David Mackenzie
Follia
di Caterina Rossi
Tratto dal romanzo Asylum di Patrick MacGrath, e adattato per lo schermo da Patrick Marber (già sceneggiatore di Closer e Diario di uno scandalo), Follia racconta di una famiglia borghese - composta da padre, madre e figlioletto - che, nell'Inghilterra degli anni '50, si trasferisce in un manicomio, di cui l'uomo, Max Raphael (Hugh Bonneville), è stato promosso a vicedirettore.
Nella vita della coppia si insinuano due uomini: Peter Clever (un ottimo Ian MacKellen), l'anziano psichiatra che lavora nella clinica, e Edgar Stark (Marton Csokas), psicopatico uxoricida che è sulla retta via del risanamento, a cui Clever è legato morbosamente. Edgar e Clever, insieme al marito Max, vanno a costituire i 3 vertici del triangolo, nel cui baricentro è situata Stella. I tre uomini rappresentano la semplificazione e lo stereotipo di tre atteggiamenti precisi e opposti di vivere. Max Raphael è il marito innamorato per abitudine, arido di sentimenti, che non riesce a reagire ai comportamenti adulteri della moglie. Edgar è il folle per categoria, il paziente del manicomio, lo scultore appassionato e narciso, che per troppa passione e per cieca gelosia sfigura e uccide la prima moglie, e che troverà in Stella l'oggetto dei suoi desideri di possesso. Peter Clever è il manipolatore della situazione, regista oscuro che cura la follia, ma che agisce lui stesso in maniera folle, dirigendo a proprio piacimento il rapporto che si sviluppa tra gli amanti Stella e Edgar: un amor fou animalesco che si trasformerà ben presto in qualcosa di brutale e rischioso.
Le problematiche inerenti alla rappresentazione, nel film di Mackenzie, iniziano a prendere forma proprio a partire da questa definizione manichea dei personaggi, la cui maschera drammaturgica è scarna e limitata, oltremodo semplificata. Questa tendenza alla semplificazione si riversa anche nella regia asciutta e misurata, controllata a tal punto da sembrare fredda. Inevitabile, dunque, ingenerare un distacco anche nello spettatore. La follia, argomento complesso e profondo, timore atavico dell'essere umano perché inspiegabile e tuttora ancora quasi totalmente inaccessibile alla razionalità medica, viene adattata ai codici base del melodramma. Il mèlo si inserisce perfettamente nel rapporto che si instaura tra il figlioletto e la madre Stella. Nella scena cardine del film, la donna - ormai travolta dalla passione per Edgar e ridotta a un ectoplasma, consumata dalla passione che non può più vivere perché ritenuta dalla società pericolosa e sconveniente - lascia annegare il figlio a causa del sentimento folle che la fa distrarre fino al triste epilogo. Da questo momento in poi il meccanismo del mèlo viene iterato fino alla ridondanza: Stella verrà rinchiusa nello stesso manicomio di Edgar, e davanti alla possibilità di riscatto offerta dall'ambiguo Clever preferirà infliggersi la morte. Una successione di situazioni drammatiche che sfiorano l'eccesso.
Il contributo del regista alla rappresentazione della follia sfuma così in una linearità glaciale e codificata, opposta alla difficoltà di definizione del concetto stesso di pazzia, sfaccettato e inafferrabile. Ed è proprio l'inafferrabile, tradotto in una sequenza lineare, a deteriorare l'ingranaggio della pellicola di Mackenzie, nonostante i buoni presupposti della sceneggiatura.
FOLLIA
(Gran Bretagna, 2005)
Regia
David Mackenzie
Sceneggiatura
Patrick Marber
Montaggio
Colin Monie
Fotografia
Giles Nuttgens
Musica
Mark Mancina
Durata
93 min