Jane Campion
In the cut
di Roberto Braga
Nel giardino di Franny, una docente universitaria e scrittrice, viene rinvenuto un arto dell'ultima vittima di un efferato serial killer. Franny viene coinvolta nelle indagini del caso portate avanti dal detective Malloy: tra i due si instaura subito un intenso legame in bilico tra l'incertezza sull'identità dell'assassino e il fascino di un impetuoso rapporto amoroso.
Jane Campion, dopo essersi misurata con la commedia in Holy Smoke, si cimenta con il thriller-polizziesco di In the Cut il cui plot è decisamente poco entusiasmante: la prima parte del film si dilunga nella presentazione dei personaggi e del contesto, fornendo piccoli indizi e suggerimenti che la seconda parte del film cerca di camuffare nel tentativo di sviare lo spettatore per poi sorprenderlo con un colpo di scena inaspettato che purtroppo risulta decisamente scontato.
Ma a Jane Campion, è chiaro, non interessa misurarsi con i canoni inflessibili del genere e ne paga le conseguenze: per la regista il thriller è solo "un contenitore per ospitare una riflessione sul mito romantico nella società occidentale". L'autrice aveva già abituato il suo pubblico ad accostarsi a femminilità complesse a confronto con una società patriarcale e fallocentrica e anche questa volta ritorna sui temi a lei più cari.
Al centro dell'interesse del film c'è l'istituzione del matrimonio: il serial killer che come rituale pre-sacrificio usa sposare le proprie vittime, i ricordi della protagonista circa il fidanzamento della madre in una sequenza seppia dalle atmosfere cinquantesche, Pauline che sogna di essere sposata almeno una volta nella vita sono tutti spunti per una decisiva disarticolazione del mito del fidanzamento e del matrimonio tanto radicato nella cultura e nell'immaginario cinematografico americano. E nessuno meglio di Meg Ryan poteva interpretare questo ruolo. Se la prima candidata al ruolo era Nicole Kidman, che si è poi ritagliata il ruolo di produttore esecutivo, la scelta della fidanzatina d'America non poteva essere che la migliore. La Ryan ci dà un taglio con i riccioli biondi, le battute frizzanti e gli orgasmi simulati: questa volta fa sul serio! Jane Campion la imbruttisce, le unge i capelli, la veste male e la fa pestare a sangue. Il risultato è un'interpretazione davvero sorprendente.
La regista pedina la protagonista con macchina a mano nei bassi fondi di un New York decadente e degradata, dove si vive tra un night club, uno squallido bar e una metropolitana piena di citazioni letterarie che suonano agli occhi della protagonista come moniti e presagi. La New York messa in scena dalla Campion è tappezzata di bandiere americane che portano l'attenzione sull'identità americana post 11 settembre: e ancora una volta Mag Ryan diventa metafora di questa identità nazionale in fase di ricostruzione. Proprio come è in ridefinizione la carriera della diva che ha trovato nel film un ottimo strumento di rilancio. Il battage polemico-pubblicitario suscitato dalle scene di sesso del film ha fatto gran parte del lavoro: la Ryan così è riuscita a battere le colleghe Kidman e Roberts sul campo. In the cut, infatti, con un numero di copie in circolazione inferiore rispetto a La macchia umana, è riuscito ad incassare quasi quanto il film con la Kidman e ha sconfitto Mona Lisa Smile.
Anche se il plot di In the Cut è ridotto all'osso e pertanto banale e scontato, rimane innegabile la bravura della regista a lavorare sulla dimensione visiva. Impeccabile anche l'inizio del film: Jane Campion maestra dell'incipit cinematografico riesce sempre ad ancorare il proprio pubblico alla poltrona nei pochi minuti iniziali di ogni pellicola. Come già fece con la leggerezza suadente della macchina da presa che chiudeva in una folata di fumo in Holy Smoke, o nell'incipit "anacronistico" di Ritratto di signora, anche in In the cut l'autrice racchiude in pochi minuti l'essenza del film: sulle note di Que serà, serà scorrono le immagini dei sobborghi di New York e quelle di una stucchevole sequenza di pattinaggio su ghiaccio… ma la lama di uno dei pattini lascia un profonda ferita sanguinante nel lastra ghiacciata. Proprio questa sequenza virata in seppia, che ritorna più volte nel film, è uno degli elementi più visionari che danno mordente al film, facendo ricordare le sequenze oniriche riprodotte come un film surrealista di Ritratto di Signora o le allucinazioni mistiche di Harvey Keitel in Holy Smoke. Anche in questo caso gli innesti animati di In The Cut hanno la funzione di portare alla luce la natura profonda dei personaggi, svelare il loro lato oscuro e le inquietudini di un'identità sessuale in mutazione.
In the cut, in definitiva, è un film campioniano nascosto dietro la formula del thriller. Tutti gli elementi tematici, narrativi e stilistici della regista sono presenti: la costruzione narrativa per anticipazioni (meccanismo usato in modo esemplare nella sceneggiatura premio Oscar di Lezioni di Piano e che in questo caso stenta a funzionare al meglio), l'uso coraggioso del materiale erotico sempre splendidamente coreografato (anche se le più belle scene realizzate dalla Campion rimangono i cunnilingus di Lezioni di Piano e di Holy Smoke, insieme alla sequenza di fantasticheria amorosa di Ritratto di Signora). Non mancano il gusto per il dettaglio e la raffinata ricerca stilistica al limite del manierismo soprattutto nell'uso dei fuori fuoco.
L'assenza di una solida struttura narrativa basata sulle regole del genere thriller, però, è la mancanza principale di In the cut: non basta il raffinato, anche se talvolta pretenzioso, uso di simbolismi o dei giochi di anticipazione per fare del film un thriller convincente. Sicuramente un plot più strutturato avrebbe aiutato ad incanalare le tematiche care alla regista in modo più funzionale, senza far sembrare il film un campionario di stilemi d'autore.
IN THE CUT
(Usa, Australia, 2003)
Regia
Jane Campion
Sceneggiatura
Jane Campion, Susanna Moore
Montaggio
Alexandre de Franceschi
Fotografia
Dion Beebe
Musica
Hilmar Örn Hilmarsson
Durata
113 min