Lars Von Trier
Dancer in the dark
di Gianluca Moro
L'apertura è quella di uno schermo cieco, e una musica in primo piano. Tattilità che sussurra ai cinque sensi dello spettatore e all'interpretazione; violenza espressionista, tra ellissi e ostensione, dire e celare. Scatola occhiali corda bandiera: (s)oggetti di significazione aperta, dove parola si mostra solo tra parentesi o per negazioni.
Dancer in the Dark non è un musical, ma un suo specchio ironico, rovesciato: attraversa i generi passando per punti di vista difformi su una linea melodica che insieme a Delitto e castigo taglia La passione di Giovanna d'Arco e Decalogo, 5. Colpa, innocenza, libero arbitrio sono i cardini di una porta che non promette alcuna stanza di salvezza.
In un mondo incomprensibile, unica fuga rimane il sogno ad occhi aperti (o chiusi) del musical, dove "non succede mai niente di brutto". Se all'inizio il sogno è una pausa nella narrazione della "vita reale", canzone dopo canzone esso si sovrappone al "tempo reale" fino a confondere il gioco del verosimile, quasi che il musical sprigionasse l'unica fantastica verità rispetto a un mondo dove "non c'è più niente da vedere".
E' impossibile semplificare opponendo luce e ombra, suono e vista, silenzio e rumore, meccanico e naturale, perché ogni elemento fa l'amore col suo opposto e si scioglie in mille sfumature. Il frastuono abituale diventa musica, il rumore fastidioso è quello di una società carnefice che, incapace di comunicare, crea un linguaggio di infinite opposizioni.
E' la cecità del "cuore sociale", che ha cessato di battere un ritmo, cantare un paesaggio, abbandonarsi allo sguardo emotivo. Se niente può essere "contro la procedura" lo spazio della libertà è affidato alla denuncia esistenziale e artistica di Selma, interpretata e cantata da Bjork come nuovo urlo di Munch.
Si respira sottile la poetica di "Dogma 95" nella libertà di composizione (primi piani fuori quadro, giocosità della messa a fuoco), nell'uso straniante della cinepresa che indaga come nuovo cine-occhio oscillante. Il montaggio inventa un ritmo-emozione sotto la disarmonia superficiale della storia, imprimendo un'armonia violenta che narra insieme rumori azioni umori movimenti di macchina (da presa o da pressa? Forse in questo gioco è la lotta tra vita e morte della vista, del cinema come lucida evasione critica) colori.
La fotografia si traveste secondo il contesto, fino a essere nei musical sovraccarica: surreale o viceversa iperreale. Il paesaggio non concede possibilità di fuga, ma guardando in alto sembra piovere una semplice frase. Meglio essere nuvole che soli.
DANCER IN THE DARK
(Danimarca, 2000)
Regia
Lars Von Trier
Sceneggiatura
Lars Von Trier
Montaggio
M. Stensgaard, F.Gedigier
Fotografia
Robby Muller
Musica
Bjork
Durata
139 min