Alessandro Piva
Mio cognato
di Valerio Sammarco
Bari. Giorni nostri. Palesemente controvoglia, Vito si presenta al battesimo del primogenito di Toni, fratello della moglie, suo cognato. Proprio durante la cerimonia, però, la macchina del primo – acquistata da pochissimo – verrà rubata. A sua volta di malumore, Toni deciderà di aiutare il cognato a ritrovarla.
Questo il pretesto che dà inizio all'ultimo lungometraggio dei fratelli Piva. Il furto dell'auto (e del "miracoloso" ritrovamento) – idea che nasce da un fatto reale raccontato al regista – darà modo ai due protagonisti di conoscersi meglio, impegnati entrambi nella ricerca del veicolo, attraverso il buio della città e il suo malavitoso sottobosco. Meandri di un mondo che Toni, chiamato "il professore" – poiché in possesso del diploma di terza media –, sembra conoscere molto bene, popolato da loschi figuri (tutti attori del vivaio locale, veri elementi "naturali" a dare consistenza e vita al tessuto urbano) e motore nascosto degli ingranaggi che regolano le giornate in "superficie". Come in una discesa agli inferi, dunque, Vito/Dante sarà accompagnato da Toni/Virgilio in questo viaggio discendente, alla volta di un microcosmo che pullula in continuazione e che accoglie lo sprovveduto Vito sempre con la stessa domanda, "ma tu sei di Bari?".
Chiamati al delicato compito di non tradire le attese dopo i riconoscimenti per LaCapaGira, lo sceneggiatore e il regista dimostrano di essere riusciti a mantenere vivo il loro gusto verso "un'originalità dello sguardo", pur mettendosi in gioco con un lavoro ben più impegnativo rispetto al precedente. Impegnativo soprattutto perché li mette di fronte ad un modo nuovo di fare cinema, al cospetto di due grandi attori (laddove Rubini riempie lo schermo con una performance che arricchisce il già ben tratteggiato personaggio, non è da sottovalutare la prova di Lo Cascio, davvero bravo a racchiudere nei timidi movimenti, nei silenzi, il suo essere completamente estraneo al "mondo" che scoprirà in questa notte "di formazione") e, cosa ben più evidente, al cospetto di una produzione non più "artigianale", come nel caso del primo lungometraggio. Oltre agli evidenti rimandi territoriali (qui, come ne LaCapaGira, ci si muove nella Bari notturna e nella criminalità che da essa prende le mosse) scorgiamo una sorta di ideale staffetta a legare il film di oggi a quello di ieri: in un attimo, quasi impercettibile, i due protagonisti di oggi fanno tappa nella saletta che caratterizzava i movimenti della vicenda di ieri, quasi a voler vedere se, a distanza di qualche anno, in quel luogo continui ad esistere tutto regolarmente.
Mantenendo dunque il contorno che caratterizzò il film d'esordio – optando stavolta per un dialetto meno esasperato e, pertanto, senza bisogno dei sottotitoli – e facendo leva su personaggi dalle fattezze ben marcate e dai soprannomi indimenticabili, come Sandokan, Saddam e il misterioso Marlon Brando, Piva si cimenta in un prodotto che sicuramente si fa apprezzare, strizzando forse un po' troppo l'occhio alla cinematografia mondiale, acquisendo un po' qua un po' là dal Cane randagio di Kurosawa o, si è detto, da Il sorpasso di Risi, ergendo ad icona di un Essere la potente cabrio rossa fiammante di Toni sulla quale i protagonisti impareranno a conoscersi.
Inizialmente pensato con il titolo Vito, morte e miracoli, di sicuro più ammiccante nella forma, figlia di un gioco linguistico divertente, esce invece nelle sale come Mio cognato, scelta di inferiore impatto, ma evidente tributo ad un gioco – non più di parole – ma di concetto: non è la storia di uno, ma di due cognati. Ingiusto sarebbe stato, dunque, partire già dal titolo ponendo l'attenzione su uno solo dei protagonisti.
Anche stavolta supportato dalla fotografia di Gian Enrico Bianchi e dalle musiche di Ivan Iusco, capaci entrambi di accompagnare il ritmo della narrazione in modo convincente, il film sembra decretare il definitivo passo verso l'affermazione autoriale di Piva, bravo a lasciarsi nuovamente suggestionare dagli aneddoti sparsi che la realtà presenta, furbo nell'utilizzare rimandi a volte anche palesi, non eccessivamente coraggioso dal punto di vista stilistico, forse non più completamente "libero" come risultava dal precedente, primo lavoro.
MIO COGNATO
(Italia, 2003)
Regia
Alessandro Piva
Sceneggiatura
Alessandro Piva, Andrea Piva, Salvatore De Mola
Montaggio
Thomas Woschitz
Fotografia
Gian Enrico Bianchi
Musica
Ivan Iusco
Durata
90 min