Steven Soderbergh
Ocean’s Thirteen
di Marco Capriata
I film della saga "Ocean", nonostante il ritmo e il piacere che infondono con la loro visione, soprattutto se si pensa al primo della serie - sicuramente il capitolo migliore, intelligente remake dell'originale che vantava come protagonista il Rat Pack di Sinatra -, sembrerebbero costituire, ad un'analisi più approfondita, semplici giochetti narrativi e visivi, realizzati per il mero divertimento del suo compiaciuto demiurgo e del gruppo di attori coinvolti.
Il secondo episodio (Ocean's Twelve), infatti, quale plausibile seguito delle vicende narrate in Ocean's Eleven, aveva subito dimostrato la sua pretestuosità, presentandosi come un mero artificio di scarsa scrittura, in cui le idee sembravano costruirsi ripresa dopo ripresa, alla ricerca del colore locale del Bel Paese e con l'intento di sfruttare gli interni e la vista lago di Como della villa del divo Clooney, rischiando di far girare a vuoto l'intera storia, come d'altronde sembravano far presagire le risate compiaciute dei protagonisti durante il tour promozionale del film. L'ultimo capitolo, invece, ritorna sul luogo del delitto e alle origini del racconto, dipanandosi a Las Vegas quale luogo congeniale ad un gruppo di ladri gentiluomini, che in questa città hanno costruito le loro fortune, come dichiarato dagli stessi Ocean (George Clooney) e Ryan (Brad Pitt), mentre contemplano con sguardo nostalgico i mutamenti subiti dal centro urbano, monumento al kitsch estremo con i suoi alberghi simulacro di luoghi di bellezza imperitura, specchio ingannevole e deformante delle lusinghe del gioco d'azzardo. E Willie Banks (Al Pacino) rappresenta l'archetipo umano di quest'ostentazione postmoderna di dubbio gusto, quale conseguenza diretta del denaro di cui lui stesso è custode - come il suo stesso nome rammenta (Bank) -, e che lo rende così avido al punto da escludere da un progetto di realizzazione di un megahotel-casa da gioco il buon Tishkoff (Elliott Gould), e così innescare il progetto di vendetta degli uomini di Ocean.
Pacino sembra rifare se stesso ne L'avvocato del diavolo, gigioneggiando attraverso gesti ed espressioni parossistici che denotano la vulcanica, nonché becera personalità del suo personaggio, degno contraltare, spudorato e volgare, alla misura e al garbo di Clooney, ironico ladro, che mediante eleganza, intelligenza e stile riesce ad eccellere ancora una volta contro la tecnologia e il potere mercificante del denaro. Se la prima parte appare macchinosa nell'esplicare un piano così articolato da sfuggire alla comprensione degli stessi protagonisti, persi nella rete di implicazioni tecnologiche e delle successive contrarietà ed imprevisti - apparentemente inaspettati -, come il reingresso in scena del ladro Toulour (Vincent Cassel) e la necessaria alleanza con il vecchio nemico Terry Benedict (Andy Garcia), la seconda, nel dispiegamento effettivo e fattivo del progetto stentatamente esposto, scivola via con agilità, e Soderbergh si diletta con lo split-screen e con inquadrature le cui linee tracciano raccordi visivi geometrici tra i vari protagonisti, mediante un montaggio alternato che alimenta il ritmo vertiginoso dell'operazione truffaldina, al fine di appagare l'interesse e il pathos dello spettatore, sinora messi in sufficiente aspettativa.
Film ammiccante, e furbo, che si fruisce con diletto nella sua aspirazione ricreatrice delle atmosfere del Clan Sinatra, citato esplicitamente quale nume tutelare e capostipite della generazione protagonista di queste odierne e rocambolesche avventure, dove il gioco d'azzardo fa capolino come elemento fondante la truffa stessa, ma in sé le dinamiche della fortuna e abilità vengono confinate in secondo piano dalla tecnologia che tutto razionalizza e supervisiona. Se i prodotti cinematografici del Clan costituiscono nell'immaginario cinematografico opere di genere pop, tanto da essere considerati a loro modo dei cult cui guardare con malinconia, altrettanto non si può asserire di queste nuove avventure di Ocean, nei cui confronti, al momento, permane il sospetto di un'operazione apparentemente nostalgica che rimaneggia l'insieme, trasfigurandolo in oggetto di cultura di massa, quale decalcomania ammodernata, nonostante la presunta sincerità dell'operazione avallata dal sorriso da canaglia di Ocean/Clooney, cui pare tutto possa perdonarsi, o quasi...
OCEAN’S THIRTEEN
(USA, 2007)
Regia
Steven Soderbergh
Sceneggiatura
Brian Koppelman, David Levien
Montaggio
Stephen Mirrione
Fotografia
Steven Soderbergh
Musica
David Holmes
Durata
122 min