L'apertura è quella di uno
schermo cieco, e una musica in primo piano. Tattilità che sussurra
ai cinque sensi dello spettatore e all'interpretazione; violenza espressionista,
tra ellissi e ostensione, dire e celare. Scatola occhiali corda bandiera:
(s)oggetti di significazione aperta, dove parola si mostra solo tra
parentesi o per negazioni.
Dancer in the Dark non è un musical, ma un suo specchio ironico, rovesciato: attraversa i generi passando per punti di vista
difformi su una linea melodica che insieme a Delitto e castigo
taglia La passione di Giovanna d'Arco e Decalogo, 5. Colpa,
innocenza, libero arbitrio sono i cardini di una porta che non promette
alcuna stanza di salvezza.
In un mondo incomprensibile, unica fuga rimane il sogno ad occhi aperti (o chiusi) del musical, dove "non succede mai niente di brutto".
Se all'inizio il sogno è una pausa nella narrazione della "vita
reale", canzone dopo canzone esso si sovrappone al "tempo
reale" fino a confondere il gioco del verosimile, quasi che il
musical sprigionasse l'unica fantastica verità rispetto a un
mondo dove "non c'è più niente da vedere".
E' impossibile semplificare opponendo luce e ombra, suono e vista, silenzio e rumore, meccanico e naturale, perché ogni elemento
fa l'amore col suo opposto e si scioglie in mille sfumature. Il frastuono
abituale diventa musica, il rumore fastidioso è quello di una
società carnefice che, incapace di comunicare, crea un linguaggio
di infinite opposizioni.
E' la cecità del "cuore sociale", che ha cessato di battere un ritmo, cantare un paesaggio, abbandonarsi allo sguardo emotivo.
Se niente può essere "contro la procedura" lo spazio
della libertà è affidato alla denuncia esistenziale e
artistica di Selma, interpretata e cantata da Bjork come nuovo urlo
di Munch.
Si respira sottile la poetica di "Dogma 95" nella libertà
di composizione (primi piani fuori quadro, giocosità della messa
a fuoco), nell'uso straniante della cinepresa che indaga come nuovo
cine-occhio oscillante. Il montaggio inventa un ritmo-emozione sotto
la disarmonia superficiale della storia, imprimendo un'armonia violenta
che narra insieme rumori azioni umori movimenti di macchina (da presa
o da pressa? Forse in questo gioco è la lotta tra vita e morte
della vista, del cinema come lucida evasione critica) colori.
La fotografia si traveste secondo il contesto, fino a essere nei musical sovraccarica: surreale o viceversa iperreale. Il paesaggio non concede
possibilità di fuga, ma guardando in alto sembra piovere una
semplice frase. Meglio essere nuvole che soli.
|