategia vincente per salvare il gruppo, riacquistandone al contempo la fiducia.

Così può essere delineata a grandi linee la sinossi di Fantastic Mr. Fox, primo film d’animazione del talentuoso regista Wes Anderson, che si avvale della tecnica manuale della stop motion e della collaborazione del socio sceneggiatore Noah Baumbach per interpretare, ampliare e rielaborare il famoso libro per l’infanzia di Roald Dahl, autore saccheggiato a piene mani dal cinema (La fabbrica di cioccolato, Matilda sei mitica, James e la pesca gigante): Furbo, il signor Volpe. Presentando una struttura a capitoli (come I Tenenbaum), debitrice del romanzo, il lungometraggio identifica un’altra divertente, ironica e surreale, come sempre intrisa da una vena malinconica, pagina della filmografia di Wes Anderson, puntellata dagli immancabili marchi di fabbrica dell’autore texano. Sono due le tematiche in cui si dipana la narrazione: emerge innanzitutto il tema dell’accettazione della propria identità. Tutti i personaggi assumono, seppur con motivazioni diverse, un ruolo, probabilmente una maschera, all’interno della comunità in cui vivono, ma giungono in ogni caso a fare i conti con la natura più profonda e spontanea del loro essere. Natura che, trattandosi di animali, non può totalmente prescindere dall’aggressività o dall’istintività. È quanto impara a sue spese Mr. Fox, che non può reprimere, se non a prezzo di reali svantaggi per sé e per quanti lo circondano, il suo lato selvaggio. Diventa allora importante accettare i propri limiti, le proprie insicurezze e mancanze, acquisendo però anche la giusta consapevolezza dei propri punti di forza. La crisi, sembra suggerirci Wes Anderson, può essere affrontata e risolta solo per mezzo di questa presa di coscienza e di una effettiva cooperazione reciproca, trovando una qualche forma di raccordo tra le pulsioni più dissonanti che si celano nell’animo. 

In secondo luogo, in Fantastic Mr. Fox si delinea nuovamente un ritratto di famiglia sui generis, famiglia certamente originale e anticonvenzionale, eccentrica e stralunata, ma non per questo priva di sollecitazioni emotive, destinata a perdersi ma anche a ritrovarsi. È un tema, quello della famiglia come elemento “disturbante”, generatore di conflitti e di traumi, affrontato da Anderson anche nei suoi film precedenti, da Rushmore a I Tenenbaum, da Il treno per il Darjeeling a Le avventure acquatiche di Steve Zissou. In particolare, è ancora il rapporto tra i figli e le figure genitoriali a dominare le dinamiche famigliari: l’erede di Mr. Fox, Ash, è un adolescente insicuro e scontroso che soffre il costante, per certi versi impietoso, paragone con un genitore decisamente ingombrante e sempre al centro dell’attenzione, invischiato in una matassa di ammirazione e di risentimento per l’indifferenza che suo padre dimostra nei suoi confronti. Non è un caso che la giovane volpe si impegni nella stessa attività sportiva a cui si dedicava il genitore – un esilarante mix tra cricket e baseball per volpi –, nel vano tentativo di ripercorrerne i successi. L’arrivo del cugino Kristofferson, che sembra aver ereditato il fascino e l’atleticità del protagonista, non fa poi che acuire il disagio di Ash e il suo senso di inadeguatezza. Del resto, nell’opera complessiva di Wes Anderson sfilano diversi esempi di padri egocentrici e megalomani, piuttosto che madri assenti o spesso troppo impegnate altrove (Il treno per il Darjeeling), al centro di conflitti con i figli: dal surrogato paterno rappresentato da Herman Blume in Rushmore a Royal Tenenbaum, “patriarca” detronizzato che cerca di rimettere insieme i pezzi della sua famiglia, fino allo stesso Zissou, che scopre la paternità. Anche il padre scomparso ne Il treno per il Darjeeling fa, in realtà, avvertire tutta la sua ingombrante presenza nell’animo dei tre fratelli protagonisti, incarnandosi in un enorme set di valigie che verrà infatti lasciato indietro nel corso del viaggio, come una zavorra di cui ci si può liberare. Fantastic Mr. Fox può, dunque, essere letto anche come un tumultuoso percorso di riavvicinamento, ritrovamento e ricostruzione del legame tra padre e figlio.

