Lar Von Trier
Dogville
di Nicola Pratali
Nel buio della sala, pronti per andare giù, nel profondo. Calati, come una sonda chirurgica, da una macchina da presa sterilizzata. Eccola Dogville, il "villaggio del cane"? Ma andiamo con ordine.
Tutti sono rimasti stupiti (me compreso), per la scelta di una scenografia teatrale (o meglio teatrale antiteatrale) alla Brecht, con tanto di scritte e case disegnate col gesso. Stupisce non per la novità in sé della scelta metateatrale, quanto perché è la prima volta che il cinema si fa vedere così nudo, o meglio spoglio.
Perché in realtà, il cinema qui è ben nascosto, celato dietro i suoi meccanismi, ormai consueti (come il montaggio spezzato alla Godard, o la macchina da presa in spalla), che non ci stupiscono più, magari ci affascinano.
Dal punto di vista cinematografico, il film di von Trier sembra piuttosto (paradossalmente) conservatore, quasi voglia proteggere un certo tipo di cinema (prima d'avanguardia, ora inevitabilmente divenuto cinema per eccellenza): non apporta particolari novità al linguaggio filmico, apparte quelle inquadrature vertiginose, dall'alto, con i personaggi insieme pedine e cavie di un gioco sadico ma necessario. Inquadrature figlie del nostro tempo, che ricordano inevitabilmente certi videogiochi simulatori di vita.
La grandezza di questo film risiede tutta nell'uso perfetto del cinema, del guardare e del mostrare, per svelare, andare oltre: non oltre il cinema, ma oltre le apparenze, della vita e del cinema.
Perché, dunque, queste scelte scenografiche, le case invisibili (a noi soltanto, perché guidati dalla macchina da presa-sonda), le scritte col gesso? Credo che dobbiamo partire dal presupposto sacrosanto che in un'opera d'arte, forma e contenuto debbano coincidere, e partendo da qui possiamo individuare il vero protagonista del film che non è né Grace, né il giovane pseudofilosofo: è il cane, Mosè. Mosè è invisibile, come le case. Grace arriva, la grazia, bellissima, impaurita, inseguita da un mondo (i gangster) dove non può sopravvivere e da cui cerca rifugio, ingenuamente convinta che esista altro, che esiste di meglio. Piena di sussiego, pronta a perdonare, pronta a sacrificarsi.
Arriva a Dogville e ruba l'osso a Mosè, alla bestia.
Da questo momento in poi Grace si incammina verso la consapevolezza, verso la metamorfosi, va incontro al lupo che è in lei: gli abitanti l'accerchiano con i loro bisogni, le loro richieste, che la rendono schiava, animale da soma, animale. Vogliono ciò che lei rifiuta: vogliono il potere. Il potere, la prevaricazione dell'uomo sull'altro uomo, e lei offre loro una squallida giustificazione : lei si è cacciata nei guai, loro l'hanno accolta, in fondo. Ma il potere non basta. Vogliono sfruttarla nel più abietto dei modi, la trasformano in oggetto sessuale che appaga le loro pulsioni più bestiali, sesso come possesso materiale e soddisfacimento primitivo.
Indimenticabile l'episodio dello stupro: qui emerge tutta la forza visiva della scelta scenografica; con questa sola immagine si svela la violenza taciuta ipocritamente. Ciò che separa privato da pubblico, ciò che cela le pieghe più nascoste dell'animo umano rivela la sua natura convenzionale, il patto sociale su cui si regge la nostra civiltà.
Protagonista è l'assenza visiva.
È ciò che non vediamo che qui agisce, che influenza la vita di Dogville (e la nostra). Questo film ci mostra quello che di solito non vediamo o non vogliamo vedere. Ci mostra ciò che l'uomo da sempre cerca di negare a se stesso: la sua natura diabolica, malvagia, avida e affamata di potere. Non a caso alla fine Grace, violata, stuprata, sfruttata, reificata, rinuncia al suo sussiego (come le dice il padre gangster) e impara velocemente che non resta che far torto o patirlo. Assapora l'osso di Mosè, la vendetta, l'odio, la belva che trama nella sua natura umana.
Grace, da grazia a disgrazia, vendicatrice furiosa, uccide, distrugge, anche le case invisibili (la nostra civiltà, seppur traballante), ma qualcosa rimarrà sempre, indistruttibile. Mosè.
Ed è di lui che Grace avrà pietà, lei che non ne ha avuta neanche dei bambini….
Il viaggio di Grace è finito. Ora conosce, ora sa che l'uomo non può fuggire da se stesso. E dal suo Mosè. Anche noi ci allontaniamo. E per la prima volta Mosè appare, rivolto verso di noi, minaccioso, ringhiante. Ora lo conosciamo anche noi.
DOGVILLE
(Danimarca, Svezia, Francia, Norvegia, Olanda, Finlandia, Germania, Italia, Giappone, USA, UK, 2003)
Regia
Lars Von Trier
Sceneggiatura
Lars Von Trier
Montaggio
Molly Marlene Stensgård
Fotografia
Anthony Dod Mantle
Durata
135 min