Lars Von Trier
Dogville
di Claudio Cinus
Dogville è la paura dell'europeo Lars Von Trier nei confronti dell'America. O forse il disprezzo. Dogville è un paesino molto americano, sperduto e talmente piccolo che lo si può inquadrare dall'alto e ci sta tutto; e c'è così poca gente che tutti si conoscono, e tutti nascondono, dietro un perbenismo costruito in tanti anni di isolamento, una cattiveria e una ferocia che aspetta solo di uscire. Ma non può mica uscire contro il vicino di casa, che è come dire contro se stessi, perché lassù sono tutti uguali; bisogna aspettare un estraneo. E, bontà loro, va pure bene perché l'estraneo ha le fattezze un po' sgualcite ma ugualmente splendide di Nicole Kidman. L'estranea sta scappando da qualcuno, e ha bisogno di aiuto, e di un posto dove nascondersi. Gli abitanti di Dogville, da bravi cittadini americani, si mostrano dubbiosi, preoccupati di aiutare una criminale. Ma è un dubbio fasullo, perché in cuor loro sanno di aver trovato lo strumento attraverso cui sfogare la loro disumanità repressa. La accettano, lei si sente benvoluta, ma piano piano, in maniera sempre impercettibile ma inesorabile, capisce di non essere più un'ospite ma una preda. I bravi, buoni, onesti, diligenti e religiosi cittadini americani non hanno mai pensato di fare del bene all'estranea, ma hanno solo finto, per poi ottenerne i benefici voluti. Quindi forse Dogville è la paura che l'America, con la scusa di aiutare gli estranei (tutto il resto del mondo?) voglia solo pensare ai propri interessi. E anche il disprezzo per una società di cui conosociamo tutti i lustrini, ma dietro i quali non riusciamo a guardare; Von Trier abbatte tutte le pareti, lascia che Dogville sia solo un paese disegnato sul pavimento di un teatro di posa, e fa ben notare agli spettatori, che forse avrebbero preferito mantenere un atteggiamento indifferente, quante nefandezze vengano compiute, e siano chiaramente percepibili anche dalle brave persone del paese che, però, a pochi metri, fanno finta di nulla.
Dogville è l'America immaginata, un incubo sognato che si affaccia sull'Elm Street del minuscolo centro (riferimento involontario agli incubi dall'inconscio di Wes Craven?). Possibile però che il signor Lars Von Trier se la prenda solo con gli americani? Non sia mai. Anche l'estranea, la Kidman, ha le sue colpe, perché subisce quel che accade senza fiatare, accettando la superiorità dei bravi residenti di Dogville come un atto dovuto; come se la sua apparente debolezza fosse una valida giustificazione per il comportamento degli abitanti. Come dire: anche chi subisce passivamente la supremazia degli Usa ha le sue colpe, tanto più se ha i mezzi per ribellarsi. Basta così? Eh no, il signor Von Trier disprezza anche gli spettatori, almeno quelli italiani; troppo stupidi, forse, o semplicemente sonnolenti, per poter rimanere tre ore di fila al cinema a vedere un film, che chissà quanti popcorn ci vogliono! Allora, via 45 minuti di pellicola, a uso e consumo di un pubblico decerebrato il cui livello di attenzione fuori dallo schermo televisivo è troppo basso. Oh, ma che onore essere considerati degli "Idioti" da un genio come Von Trier! Anche questo non trascurabile misfatto conferma come questo signore danese continui ad avere la fissa di manipolare i sentimenti del pubblico come un piccolo padreterno; chi ci casca rischia di infradiciarsi di lacrime e fare la figura dello stupido, chi resiste loda il gioco del regista e lo considera un talento inarrivabile. Così anche Dogville è ambiguo, a seconda di come lo si guarda, perché tutto ciò che si pensa di capire potrebbe solo essere quel che Von Trier vuole farci credere.
Davvero l'America è così malvagia? Oppure questo giudizio è influenzato da un sentimento da sempre latente, il cosiddetto antiamericanismo, ora tanto di moda in Europa? Cioè, Von Trier esprime il suo pensiero o usa un film per indirizzare quello degli spettatori? E usa la soluzione tecnica estrema della scenografia teatrale con il preciso e illuminante intento di smascherare la falsità del mondo che descrive, o solo con il gusto beffardo del regista senza vere idee che sfrutta il desiderio dell'interpretazione a tutti i costi? Se ci fossero delle risposte univoche, decifreremmo il mistero Von Trier; e se lo decifrassimo, rischieremmo di togliergli il suo attraente, malsano e fastidioso fascino, o peggio ancora rischieremmo di esporci ai suoi ulteriori sberleffi. Non vale la pena di dargli questa soddisfazione.
DOGVILLE
(Danimarca, Svezia, Francia, Norvegia, Olanda, Finlandia, Germania, Italia, Giappone, Usa, Uk, 2003)
Regia
Lars Von Trier
Sceneggiatura
Lars Von Trier
Montaggio
Molly Marlene Stensgård
Fotografia
Anthony Dod Mantle
Musica
Peter Grant
Durata
135 min