Cinevideoclip
di Giuseppe G. Ciponte
Nella concitazione emozionale, tipica
del cinema contemporaneo, la popular music ha gradualmente assunto un
ruolo più importante, che consiste nel sospendere il flusso principale
del film e innestarvi un tempo tra parentesi scandito dalla durata della
canzone. Le normali gerarchie percettive si ribaltano: le immagini illustrano
la musica e non il contrario, il grande schermo spesso acquisisce la struttura
e il linguaggio del videoclip che a sua volta è figlio del cinema
come d'altra parte tutto l'audiovisivo.
Può sembrare stravagante ma in quest'ambito l'eredità
più importante è quella del muto non quella del sonoro:
qui non si fa riferimento solo alle esperienze delle avanguardie (surrealismo,
cinema astratto) ma anche alle comiche a rotta di collo in stile Mack
Sennett. Una strana coppia, avanguardia e cinema comico, che rispecchia
un aspetto determinante dell'immagine elettronica: la comunicazione dinamica
e veloce che tiene desto l'interesse senza esprimere necessariamente qualcosa
di significativo.
Il videoclip ha ereditato naturalmente anche dal cinema classico: in
particolare ha acquisito il concetto di star.
Ed era naturale visto che lo stesso soggetto, il cantante, è contemporaneamente
protagonista e "sceneggiatore" (in quanto depositario del "movente"
canoro): una sua continua autocelebrazione è scontata in qualsiasi
scenario e atmosfera.
Naturalmente il tipo di cinema con cui il videoclip intrattiene legami
più stretti è quello contemporaneo o post-moderno che dir
si voglia. In particolare molto frequente è l'uso della citazione,
il cinema clona se stesso e il videoclip clona il cinema: ad esempio la
clip di Karmacoma, il brano di maggior successo dell'album Protection
dei Massive Attack, è impostato completamente sulla citazione di
ambienti, costumi e situazioni di film famosi. Ci sono il corridoio e
le gemelle-fantasma di Shining, lo scrittore e il fuoco di Barton
Fink, è successo a Hollywood, c'è addirittura Mia Wallace
di Pulp Fiction, che era uscito nelle sale da pochi mesi.
Tra i film della storia del cinema che hanno influenzato più
direttamente lo stile dei videoclip c'è sicuramente Scorpio
Rising (1964) di Kenneth Anger, una delle opere più famose
del cinema underground americano.
Il film di Anger sembra quasi aver classificato l'iconografia della controcultura
qualche anno prima di Easy Rider: la pelle nera, le borchie, il
teschio che fuma la sigaretta marca "Youth", l'accostamento
tra Cristo (nello scadente film The Road to Jerusalem) e i "ribelli"
(James Dean e Marlon Brando), la realtà paragonata alla sua rappresentazione
(il cinema, il fumetto, l'illustrazione), l'uso ambiguo e pornografico
di simboli nazisti (i Sex Pistols ne sanno qualcosa), il mezzo di trasporto
come guscio di uomini-molluschi.
In Scorpio Rising troviamo non solo un inventario di immagini
ma anche di soluzioni formali che trent'anni dopo sono diventati quasi
dei cliché del videoclip. Un esempio particolarmente chiaro riguarda
i colori saturi e artificiali che caratterizzano l'immagine lisergica
dell'opera di Anger: viola, verde, rosso acceso, alternati al b/n. L'immagine
elettronica utilizza le stesse tonalità e le stesse combinazioni,
tanto che se qualcuno assumesse allucinogeni, dopo aver visto centinaia
di videoclip, avrebbe un'insopportabile sensazione di déjà-vu.
Un ulteriore elemento del rapporto tra cinema e videoclip è la
questione del ritmo.
Su questo parametro dell'immagine in movimento l'universo audiovisivo
ha sicuramente operato un "imbarbarimento" delle migliori esperienze
cinematografiche: il ritmo è il risultato di una differenza, di
un rapporto tra diverse componenti, ognuna con una sua velocità
interna, nei videoclip invece si scaricano addosso allo spettatore delle
vere e proprie diapositive, veloci dal punto di vista della successione
ma statiche dal punto di vista del ritmo interno. In pratica si produce
una sorta di "immoto perpetuo" della visione.
Ampliando il discorso, che finora si è limitato ad una ricognizione
puramente formale, conviene valutare anche i casi in cui i professionisti
dei due settori si sono scambiati di ruolo.
Quando i registi di cinema si sono cimentati nel videoclip i risultati
quasi mai sono stati incoraggianti: ad esempio Roman Polanski che ha girato
il videoclip de Gli Angeli per Vasco Rossi. La prova del regista
polacco è quasi imbarazzante: per tutto il tempo il Vasco nazionale
è "appeso" per aria a simulare un'improbabile fluttuazione
nei cieli.
Esiti migliori li hanno ottenuti Wim Wenders (Night & Day per
gli U2) e Spike Lee (che ha girato per Michael Jackson e Prince); probabilmente
nel loro caso c'è un interesse reale per la popular music e quindi
anche un impegno adeguato. In ogni caso il livello raggiunto non supera
la qualità che si riscontra nella maggior parte dei professionisti
del settore.
Non che la situazione migliori quando si rivolge l'attenzione sul percorso
contrario che porta dall'ambiente degli spot e dei videoclip al cinema.
Certo il transito è meno traumatico se il punto d'arrivo è
il cinema spettacolare, dove il montaggio concitato e gli effetti speciali
hanno un ruolo fondamentale: è il caso ad esempio dell'australiano
Russel Mulcahy che dopo aver diretto per i Duran Duran, Elton John e Madonna,
è passato al cinema, realizzando anche un successo come Highlander.
Più rischioso il passaggio al cinema con pretese autoriali: da
tempo gli appassionati attendono la prova cinematografica di Chris Cunningham.
Il regista inglese dopo aver prestato il suo talento fanta-psichedelico
a Bjork (All is full of love), Madonna (Frozen) e Aphex
Twin (Come to Daddy, Window Licker), sta ora lavorando ad
un adattamento dal romanzo culto del ciberpunk, il Neuromante di William
Gibson.
Cunningham è l'uomo che può sovvertire tutti i giudizi fin
qui espressi, aspettiamo fiduciosi.