Krzysztof Zanussi
Il sole nero
di Anna Barison
Atmosfere apparentemente stridenti sembrano pervadere l'intera opera del polacco Zanussi, che decide di ambientare la sua ultima pellicola in una Sicilia d'altri tempi, bruciata dal sole e impreziosita da paesaggi metafisici, rimodellata sotto l'impianto visivo di una skenè da antica tragedia greca.
E parte proprio dal teatro questa trasposizione cinematografica, e in particolare da una pièce teatrale di Rocco Familiari, qui anche co-sceneggiatore insieme al regista, ispirata a un fatto di cronaca tragico e beffardo nel suo anonimato: l'omicidio immotivato di un giovane marito da parte di un uomo disperato nella sua inettitudine e la seguente lucida vendetta della vedova nei confronti dell'assassino. Una parabola sull'assenza della giustizia terrena e sull'insolenza morale della vendetta, frutto dell'incapacità della donna di metabolizzare un lutto atroce. È un ritratto intenso quello che fa Valeria Golino (Agata) di una sposa fedele e innamorata del giovane marito (Manfredi/Lorenzo Balducci). La loro è una coppia unita da una perfetta simbiosi e da un sentimento quasi mistico che regala nei primi venti minuti del film la suggestione di un amour fou, in cui non manca nulla, né bellezza, né ricchezza, né, soprattutto, una totale, reciproca dedizione, pronta a fugare ogni più piccola nube, a cominciare dalle celestiali lenzuola azzurre dove dormono Agata e Manfredi.
Che il loro non sia un amore "normale" e quotidiano, si percepisce subito dai dialoghi e dall'intimità che c'è tra i due: qualcosa di angelico spinge queste due entità a non preoccuparsi dei loro corpi nudi, ma nemmeno della banalità intrinseca del loro discorso amoroso, suggellato da frasi da melodramma che al giorno d'oggi risultano troppo convenzionali, troppo teatrali. Un antinaturalismo esasperato che plasma l'opera di Zanussi con fattezze derivanti da un'iconografia classica (come i quadri ospitati nell'antica casa della coppia), a tratti stucchevole e proprio per questo poco incline alla semplicità che si suppone avrebbe reso più lucida l'intera vicenda. La sfiducia nei confronti delle istituzioni e la conseguente vendetta di Agata è frutto di una húbris di antica memoria, analizzata con interessanti spunti esegetici. Agata sprofonda nell'alienazione, diventa un manichino in balia dei moti della sua anima, estranea al paesaggio e al tessuto sociale che l'aveva preservata e protetta, diventando straniera nella terra che fino a poco tempo prima aveva rappresentato il suo microcosmo. Zanussi fissa con sguardo vitreo questo scollamento, imprigionando Agata in un ambiente che pian piano si fa ostile, freddo e inospitale. Le tonalità calde della Sicilia, che in tempi non sospetti cullavano il sogno coniugale di Agata, si scontrano con la freddezza della violenza, diventando gelide e scostanti, quasi si rifiutassero di accogliere una di loro perché, andando contro le norme sociali, si è volontariamente autoesclusa dalla propria comunità.
La matrice cattolica di Zanussi sembra comparire prepotentemente nel discorso filmico, stabilendo un ciclico dualismo tra Bene e Male. L'impossibilità di dare risposte assolute assicura la necessità di re-interpretare quei valori spirituali, se non religiosi, e di mettere in discussione certi dogmi di fede di fronte al dolore e alla perdita. Non si può affermare, però, che l'analisi del processo di involuzione morale di Agata sia frutto di una riflessione di altissima originalità, perché Zanussi non trova il coraggio di stravolgere le regole che si è autoimposto per evitare di raschiare fino in fondo quello strato di convenzioni religiose che frenano l'osservazione antidogmatica della realtà. Come nella figura dell'assassino, troppo schematico e manieristico nel ruolo di cattivo degenere, pronto a qualsiasi forma di nefandezza pubblica (l'assassinio di un uomo "puro") e privata (la violenza sul fratello).
Tutto si risolve così in un abbozzo solo delineato, con delle enormi potenzialità che la materia drammatica purtroppo non è riuscita ad esplorare. Un'opera che pecca di un autocompiacimento accademico, nonostante la commistione di molteplici tematiche etiche e morali, che tuttavia rischiano di far implodere il "sole" del titolo, già oscurato da un freddo e spesso inefficace sviluppo narrativo.
IL SOLE NERO
(Italia, Francia, 2006)
Regia
Krzysztof Zanussi
Sceneggiatura
Krzysztof Zanussi, Rocco Familiari, Gianni Cardillo
Montaggio
Paola Freddi
Fotografia
Ennio Guarnieri
Musica
Wojciech Kilar
Durata
104 min