Wang Quanan
Il matrimonio di Tuya
di Chiara Federico
Torna il consueto documentarismo "alla mongola", le steppe e i tramonti vibranti di freddo, le facce bruciate degli adulti, la muta pacatezza dei bambini e degli oggetti della terra. Una terra arida quella in cui si muove la sprezzante e colorata Tuya, con i suoi fazzoletti e la sua schiena forte per poco.
Rispetto alle opere giovanili e interessanti della regista de Il cane giallo della mongolia, la trama che ruota attorno alla protagonista ha un andamento narrativo preciso, meno vincolato all'immagine e alla fascinazione ancestrale di un nomadismo agli sgoccioli. I pastori delle radure mongole sono idealmente vicini alla città, in contatto con essa, e vivono in case di paglia e fango mediamente solide, ma vessati dall'impossibilità di lavorare, dalla mancanza d'acqua, dalla precaria dittatura dei rapporti interpersonali e familiari. Il vecchio marito della bella e forte Tuya è un peso sociale, e in quanto tale autorizza la compagna ancora florida a scegliere il suo nuovo marito. Tra il grottesco andirivieni di uomini a cavallo e portavoce di pretendenti invisibili e occhiate complici di un vicino di casa sognatore, la donna sceglie di sposare un vecchio compagno di scuola: ma il tentativo fallisce miseramente prima ancora di concretizzarsi. Pur comprendendo il forte peso dell'economia e della rinuncia applicata alla sua esistenza di madre e lavoratrice vessata, Tuya tenta di salvaguardare l'arcaica, radicata forma d'amore che ancora la lega al marito: vuole che viva con lei e i figli, anche dopo il divorzio inevitabile, nella stessa casa con il nuovo sposo. L'ancestralità del legame e del valore di una persona tenta di raggiungere e spodestare le leggi della necessità, per le quali la persona langue nella sua impossibilità di provvedere agli altri, si estingue come l'evanescenza del suo lavoro debole. Anche il sogno e l'ambizione scavecollata del vicino di Tuya, suo coetaneo, sono puniti dall'avida praticità della moglie, che fugge rubandogli il nuovo furgone.
Un barlume di romanticismo sfiorato in campo lungo tenta di restituire ai desolati e vitali protagonisti la scintilla di una nuova vita, di un nuovo pozzo da costruire, di una speranza per l'agricoltura e la famiglia: il tutto si strugge nell'efficace finale spazza-melodramma. Il matrimonio vero è prosaico, rimane il lirismo tragico della vita impassibile dei campi, dei tipici cammelli, dei chicchi di grano rari tra le rocce.
IL MATRIMONIO DI TUYA
(Cina, 2006)
Regia
Wang Quanan
Sceneggiatura
Lu Wei, Wang Quanan
Montaggio
Wang Quanan
Fotografia
Lutz Reitemeier
Durata
96 min