Daniele Ciprì, Franco Maresco
Il ritorno di Cagliostro
di Roberto Donati
Un telegiornale annuncia un importante ritrovamento cinematografico: le pizze del film Il ritorno di Cagliostro, diretto nel 1950 dal mentecatto Pino Grisanti, interpretato dal divo americano in declino Errol Douglas, e prodotto dai fratelli Carmelo e Salvatore La Marca, ex fabbricanti di statue sacre che tre anni prima avevano coronato il loro sogno artistico fondando la Trinacria Cinematografica. Impresa che naufragherà miseramente, anche per l'interessamento diretto della mafia americana collusa con Cosa Nostra siciliana.
Terzo lungometraggio della coppia di CinicoTv, realizzato dopo penose vicissitudini produttive (il montaggio originale durava addirittura tre ore) e infine approdato a Venezia: come detto dagli stessi autori, un omaggio a un certo tipo di cinema (e alla fine dei sogni a esso legato) e di mentalità, arricchito di inserti spiazzanti, vaghe lynchiate, umorismo verde e doloroso preso dalla tradizione letteraria siciliana-meridionale, riferimenti evidentemente autobiografici, interviste e testimonianze di reali critici cinematografici (come Tatti Sanguineti e Gregorio Napoli, critico del Giornale di Sicilia) e di un profluvio di citazioni, allusioni e connessioni al mondo del cinema (povero e non, di genere e alto), dal Cagliostro con Welles a Erroll Flynn, che il personaggio di Englund richiama apertamente.
La grande attesa finisce per aumentare il senso di delusione: nell'universo di Ciprì e Maresco tutto è destinato a cambiare perché tutto, alla fine, resti immutato, e non c'è posto per gratificanti aspetti favolistici; e così, spazio di nuovo a una qui-non-necessaria umanità mostruosa e stracciona, dove le donne (tranne la moglie dell'attore Douglas, il nome della cui attrice è scritto erroneamente nei titoli di coda) sono interpretate da uomini e dove la comicità provocatoria coincide con la volgarità e si fa meccanica, poco sulfurea perché studiata a tavolino, estremamente prevedibile ma ancora capace di guizzi di sincera intelligenza.
Di nuovo, il contrasto fra la materia laida raccontata, pur meritevole di rispetto e attenzione, e la ricercatissima cura formale che potrebbe, erroneamente, far pensare a una ricca produzione di intenti neorealisti (la fotografia è, stavolta, dello stesso Ciprì, il montaggio di Fabio Nunziata, i costumi di Patrizia Quaranta) appare velleitario e già pericolosamente datato: la ricerca dell'effetto sconvolgente (palese anche nella presenza di un'innocua sorpresa dopo i titoli di coda) predomina costantemente sulla misura, le tinte grottesche appaiono incapaci di sfumature gentili e tocchi amabilmente sotto le righe e il loro metodo rischia sempre l'esaltazione o la detrazione senza rimedio.
La virata realistica finale, con l'apparizione del nano (Marotta) della vecchia pubblicità della Kodak che fa tanto Twin Peaks, ha scontentato praticamente tutti, ma forse è il vero colpo d'ala di un film che non cerca il pubblico, che dimostra qualità e arguzia (esemplare il fatto di sottotitolare sia l'inglese sia il siciliano), ma che sotto sotto è piuttosto commerciale, conferendo quel tono di ambigua amarezza da fine dei sogni a una sorta di reportage documentario che continua comunque a interrogarsi sul farsi cinema e sulla tautologia cinematografica
IL RITORNO DI CAGLIOSTRO
(Italia, 2003)
Regia
Daniele Ciprì, Franco Maresco
Sceneggiatura
Daniele Ciprì, Franco Maresco
Montaggio
Fabio Nunziata
Fotografia
Daniele Ciprì
Musica
Salvatore Bonafede
Durata
103 min