Marco Bellocchio
Buongiorno, notte
di Rosario Sparti
"[…] Come colui che sognando vuole sognare", Dante Alighieri
Mezzanotte, l'ora in cui accadono le cose più insolite. L'ora in cui si sogna e si evade dalle gabbie della realtà. Le gabbie in cui ci si può rinchiudere – o essere rinchiusi - come canarini che sognano di scappare ma invece vengono divorati. Marco Bellocchio ci parla esattamente di questo nel suo ultimo film, vittima d'un raggiro al festival di Venezia e che ora conquista sul campo il suo premio. Un film che vive dell'oscurità; di ossimori e contraddizioni come il titolo stesso – da un verso di Emily Dickinson Buongiorno, mezzanotte, poi modificato dal regista -; di occhi che parlano da soli, che osservano e vengono osservati; un film che parla di padri e madri ma soprattutto di sogni che finiscono (forse) ed incubi che iniziano (purtroppo).
Il regista piacentino affronta, disinteressandosi quasi del tutto degli intrighi politici, quell'affaire Moro che più volte nel nostro cinema è stato portato sullo schermo in maniera soventemente troppo politicizzata o didascalica; Bellocchio invece fugge dal documentaristico scegliendo la via dell'onirico con un continuo sovrapporsi di realtà/sogno e trama/sottotrame. Il punto di vista nella storia è quello di Chiara (la bravissima e "nonostante faccia di tutto per non sembrarlo" bellissima Maya Sansa), la brigatista che conduce una doppia vita (o addirittura terza considerando la vita onirica) tra le Br ed il suo lavoro d'impiegata ed è proprio grazie a questa finestra sul mondo tenuta aperta che si insinua il dubbio. Ogni dubbio impone la ricerca di conferme ed è così che Chiara sovente cerca sicurezza nel guardare il prigioniero dallo spioncino come una madre che si rassicura che il suo bimbo sia tranquillo e dorma placidamente.
Un sonno che avvolge l'intero appartamento dove è rinchiuso Moro, probabilmente quel sonno della ragione di cui parlava Goya.: il sonno che genera mostri. Bellocchio spesso ridicolizza i brigatisti magari non mostrandoceli masturbarsi oppure intenti a leggere "Tex", ma piuttosto farsi il segno della croce prima di cenare, ad arrabbiarsi nella ricerca della fidanzata e soprattutto nell'essere totalmente succubi della ideologia; sono come alieni (ma allo stesso tempo il regista li umanizza mostrandoceli nella loro banalità quotidiana) che parlano un'altra lingua e che scandiscono militarmente massime, cristallizzati ed ingessati come le manifestazioni del regime stalinista. Facendo un paragone azzardato, se Charles Manson rappresenta la fine dell'estate dell'amore negli USA, l'uccisione di Moro pone fine a tutti i sogni utopistici sessantottini italiani; ma il regista sa che l'unica via di fuga dall'incubo è l'immaginazione ("necessaria" come fa dire al personaggio dello scrittore) ed è per questo che concede a Chiara la possibilità di scappare dalla prigionia sognando la conclusione della detenzione di Moro. La fuga catartica di Moro scandita dal momento musicale di Schubert rappresenta la necessità dell'utopia che si contrappone alla crudeltà dei momenti più intensi ed allo stesso tempo politici ben sottolineati dalla violenza psichedelica della musica dei Pink Floyd.
Il regista traccia in Moro la figura del padre/autorità che era assente o veniva condannata nei suoi film precedenti, ma adesso viene celebrata forse non per mancanza di spirito rivoluzionario ma per sopravvenuta scoperta di una forza mitigatrice intelligentemente necessaria (non a caso il film è dedicato al padre). Un padre lasciato da solo in balìa (ma anche in balia) ai suoi figli/Crono che decidono di uccidere l'autorità/Urano pensando così di poter fare il gesto rivoluzionario per eccellenza, ed intanto i volti dei "soliti noti" ci sfilano davanti, lasciandoci in un futuro ormai presente, con un finale che pare bisbigliarci all'orecchio "Buonanotte, giorno".
BUONGIORNO, NOTTE
(Italia, 2003)
Regia
Marco Bellocchio
Sceneggiatura
Marco Bellocchio
Montaggio
Francesca Calvelli
Fotografia
Pasquale Mari
Durata
105 min