La scelta di Anderson di ricorrere alla stop motion, già utilizzata in diverse sequenze dirette da Henry Selick ne Le avventure acquatiche di Steve Zissou, deriva dall’affezione che il cineasta statunitense prova nei confronti di questa tecnica di animazione, così distante da quella realizzata al computer, ma soprattutto prende le mosse dalla convinzione che si tratti di un linguaggio particolarmente affine alla sua sensibilità ed estetica. Risulta evidente la capacità del regista di piegare lo strumento della stop motion alla propria poetica, facendo comunque ricorso alle migliori personalità in circolazione, quali la producer Allison Abbate, già responsabile di Nightmare Before Christmas, La sposa cadavere, Il gigante di ferro, e i famosi creatori di pupazzi Ian MacKinnon e Peter Saunders (La sposa cadavere). Guardando a posteriori, si conferma senza dubbio una scelta azzeccata: l’animazione a passo uno veicola quel senso di magia necessario a dare credibilità e sostrato emozionale alla personalissima visione del filmmaker, permettendogli inoltre di cimentarsi nello studio meticoloso e iper-scrupoloso di ogni dettaglio: abiti, arredamenti e oggetti, elementi che non costituiscono un mero corollario alle scene, ma contribuiscono a comunicare il senso complessivo del film. La stop motion consente di usare numerose texture e piccoli oggetti manufatti, costruiti in questo caso con materiali veri, in primis i peli degli animali. Ai personaggi animali è stato conferito un look antropomorfo, dall’aspetto naturale ma stilizzato. Assolutamente peculiare è stata anche la modalità di registrazione delle voci degli attori: non all’interno di studi, ma all’aperto oppure nel granaio di una fattoria nel Connecticut, dove in definitiva era richiesto dalla sceneggiatura, ma sempre e comunque dal vivo. Tramite l’adozione di una stop motion meno fluida e raffinata di quella che oggi può essere ottenuta, grazie all’uso delle nuove tecnologie applicate ai pupazzi, Anderson mira a restituire un effetto retrò esplicito, esaltando e rendendo evidente il processo ad alta intensità di manodopera che questo tipo di animazione richiede.

In un panorama cinematografico sempre più povero di guizzi e di istanze originali, il film di Wes Anderson è una vera e propria boccata di ossigeno. Fantastic Mr. Fox vibra, infatti, di humour surreale ma non cessa mai per un momento di interrogarsi sull’amore, sulla ricerca dell’amore, sulle domande e sui dubbi che costellano la natura degli esseri viventi (uomini o animali che siano). Wes Anderson attinge ancora una volta dalle forme della commedia, avvalendosi in questo caso anche delle potenzialità intrinseche alla stop motion, per raccontare personaggi eccentricamente memorabili nelle loro fragilità e caratterizzati fin nei dettagli più insoliti (gli occhi di Kylie, per fare un esempio, oppure la radiolina che Mr. Fox indossa sempre alla sua cinta). Personaggi sui quali il regista posa costantemente il suo sguardo benevolo e partecipe, mai corrosivo o sarcastico, e dalle cui interazioni scaturiscono i temi cardine esplorati dall’autore texano: la famiglia, come detto, e soprattutto la riconciliazione, concepita come la possibilità di reinventare se stessi e i rapporti con gli altri, a partire dagli errori compiuti nel passato. Facendo leva su un reticolo di rimandi e citazioni personali nonché culturali, il regista statunitense non rinuncia poi al tessuto figurativo sovraccarico che da sempre lo contraddistingue. Un tessuto che questa volta vira su colori quali ocra, giallo, rosso e beige dove, oltre all’uso di primi piani centrati, prevale una costruzione complessa dell’inquadratura, votata sempre ad una simmetria che pure contrasta armoniosamente con un’iconografia vivida e sgargiante che riecheggia il postmoderno. Non dimenticando mai l’uso espressivo che Anderson fa della musica nella diegesi.

Fantastic Mr. Fox si inserisce dunque perfettamente nel corpus di opere dirette dal cineasta americano, sia per le modalità espressive utilizzate che per i temi toccati e la tipologia dei personaggi raccontati. Si può parlare, in sostanza, di un unico percorso filmico in virtù della sua pregnante coerenza. Un’ulteriore conferma la si trova nel cast dei doppiatori (sempre nella versione originale), dove compaiono gli attori feticcio di Anderson: Jason Schwartzman, con cui lavora da una vita, Bill Murray, Owen Wilson, che qui è l’allenatore Skip, Willem Dafoe, che presta la voce al cattivo Rat. Ai quali si aggiungono Adrien Brody (Rickety) e Brian Cox (reporter televisivo). Tutti, del resto, fanno parte dell’estesa famiglia cinematografica di Wes Anderson, sempre pronta ad accogliere nuovi membri, come George Clooney, Meryl Streep e Michael Gambon (il cattivissimo Bean). Sebbene il suo stile iperrealista sia ormai riconoscibile, ciò che stupisce di Wes Anderson è la sua incessante inventiva e visionarietà nel creare universi immaginari sempre nuovi, universi che però mai – nemmeno in questo caso, in cui il film è tratto da un libro per l’infanzia – risultano effettivamente slegati dalla realtà e dai sentimenti che in essa nascono e si intrecciano. Regalando allo spettatore sentimenti agro-dolci, capaci di connettere cuore e cervello.

TITOLO ORIGINALE: Fantastic Mr. Fox; REGIA: Wes Anderson; SCENEGGIATURA: Wes Anderson, Noah Baumbach; FOTOGRAFIA: Tristan Oliver; MONTAGGIO: Andrew Weisblum; MUSICA: Alexandre Desplat; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2009; DURATA: 88 min.

 


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