Hong Kong - Hollywood Connection:
Forme di una metamorfosi (in atto)
di Giona A. Nazzaro
Ironicamente si potrebbe sostenere che dipende dalla quantità di film visti le novità (relative) del cinema che scopriamo. Che Joel Silver sia un personaggio centrale per comprendere l'evoluzione transgenerica del cinema d'azione americano è un fatto. Altrettanto evidente è come Silver abbia sistematicamente tentato di ricontestualizzare il furore e la visionarietà cinetica del cinema di Hong Kong attraverso una riscrittura high tech che sin da Commando (ma potremmo arretrare sino a I guerrieri della notte) non ha fatto altro (ma si tratta di una considerazione retrospettiva) che anticipare, evocare, prevedere la plasticità delle soluzioni visive di The Matrix.
Silver, attraverso il cinema di Hong Kong, esempio di un artigianato che vive ancorato strettamente alle proprie radici culturali - opera cinese in primo luogo -, cosa questa da non sottovalutare considerato che gli abitanti dell'ex colonia britannica sono sempre stati considerati i cinesi della diaspora, sembra aver intuito una forma fluida della messinscena dell'action movie la quale, in attesa del perfezionamento della grafica digitale, viveva essenzialmente come arte sopraffina del montaggio (basti pensare a quel gigante che è Mark Goldblatt).
Nella velocità d'esecuzione del wire work, nei salti di montaggio non conseguenziali, negli insistiti stacchi sull'asse, nel sincretismo dichiarato del poliziesco urbano dell'ex colonia inglese, Silver intuisce le forme future dell'action movie americano. Il problema è comprendere come adeguare quelle velocità a un sistema di messinscena (produttivo oltre che formale) che invece è ancorato saldamente a un principio di verosimiglianza che deriva in massima parte dalla trasparenza del cinema classico. E' evidente: la diffusione delle microtecnologie domestiche non aveva ancora alterato il principio di percezione delle immagini, nonostante l'estetica dei videoclip avesse già permesso all'action movie di raffinare il rapporto suono-immagine che il solo Peckinpah aveva intuito (qualche decennio prima) essere lo snodo centrale della messinscena della violenza (e non solo).
Con il diffondersi del visuel e dell'infografica, le immagini dell'action movie americano vengono come private dell'obbligo dell'ossequio nei confronti della legge di gravità. The Matrix tra le altre cose significa anche questo: il principio d'individuazione classico del cinema americano giunge al suo punto terminale. Unendo il wire work di Yuen Woo-ping alla grafica digitale, il corpo americano (ri)trova finalmente una leggerezza inusitata che solo gente come Fred Astaire, Donald O'Connor e Gene Kelly (in un altro mondo) ha sperimentato compiutamente.
Dalla citazione iconica di Arma letale (Mel Gibson che corre con le pistole in pugno) alla riformulazione di un'intera estetica il passo è lunghissimo, ma Silver l'ha compiuto nell'arco di una strategia produttiva che in The Matrix ha trovato il suo perfetto punto d'equilibrio: produttivo, estetico e merceologico.
Un film come Romeo deve morire e un esercizio formale desueto come Pallottole cinesi, al di là dei lusinghieri esiti economici, non forniscono però indizi confortanti sulla convivenza tra i codici formali hongkonghesi e gli indici di realtà hollywoodiani.
Ciò che incuriosisce, semmai, è come la transgenericità del cinema d'azione americano potrebbe configurarsi, attraverso la contaminazione hongkonghese, nel corso dei prossimi anni, come una sorta di esperanto iconico autonomo rispetto ai codici dei generi di provenienza.
Si tratta in pratica di riformulare un codice visivo che traduca, rielaborato (razionalizzato...) dalla grafica digitale, l'esotismo dei trampolini e del wire work come segno di un'ipermodernità in sintonia veloce con il mutare degli equilibri percettivi ed estetici del panorama massmediologico. Ed è al di fuori dei cinema che si combatte la scommessa dei nuovi codici dell'action movie americano: nei ritmi sintetici della tecno, nella coolness della neoblaxploitation, nel minimalismo dell'hip hop, nella cinefilia video che unisce Godzilla a Jackie Chan passando per Fernando Di Leo.
Si tratta dunque di universo eminentemente citazionista, riciclato, cui però il digitale garantisce i crismi del nuovo e della contemporaneità.
Il problema, semmai, sono i corpi. La somatografia hongkonghese ha infatti messo in scena una vera e propria politica del corpo.Il nuovo action movie americano (a prescindere da poche eccezione) nell'opera di derealizzazione del genere, ha provveduto invece a una drammatica sovradeterminazione divistica dell'immagine del corpo ma contemporaneamente a un'altrettanta risoluta svalutazione del corpo.
L'interrogativo fondamentale, cui il cinema americano dovrà fornire una risposta è: con (di) quali corpi popolare questo transgenere che sin d'ora si configura come l'immagine limite di una poetica che è soprattutto funzionale a promuovere un cinema che ancora non c'è.