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Dodici anni dopo Total Eclipse (1995), ovvero quel Poeti dall'inferno che si rivelò un imbarazzante tentativo cinematografico di rappresentare il legame tra Arthur Rimbaud e Paul Verlaine, ecco Io e Beethoven, un altro saggio biografico di Agnieszka Holland. In questo suo ultimo film il risultato è ugualmente negativo: la regista riduce le vite di questi grandi personaggi a oleografiche illustrazioni di sussidiario, a macchiette della Storia e, quel che è peggio, li caricaturizza sino a renderli soltanto bidimensionali e ridicoli. Di questo meticoloso lavoro è vittima, in particolare, Ed Harris (anche lui relativamente avvezzo al biopic, dopo Pollock del 2000, di cui è stato, inoltre, regista e interprete). Se il nostro "Ludovico Van" dà l'impressione di un poveraccio di talento, l'attore viene trasformato in un goffo e preoccupante mascherone imparruccato: che fine ha fatto l'inquietante Carl Fogarty, gangster guercio di A History of Violence, solo per citare una delle sue migliori ultime interpretazioni? La scelta di figure maledette dell'arte come fonte di ispirazione sembra dettata in questo caso più dalla comodità di trovare degli stereotipi preconfezionati che dall'indagine su una complessità, che questa autrice sembra ignorare.
A dire il vero, comunque, già il titolo del film ci avverte che al musicista è affidato soltanto un ruolo da comprimario dell'azione: la vera e propria protagonista è infatti Anna Holtz, giovane musicista con ambizioni di compositrice che si ritrova per caso a dover fare da copista al Maestro. In tal modo, ai già penosi e risibili dialoghi, possono aggiungersi battute da misoginia d'antan per colorire l'atmosfera. Anche la povera Anna si rivela però un'esile figurina, forse a causa della scarsa maestria della sua interprete, Diane Kruger (sicuramente più credibile come bellezza mitteleuropea che come Elena di Troia, ma irrimediabilmente monoespressiva).
Tuttavia, tra quella prima persona singolare e Beethoven, è naturalmente la musica a monopolizzare l'opera. Il film si occupa in special modo della ben troppo nota "Nona Sinfonia", con qualche incursione - da bravo Bignami - su altre opere (indimenticabile e assolutamente scult il momento in cui il vecchio Schlemmer suona con nostalgia Per Elisa nel suo studio). Ma cosa rende un film "musicale", oltre al fatto di riguardare un musicista? La regista pare rispondere con una regia agitata e con un insopportabile abuso di dissolvenze. I movimenti della macchina da presa inseguono ingenuamente le note, con l'unico esito di provocare un forte mal di mare. Il tema scelto dalla Holland avrebbe offerto molteplici aspetti interessanti per le sue intersezioni tra i piani sonoro e visivo, ma qui lo sguardo è sordo, la musica è cieca.
Purtroppo (o - si scusi la banalità - per fortuna), le nostre orecchie, come i nostri occhi, restano wide shut.
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