Videoarte e sperimentazioni dell’immagine
Anomalie Visive
di Alessandro Amaducci
a videoarte è un fenomeno piuttosto curioso, per un semplicissimo motivo: anche in questo periodo in cui viene spesso citata, soprattutto in Italia, dove università e pubblico cominciano a ri-scoprirla, in realtà nessuno sa esattamente che cos'è. Mi spiego subito, anche per evitare fraintendimenti: ognuno ha un'idea diversa. C'è chi la considera l'ultima avanguardia degli artisti dediti alle performance, per cui il video serve più che altro a documentare e a mettere in scena l'artista. C'è chi parla di videoarte esclusivamente per quello che riguarda le videoinstallazioni che da semplici esposizioni di monitor o videoproiettori sono diventati sempre di più degli ambienti complessi, interattivi, multimediali, meglio con un qualche collegamento in rete, e via dicendo. C'è chi invece considera la videoarte come una sorta di continuazione tecnologica della tradizione dell'avanguardia cinematografica, e insegue gli autori, soprattutto americani, che più si adagiano a questo tipo di definizione.
Io personalmente ritengo che la videoarte sia una maniera di pensare, di sperimentare, e di usare l'immagine e il suono. E' sicuramente un linguaggio difficile da classificare o definire, ma è affascinante appunto per questo, tanto più che anche la tecnologia che usa è in continua mutazione e soprattutto la tecnologia di diffusione che sfrutta sta cambiando con una velocità notevole. Da autore di video e raramente di videoinstallazioni, preferisco studiare la videoarte, come si dice ogni tanto in qualche catalogo, monocanale, da fruire su un monitor solo. Questo più che altro per comodità, perché per studiare questa materia bisogna possedere, appunto, i materiali, e la copia di un video è più facile da ottenere piuttosto che una copia di una... videoinstallazione. E poi sono convinto che quando si lavora su un monitor solo l'attenzione sull'immagine, anche da parte dell'autore, è molto più alta che in una videoinstallazione, dove lo sguardo è distratto anche solo dallo spazio che lo circonda. La videoarte è un approccio all'immagine che forma un immaginario: sfrutta sicuramente gran parte del bagaglio visivo delle avanguardie storiche e più recenti, usando in continuazione una logica visiva che procede per sintesi, sinestesie, si concentra sulle forme, deborda spesso nell'astrattismo, se usa la narrazione può operare degli interessanti scarti linguistici, fa a meno volentieri della parola usando la musica, preferisce un corpo che danza o che agisce, si inventa nuove tecnologie e nuovi linguaggi per creare nuovi immaginari.
Come è successo a molta avanguardia, la videoarte è un fenomeno che si diffonde molto lentamente a macchia d'olio, e viene adottato prima dal mercato, dall'industria, e poi dalla critica, dagli ambienti culturali. Essendo un ambito di comunicazione in cui la tecnologia gioca un ruolo molto importante, molte invenzioni dei videoartisti sono adottate dalle case di costruzione di attrezzature video, fino ad arrivare al caso eclatante di Nam June Paik, videoartista coreano, adottato e sponsorizzato dalla Sony, che gli fornisce le nuove macchine da testare e sperimentare. Era successo così, tutto sommato, per la grafica futurista, adottata dal mondo della pubblicità, o per alcuni esponenti del surrealismo che, quando non chiamati direttamente dall'establishment hollywoodiano (Hitchcock e Dalì), si sono visti citati, più o meno volentieri, in molto cinema fantastico o fantascientifico.
Così accade per i videoartisti che sono saccheggiati, (e non uso questo termine in maniera polemica: tutta l'arte è fatta di riferimenti e di citazioni), soprattutto dal mondo dei videoclip e dall'industria del cinema ad effetti speciali. Chi più chi meno: Rybczynski, con i suoi effetti di moltiplicazione dello stesso personaggio, ultimamente è il più citato di tutti (a parte i videoclip di cui lui stesso è stato regista, la moltiplicazione del medesimo personaggio è un'immagine usata in Al di là della vita di Scorsese o in Essere John Malkovich di Spike Jonze, regista quest'ultimo non a caso di videoclip), così come Nam June Paik ha dato ispirazione a tutto il genere dei videoclip e ha inventato uno stile per le immagini astratte molto copiato. Ma la lista sarebbe lunga: i Vasulka, Robert Cahen, Bill Viola sono autori che in varia misura hanno sperimentato quel linguaggio delle immagini che, passando attraverso il filtro dei videoclip, ha permesso registi come Oliver Stone di poter fare Assassini nati con una certa tranquillità, sicuro che un certo tipo di pubblico (gli spettatori di MTV) si erano formati su quel tipo di immagini e di montaggio e non si sarebbero scandalizzati più di tanto. Senza contare le impaginazioni colte di Greenaway, che ha usato videoartisti come Ermeline Le Mezo per la gestione degli effetti speciali. Oggi come oggi basta avere una buona colonna sonora, e lo spettatore tende a tollerare qualsiasi stranezza visiva.
Lungi da voler criticare un fenomeno di questo tipo, trovo veramente interessante questo periodo di passaggio in cui il digitale sta mettendo insieme, in maniera a volte anche assurda, mondi diversi. Final fantasy è un esempio significativo di quello che sta succedendo, nel senso che i mondi che si stanno unendo sono quelli dell'immagine statica e dell'immagine dinamica. Voglio dire: c'è un ritorno ad un trattamento pittorico dell'immagine (come ad esempio in Dark soul), un ritorno a considerare la grafica e il fumetto un punto di riferimento importante che ha fatto ritornare in auge l'idea di animazione, non solo digitale. Il cinema d'animazione, il fumetto e la videoarte insieme possono essere una miscela esplosiva e altamente spettacolare e molti registi di Hollywood se ne sono resi conto. Soprattutto, la tecnologia digitale sta permettendo tutto questo con una discreta facilità e sta soprattutto abbattendo i costi.
Sono sicuro che da queste ibridazioni nascerà una nuova maniera di usare le immagini in movimento, anche perché l'industria delle proiezioni digitali ben presto abbatterà lo scoglio della distribuzione in pellicola, che è stato finora il vero e unico ostacolo ad un rinnovamento linguistico del mondo delle immagini dinamiche.