Casualties of War e Redacted: la guerra secondo Brian De Palma PDF 
Sergio Grega   

Tutto quello che vedi, dovunque guardi, è solo morte e grande sofferenza. E quando ho dovuto uccidere mi è venuto da vomitare a causa di quelle puzze, di quei suoni e di quelle immagini. Mi restano queste immagini in mezzo al cervello che mi ossessioneranno per sempre, e non so come cazzo me ne libererò. Che cosa ci facevo là?
(Lawyer McCoy, Redacted, di Brian De Palma, 2007)

Il cinema bellico rappresenta a tutti gli effetti una fonte sterminata e variegata dell’immaginario collettivo. Chi non ricorda la roulette russa de Il cacciatore , il terribile sergente Hartman di Full Metal Jacket, o la morte del colonnello Kurtz in Apocalypse Now? In questa stagione poi due film hanno contribuito a riportare nuovamente in auge questo genere: Lebanon, vincitore del Leone d’oro alla Mostra d’Arte Cinematografica Internazionale di Venezia, e soprattutto The Hurt Locker, che ha sbaragliato la concorrenza del temibile Avatar e ha trionfato agli Academy Awards. Questo perché, nel bene e nel male, il cinema ha sempre sentito l’esigenza di affrontare un argomento così delicato attraverso il quale sovvertire, criticare e analizzare le debolezze e le contraddizioni della società (cosiddetta) civile. All’interno di questo patrimonio filmico merita un approfondimento la visione sul tema che ci viene da un regista multiforme quale Brian De Palma. Questi, protagonista indiscutibile della Hollywood che conta, ha alternato nella sua carriera film molto diversi tra di loro, all’insegna, soprattutto tra gli anni Settanta e Ottanta, di un cinema fortemente caratterizzato dal punto di vista stilistico e fedele alla lezione hitchcockiana.

In un blocco così composito di opere si segnalano due prodotti tanto simili sul versante tematico quanto distanti per quel che concerne la rappresentazione e la riproduzione delle immagini. Si tratta di Vittime di guerra (Casualties of War, 1989) e Redacted. Concepiti in due momenti profondamente diversi (con diciotto anni di distanza l’uno dall’altro), i due film raffigurano le due facce della medesima medaglia e soprattutto chiariscono senza bisogno di ulteriori dimostrazioni che cosa pensi De Palma della guerra. Se, come detto, da un punto di vista narrativo Redacted sembra una sorta di remake di Vittime di guerra, ovviamente con le debite proporzioni, le differenze stilistiche e di produzione sono tali che l’uno funge da pseudo negazione dell’altro. Vittime di guerra arriva al culmine di un’indagine approfondita sul conflitto vietnamita. C’erano già stati Il cacciatore, Apocalypse Now, Platoon, Giardini di pietra, Good Morning, Vietnam e Full Metal Jacket che avevano sottolineato le crudeltà e le barbarie di quel conflitto, puntando il dito contro la società americana rea di aver avallato un tale orrore. La distanza temporale dagli eventi narrati era perciò notevole ed esistevano dei modelli filmici ideali da seguire. La sceneggiatura di David Rabe, basata su un libro di Lang, giornalista reduce di guerra, era l’ulteriore elemento per conferire una sorta di veridicità alla vicenda. Il film si apre su un autobus (anche Allucinazione perversa segue questo artificio, con un incipit ambientato all’interno di un mezzo pubblico, la metropolitana) con l’inquadratura del protagonista, Michael J. Fox (il soldato Eriksson). Segue un lungo flashback che è la soluzione adottata da De Palma per narrare il passato in Vietnam. Siamo all’interno di un contesto tipicamente hollywoodiano, con tanto di star system (oltre a Fox, Sean Penn, John C. Reilly e John Leguizamo) e rappresentazione oggettiva dei fatti.

L’intreccio è piuttosto lineare: durante una ricognizione i cinque componenti di una squadra sequestrano, stuprano e infine uccidono una innocente vietnamita. Uno di loro, il soldato Eriksson appunto, si sottrae a questo gioco al massacro e decide di denunciare i suoi compagni. Seguendo quindi quel filone che aveva giustamente condannato l’interventismo statunitense, nella convinzione che la guerra genera altra guerra e che in ogni conflitto ognuno è vittima degli altri, De Palma con il suo film creava un inno al pacifismo, forse anche troppo enfatico, attraverso un punto di vista quasi esclusivamente occidentale. Il “nemico” vietnamita è praticamente invisibile, quello che interessa al cineasta è la critica feroce a un sistema, quello militare, e a un evento, quello bellico, che si rivelano negazione di tutte quelle norme civili alla base della convivenza armoniosa. La guerra non ha regole, non ha leggi. È la rappresentazione più tangibile della natura animale dell’uomo. Non a caso il comportamento folle dei quattro soldati nasce da un desiderio di vendetta per la morte del tenente Brown. Come bestie selvagge, i militari, in un contesto del genere, non sono costretti a porre un freno ai loro più bassi istinti. Di pari passo emerge un attacco all’esercito in quanto sistema gerarchico. Quello che interessa alle massima autorità è la difesa e la copertura di chi ha sbagliato in nome di “una causa più grande”. E all’interno di una tale struttura il soldato Eriksson è costretto inizialmente a innalzare un muro d’omertà che genererà in lui il rimorso di coscienza per la morte della ragazza, solo in parte mitigato dalla denuncia e della successiva condanna (esclusivamente all’interno della fiction, come ci precisa il regista nelle didascalie finali, quasi a ribadire che la realtà è ben peggiore della finzione) dei suoi “compagni”.

