L'effetto strano e straniante che provoca la tecnica visiva arriva dall'ultima opera di un "naturalista" (perlomeno a livello di "mise en scène") come Eric Rohmer partecipa a quello che può essere il senso intimo del film stesso.
Intanto, L'anglaise et le duc è l'ultimo canto storico di quella trilogia rohmeriana spostata in tempi lontani dalla consueta attualità quotidianissima dell'ottuagenario cineasta; così già sappiamo che, se il verbo-Rohmer si coniuga ad un presente assoluto (in cui la realtà dell'attualità è regina) il volgersi all'indietro dell'occhio verso il tempo storico del passato - culturalmente noto ad un erudito come il nostro che, lo confidiamo, parte sempre dalla conoscenza storica dei fatti - genera magari i quadri volutamente costruiti, fissi come la storia, ieratici e bidimensionali di Perceval le gallois(1978).
L'anglaise et le duc possiede ovviamente maggiori affinità con l'altro lavoro "storico" di Rohmer, La marchesa Von... (La marquise d'O..., 1976), riduzione bellissima della novella (1808) di H. Von Kleist che a sua volta viveva di un punto di vista femminile, anche se ben più sfasato, "incosciente"(come la marchesa al momento della violenza sessuale che genera il film), in crisi, come l'epoca in cui era immerso; il balletto di personaggi di La nobildonna... ruota sulla figura femminile narrante dell'aristocratica scozzese Grace Elliott (dai cui diari, superfluo ricordarlo, Rohmer ha tratto il film) su quella del Duca d'Orleans.
La luce ambigua sotto la quale la giovane nobile e il compassato duca continuano a incontrarsi (anni dopo una relazione da amanti) mette in gioco la disparità fra "ragion di stato" e "ragione del cuore", ma il contrasto fra i due è un meccanismo che apre realmente l'intimità all'universalità epocale e al discorso storico: in che modo però? Con uno squilibrio, che non pochi hanno criticato, verso l'ottica della giovane inglese che tende a riempire la dialettica del film del suo sentimento filo-monarchico, marcando il carattere outrageux della condotta politica del duca (che finirà col votare a favore della ghigliottina per il Re-cugino Luigi XVI).
Ecco che il disegno epocale rohmeriano sembra poggiare sulla struttura di un discorso politico schematico e, come si diceva, sbilanciato; l'occhio critico su questo tempo storico sembra sì fissarsi sulle negatività di personaggi di volta in volta antitetici - la bestialità sanguinaria del popolo rivoluzionario come la codardia di certi aristocratici o alti militari - ma quasi senza intaccare la figura di Grace: dunque, in ultima analisi, L'anglaise et le duc potrebbe benissimo essere ricondotto, nel suo valore cinematografico essenziale, alla sua forma visiva/iconografica, all'inedita sperimentazione digitale applicata ad un film "in costume", alla soluzione fruttuosa e significante allo stesso tempo dell'adoperare fondali elettronici come tele e dipinti d'(di quell')epoca.
Ovvero, l'idea di una realtà storica-paesaggistica che funge da documento dotato di un'esattezza non pienamente verificabile e quindi anche da superficie illusoria, sottile, da tagliare o incidere, sfondo transitorio di vicende di corte dopotutto altrettanto effimere e comunque piene di più verità tutte solo ipotizzabili.
"Questo non è solo il racconto di una donna, ma anche del suo modo di vedere. È naturale che un cineasta desideri approfittare del dono divino di possedere un documento del genere. Specialmente dal momento che, nei suoi film, quel cineasta ha sempre adottato un punto di vista analogo,asserendo, per esempio, che i Contes Moraux non corrispondevano alla visione del narratore, ma a quella della macchina da presa che lo filma mentre racconta" (Eric Rohmer).
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