Citazionismo
di Mazamette
"La scena tra lei e Sandy Bates nel museo delle cere, era un omaggio a quel film dell'orrore con Vincent Price, La maschera di cera?", "Un omaggio...non esattamente, gli abbiamo fregato l'idea in blocco". Questa sagace battuta, tratta da Stardust memories (1980) di Woody Allen, introduce direttamente l'argomento trattato.
Superata la fastidiosa e ingombrante soglia del secondo millennio e, conseguentemente, sfatato quel mito di cambiamento che in tale limite sembrava essere implicito, la realtà del cinema contemporaneo si ripresenta con tutte le sue ambiguità. Se poco più di cinquanta anni addietro Feyder scriveva "Siamo appena all'adolescenza. Che dico? Al biberon, se si paragona l'età del cinema con quella della letteratura, della architettura e della musica" (Le cinema notre métier, 1946), ora possiamo affermare che la settima arte sia appena maggiorenne e, come tale, presenti le incertezze e i dubbi di quell'età.
Mettendo da parte l'aspetto contenutistico, il livello più problematico è incarnato dall'organizzazione della forma, intesa come criterio di plasmazione della rappresentazione a cui il citazionismo inevitabilmente appartiene. Infatti un dato oggettivo che connota la produzione di questi ultimi anni è la quasi totale mancanza di innovazioni che facciano progredire il linguaggio cinematografico. Maggiormente preoccupante risulta che questo compito sia affidato a espressioni - come quelle dogmatiche - che sono prive di quell'originalità che erroneamente (o acriticamente) si attribuisce loro. Ci si potrebbe quindi orientare verso le epocali variazioni del punto di vista imposte da Tarantino, ma si correrebbe il rischio di rimanere seriamente delusi scorgendovi - dopo un'accurata analisi - solamente la magistrale abilità di sintetizzare e mescolare i generi di un cinema a lui fin troppo familiare. D'altro canto il geniale Jackie Brown (1999) non è forse un omaggio al cinema americano classico, con Hawks, Kubrick e Welles in prima fila?
Di sintesi bisogna parlare anche riguardo gli sfavillanti Cohen, che con Il grande Lebowski (in cui si perde il conto dei riferimenti presenti) mettono il cappello a tutta una produzione volta alla rielaborazione degli stilemi cari alla storia del cinema. E, ancora, facendo un piccolo passo indietro, come non ricordare La ricotta (1963), in cui Pasolini ricrea, a tableaux vivants, le deposizioni di Volterra, del Rosso Fiorentino, e quella in S. Felicita a Firenze del Pontormo.
In questo caso comunque il citazionismo Pasoliniano non intende tanto ricostruire l'opera quanto piuttosto evocare le suggestioni pittoriche e le poetiche a loro connesse.
Ma se negli autori citati, pochi ma esemplari, questa opera di assimilazione conduce sempre ad un risultato altro, soprattutto se l'obiettivo perseguito è lo stravolgimento del modello "preso in prestito", fanno più riflettere altre opere presentate all'ultima edizione del Festival di Venezia. Una di queste è Merci pour le chocolate, l'ultima fatica di Chabrol. Il film dell'iper-produttivo settantunenne possiede tutti i codici della tradizione del brivido e si abbandona addirittura a espliciti richiami ad Hitchcock e a Lang. Ma se nel caso di Chabrol si può soprassedere - proprio perchè il regista francese è uno degli ultimi superstiti della Nouvelle Vague, che dell'omaggio ad autori famosi faceva una poetica - un giudizio meno indulgente è riservato a Tarsem e a Sally Potter.
The Cell e The man who cried riprendono, come ha prontamente rilevato Goffredo Fofi (Post-modernismo?, "Film Tv", anno 8, n¡ 41), le suggestioni dei grandi classici (Powell, Pressburger, Minnelli ecc.) rielaborandoli attraverso il gusto postmoderno.
Sarebbe inutile proseguire. Sembra quasi che la crisi personale denunciata da Allen nel suo film (e, purtroppo per lui, fin troppo profetica), si sia estesa a tutto il cinema.
Un cinema che potremmo definire manierista (nel senso deteriore il termine manierismo indica la riproduzione o l'alterazione compiaciuta e fine a se stessa di stilemi canonizzati da una tradizione) e che, a scapito dello spettatore in cerca di emozioni nuove, lesina immagini "vergini" riproponendo - troppo spesso - soluzioni sempre più contaminate.