Molti di questi temi naturalmente erano già stati affrontati precedentemente e forse anche per questo il film non aveva ricevuto una grande accoglienza dalla critica. "Non è all’altezza della sua gloria" (1), "trasmette orrore e non pathos, sdegno e non partecipazione, retorica più che una revisione delle ideologie e delle cause che hanno portato a quell’orrore. Ed è quasi imbarazzante il finale" (2), "L’unico film bellico di De Palma è un cattivo film" (3), questi alcuni dei giudizi negativi. Paradossalmente Vittime di guerra assume tutto un altro valore proprio se rivisto alla luce di Redacted. Se il primo è una sorta di embrione di partenza, il secondo rappresenta in modo straordinario la giusta evoluzione e la realizzazione concreta del suo predecessore. Redacted è uno dei primi film sul conflitto in Iraq. Presentato in concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2007, ha fatto un po’ da apripista a un filone sul tema che contiene tra gli altri, oltre al premio Oscar The Hurt Locker, Nella valle di Elah, Grace is Gone e il recentissimo Green Zone. Non potendo contare su un campionario di esempi filmici da seguire sull’argomento, le fonti di riferimento per De Palma sono diventate i blog, youtube, i filmati amatoriali e ovviamente quelle cronachistiche. Tale varietà lo ha spinto a concepire una narrazione degli avvenimenti profondamente diversa da quella oggettiva e classica utilizzata per Vittime di guerra. Redacted nasce infatti come un mockumentary, un finto documentario. Gli eventi ci vengono presentati attraverso l’ottica del soldato Salazar (Izzy Diaz), che spera di essere ammesso in una scuola di cinema grazie al documentario Non dirmi bugie, un dietro le quinte di come si (soprav)vive all’interno della base di Samarra. Partendo da questo fulcro centrale il cineasta si diverte a proporre una multi stratificazione dei punti di vista che deriva dalla moltiplicazione delle forme creative: al filmato principale si alternano riprese di telecamere d’ordinanza, video su youtube, blog dell’una e dell’altra fazione, servizi giornalistici e diari in camera a mano.

È il trionfo dello sguardo sul corpo, di una visione alla quale si accompagna inevitabilmente una soggettività intrinseca. De Palma mira a restituire attraverso questa struttura la veridicità della guerra, nella quale non esiste una suddivisione tra buoni o cattivi, motivazioni giuste o sbagliate, ma tutto diventa il pretesto per il predominio della brutalità e della componente più animalesca della natura umana. È l’aspetto stilistico dunque a differenziare profondamente Redacted da Vittime di guerra. Sul piano tematico infatti i due film si assomigliano come due gocce d’acqua. Torna la morte di un generale che funge da giustificazione alle azioni sconsiderate del manipolo di soldati. Tornano lo stupro e le violenze perpetrate ai danni di una donna (o meglio ragazzina) indifesa, vittima innocente della “vendetta” dei militari. Torna l’impossibilità di estraniarsi dal sistema e di condannare i propri commilitoni che si palesa in questo caso in una successiva denuncia (a volto coperto e via internet) per mondare il rimorso di coscienza. Chiaramente sono cambiate però le circostanze e i motivi bellici. Tra i vari filmati colpiscono come un pugno nello stomaco quelli che rimandano al punto di vista terroristico, con gli attentati che vengono ripresi accompagnati dalle preghiere di ringraziamento rivolte nei confronti di Allah (il tema pseudo religioso non aveva certamente contraddistinto il conflitto vietnamita). Tolto questo e un finale decisamente più pessimista, con il soldato McCoy incapace di dimenticare quanto successo che scoppia in lacrime durante la festa per il ritorno a casa, i due film descrivono esattamente la stessa guerra. O meglio, per De Palma il conflitto iracheno e quello vietnamita sono ugualmente da condannare. Nonostante i diciotto anni trascorsi, il pensiero del cineasta non si è assolutamente modificato e anzi si è fatto più malinconico, cinico e negativo. Va tenuto poi in conto che anche Redacted si ispira a un fatto realmente accaduto, ed è inevitabilmente influenzato da tutte le notizie che si sono susseguite sui comportamenti non propriamente da etichetta tenuti dai militari e testimoniati da un fattore che ha contribuito enormemente al mutamento della comunicazione, ovvero internet. Questo sì elemento di differenziazione rispetto a Vittime di guerra: la moltiplicazione dei punti di vista è stata possibile infatti soprattutto in rapporto al progresso della tecnica (molti dei mezzi utilizzati non erano disponibili nel 1989).

