Titoli di testa e cinema horror
L'orrore si vede dal mattino
I titoli di testa di un film non sono
mai fatti a caso, nascondono sempre un senso, ci danno informazioni sulla
pellicola e vanno spesso aldilà delle semplici indicazioni dei crediti.
Dai titoli di testa è già possibile riconoscere un intento, un messaggio
che l'autore fornisce. Pensiamo ai titoli di Saul Bass per il Vertigo
di Hitchcock: le forme a spirale trascinano lo spettatore in una sorta
di ipnosi ossessiva e di vertigine che sarà alla base del film; anche
l'uso dei titoli di testa che fa Godard nei suoi film è estremamente significativo:
sin dai titoli gioca con le parole, elaborando dinamiche che coinvolgono
il linguaggio e il movimento.
Anche
nel cinema horror i registi concentrano una particolare attenzione ai
titoli di testa. La storia horror è finzione pura, lo spettatore attraverso
la sua "volontaria sospensione dell'incredulità" si lascia trasportare
e fin dall'inizio il regista si trova a dover accogliere e stimolare lo
spettatore.
È la musica, in genere, ad essere il primo elemento utilizzato nei film
dell'orrore creando le basi per portare la tensione allo spasimo. Attraverso
il sonoro il film fa capire allo spettatore che si tratta di un racconto,
e più precisamente di un racconto inquietante.Semplici note basse come
all'inizio de L'esorcista o la musica tagliente presente da subito
in Psyco, sono chiari esempi del suo essere portatrice di tensione.Andando
più nello specifico e considerando anche i segni grafici dei titoli, sembra
interessante segnalare almeno tre inizi di film horror, anche per vedere
quali sono le componenti in gioco e come i registi si muovono e comunicano.
I film sono Fury di Brian De Palma, Profondo rosso di Dario
Argento e Rosemary's baby di Roman Polanski.
Fury (1978) è un film che costruisce il suo inizio in modo del
tutto classico. Scritte bianche su fondo azzurro. La componente grafica
è tradizionale, ma è la musica a comunicare: una melodia che cresce e
diventa sempre più drammatica fino al rullo di tamburi che scatta al comparire
del nome del regista.
Oltre alla divertente sottolineatura, la musica (di John Williams, collaboratore
abituale di Lucas e Spielberg) fa scattare subito la componente emotiva;
e quando vediamo i due protagonisti del film nuotare in mare e uscire
dall'acqua (sentendo un ultimo "colpo basso" dell'orchestra che conclude
l'ouverture) siamo assolutamente attratti verso questa storia.
Opposto
e del tutto fuori dai canoni è invece l'inizio di Profondo rosso
(1975) in cui entra in gioco, oltre alla componente musicale, una componente
visiva estremamente suggestiva. I titoli, scritte bianche sottili su fondo
nero, sono interrotti a metà da una inquadratura: è la scena di un omicidio
che vediamo compiersi grazie a ombre proiettate su un muro; anche la musica
di Giorgio Gaslini si interrompe per lasciare spazio a una ninna nanna,
tanto buffa quanto inquietante.
Questa inquadratura, che si "intromette" tramite due dissolvenze dal
nero (in entrata e in uscita), ha il suo effetto nel momento in cui riprendono
i titoli del film e la musica.Questo rapido sguardo che rivela l'omicidio
(quasi un occhio che si apre per poi chiudersi nuovamente) carica i titoli
di vera tensione. La bellissima musica eseguita dai Goblin che riprende
dopo la ninna nanna rientra così in modo dinamico e drammatico nello scorrere
del tempo in una strana combinazione di suspense e di attesa.
Un'altra ninna nanna è alla base dei titoli di testa di Rosemary's
baby di Polanski (1968). Qui l'inquietante deriva dal fatto che la
musica dolce e i segni grafici, eleganti e colorati di rosa, sono sovrapposti
ad una lenta panoramica che si muove da destra a sinistra sulla città
di New York.
Il movimento della camera verso sinistra, come ricorda Odin è un movimento
inusuale secondo i percorsi canonici dello sguardo umano, un tragitto
visivo che mette a disagio la visione. Ecco allora che nasce una contraddizione
che sarà alla base di tutta la costruzione del film, e cioè il contrasto
fra una maternità (che dovrebbe portare verso il lieto evento) e gli inquietanti
problemi che questa maternità porta, fino alla possibilità che il nascituro
possa essere figlio del diavolo.
In fondo nulla è fatto per caso e la curiosità di conoscere le varie
soluzioni registiche deve spingersi in ogni direzione, anche verso quegli
elementi che solitamente sfuggono agli studi tradizionali. In alcuni casi,
attualmente, pare che la soluzione dei titoli di testa stia perdendo di
significato, o meglio, sembra esserci un volontario distacco dalla consuetudine
(pensiamo al Dogma95 che rifiuta, sulla carta, i titoli) per dare l'illusione
di una maggiore scioltezza del film, di una maggiore libertà dell'opera.
Ma il cinema horror ha saputo sempre trarre vantaggio dai titoli, utilizzandoli
per introdurre atmosfere e suggestioni.