Nonostante le similitudini tematiche però, questo film ha ricevuto tutt’altro trattamento dalla critica. “De Palma non è mai stato un regista particolarmente sensibile alla politica. Meno, comunque, di suoi colleghi. E anche il suo film più apertamente accusatorio contro l’esercito americano in Vietnam (Vittime di guerra) finiva per scivolare nell’enfasi e nell’insincerità. Con Redacted il regista fa un salto di qualità e firma uno dei più duri e lucidi atti d’accusa non solo contro la politica estera di Bush, ma su tutta la cultura americana delle immagini”(4), “De Palma è stato geniale nel mescolare documento e fiction”(5), “Redacted rappresenta una prova di tecnica cinematografica eccezionale”(6), questi sono solo alcuni dei commenti più esplicativi. Ciò dimostra quanto sia importante come si racconta un qualcosa, non tanto quello che si vuole dire. La superiorità stilistica di Redacted, che è a tratti rivoluzionaria, ha una presa completamente diversa su chi guarda. Nonostante gli elogi, il film ha avuto però una serie di complicazioni che lo hanno portato a diventare invisibile quasi quanto la guerra che vuole raccontare (ed è un paradosso in un’epoca che si potrebbe definire iper mediatica). La casa di distribuzione, un po’ per la scomodità del messaggio, un po’ per la mancanza di uno star system (gli attori sono tutti sconosciuti), un po’ per ragioni prettamente politiche, ha optato per un’uscita esclusivamente nel mercato home video, saltando di netto il circuito delle sale cinematografiche. Paradossalmente quindi gran parte di quello che rende Redacted superiore a Vittime di guerra ne è al contempo il freno per una presunta accessibilità al pubblico di largo consumo. A meno che non si giunga all’assurdo che oggi esista una sorta di censura preventiva più rigorosa di quella di un tempo o peggio ancora, mutuando il discorso di De Palma, un disinteresse (imposto o non) nei confronti di un conflitto che sta dilaniando il mondo intero, ancora sconquassato dalla catastrofe dell’11 settembre. Vittime di guerra all’epoca della sua uscita non aveva suscitato un tale dibattito e soprattutto non era stato così boicottato.

In una produzione circolare come quella del regista italoamericano, fatta di continui rimandi al cinema del passato e sperimentazioni avanguardistiche per la creazione di un futuro audiovisivo più vivido, questi due war movies rappresentano l’incipit e la chiusura di un discorso. Esistono infatti momenti di ricorrenza nella sua filmografia. Come la scena della scalinata di Odessa, ripresa da La corazzata Potëmkin, ritorna prima ne Gli intoccabili e poi in The Black Dahlia, così probabilmente molti degli elementi che sono contenuti in Redacted e in Vittime di guerra torneranno. E chi lo sa, magari tra qualche anno ci troveremo dinnanzi a un terzo lavoro, ispirato all’ennesima guerra (anche queste purtroppo si ripetono ciclicamente) che potrebbe stravolgere stilisticamente quanto è stato rappresentato in precedenza. Con grosse probabilità però le differenze narrative sarebbero minime. Questo per dire che molti registi, e De Palma è uno di questi, si servono di archetipi, di schemi non strutturali ma tematici attraverso i quali veicolare il proprio messaggio (come non citare James Cameron ad esempio). E quindi i suoi due film hanno una precisa e concreta adeguatezza all’interno del suo percorso e ne sanciscono maggiormente, qualora ce ne fosse bisogno, il suo status di autore. Un autore che sa prendersi i suoi rischi e che chiude (per ora) il suo apporto al genere con una sequela di immagini reali che nessuna televisione e nessun giornale oserebbe proporre. Per descrivere la guerra quindi non c’è nulla di più forte della realtà, quella che, secondo De Palma, i media tendono a nascondere. Una chiusura cruda, sicuramente violenta, per uno dei film più eversivi del cinema americano. Il trionfo della verità sulla finzione attraverso una finzione di realtà.

Note:
(1) Giovanni Grazzini, Il messaggero, 13 gennaio 1990
(2) Irene Bignardi, Il declino dell'impero americano, Feltrinelli, Milano, 2006
(3) Il Morandini 2010, Zanichelli, Bologna, 2009
(4) Paolo Mereghetti, Il corriere della sera, 1 settembre 2007
(5) Maurizio Porro, Corriere della sera magazine, 3 luglio 2008
(6) Lietta Tornabuoni, La stampa, 1 settembre 2007

 


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