Paure e fascinazioni fuori/dentro un numero, il 237
di Giuseppe Verlucca
Il pellegrinare di Danny lungo i corridoi dell'Overlook Hotel pare non essere regolato da alcuna norma esterna eccetto l'ammonimento a non entrare nella stanza 237. Ma l'impulso a muoversi per esplorare il mondo sempre uguale dell'albergo cede il passo ad una curiosità crescente e il bambino, durante uno dei suoi spostamenti in triciclo, si sofferma sulla porta proibita: scena, questa, alla quale non sembra sbagliato attribuire carattere iterativo. Bloccarsi, guardare, ripartire: gesti correlati persi nel tempo imprecisato dell'Overlook, artificiale come l'illuminazione che non permette di differenziare i vari momenti della giornata.
Anche l'incedere di Danny con il triciclo avviene in uno spazio senza punti di riferimento, è così simmetrico da diventare intollerabile (il bambino si trova costantemente in-basso/al-centro dell'inquadratura). Paolo Cherchi Usai nella sensazione di simmetria e nella dicotomia destra/sinistra ha individuato il vero dramma di Shining (Cherchi Usai, "Kubrick, Ligeti, Bartòk", in Brunetta (a cura di), "Stanley Kubrick", Marsilio, Venezia, 1999).
Lo spazio vuoto e svuotato (dal metteur en scene Kubrick) di cose e persone, "schelettrizzato" e purificato nelle forme (il labirinto su tutte), è teatro per il piccolo flaneur Danny di scoperte epifaniche e visioni choc condivise con lo spettatore: allucinazioni in soggettiva dalla forte componente di immedesimazione. Lo shining è quella facoltà di pochi ("people who shine", spiega il cuoco Halloran) di vedere - e non leggere - eventi passati o futuri, nonché di comunicare telepaticamente.
Il regalo macabro di Kubrick ai fruitori del film è questa condivisione dello shining, richiamo all'ormai lontana attività spettatoriale delle prime proiezioni imperfette, delle immagini 'luccicanti' del cinema ai suoi esordi. In più è come se lo spettatore potesse regredire ad una forma ancora più cristallina di visione: la fotografia (esempi: le immagini delle bambine massacrate e la fotografia in cui è immortalato Jack alla festa; le fotografie sulle pareti dell'Hotel, l'immagine delle due gemelle che richiama una foto di Diane Arbus). Lo shining permette di vedere frammenti puri e congelati di memoria collettiva e questa può farsi inquietante se concettualizzata non come forma solida e rassicurante (una cornice, insomma) ma come precaria disarticolazione di messaggi e codici.
La rigida costanza con la quale Kubrick smonta l'idea normale e quotidiana di tempo e di percezione (nel tempo), sia essa allucinata o verosimile (come il cinema, di cui Shining è metafora, e per giunta strettamente legata a 2001) ha come risultato un rafforzamento quasi fastidioso della dimensione spaziale. Essa diventa necessariamente il luogo dell'orrore. Se da un lato il film è dominato dalla figura del "doppio" labirinto, per il quale vacilla la distinzione precisa di "fuori" e "dentro", sostituita invece dal disorientamento (una specie di giochetto alla Borges raccontato con stile kafkiano), dall'altra esiste un richiamo all'orrore classico: la porta maledetta da non varcare.
Oltre che portare alla memoria atmosfere alla Poe, la stanza 237 si ricollega direttamente all'universo delle fiabe, in primis a quella di Barbablù ma potrebbe essere avvicinata a svariati motivi del mito, della letteratura e socio-antropologici. Il "non poter entrare" è una sorta di opposto del castigo che di solito trova il suo senso proprio nell'isolamento dal mondo.La 237 diventa un pericoloso vaso di Pandora pronto a liberare i propri demoni (ne vediamo uno: la donna cadavere che abbraccia Jack). È anche trasposizione dell'impossibilità di far parte di qualcosa come un gruppo, un'élite (il che, di solito, implica comunque uno scotto da pagare per l'iniziazione).Quindi chiaro che parlando della stanza 237 il rapporto fuori/dentro riacquista valore in particolare per il contrasto con la perdita di coordinate che avviene nel labirinto. Il significato di questo valore, considerate le eco di cui si è detto, oscilla, nella sua forma più elementare, tra il territoriale, il sessuale e il sociologico.
Kubrick costruisce con questi elementi una paura dell'inatteso, gioca sull'idea di perturbante freudiano e completa l'opera non mostrando cosa succede a Danny quando entra nella stanza. Crea cioè, lavorando in chiave differenziale, un nuovo "non- luogo" dell'orrore che è in definitiva una funzionalissima ellissi del racconto. La curiosità arriva fino alla porta socchiusa e fa aumentare l'ansia nello spettatore parallelamente a una certa delusione legata al 'non sapere' derivato da un 'non vedere'.
L'accecamento volontario è pure, per il piccolo Danny, l'unico sistema per sfuggire al terrore provocato in lui dalle visioni (coprendosi gli occhi con le mani). La macchina cinematografica stessa smette di esercitare le proprie fascinazioni sul pubblico nel momento in cui è il pubblico a sottrarsi alle regole ammalianti dell'immedesimazione; ma Kubrick, in Shining, sottolinea con fredda ironia la difficoltà di attuare questa operazione quando si è persi nel flusso delle immagini come nel tempo quasi mistico dell'Overlook. E l'attrazione verso la camera misteriosa è forte; così tanto che il numero 237 diventa l'ipnotico richiamo che si sovrappone alla serialità dei corridoi e lascia il proprio strascico di paura nella mente di chi vede il film.
La funzionalità con cui spazi e tempi concorrono a creare l'orrore in Shining ne fa un meccanismo cinematografico robusto e intoccabile. L'originalità di Kubrick risiede nell'accostamento tra il tema (allo stesso tempo concettuale e visivo, o forse meglio: "non-visivo" perché negato sotto certi aspetti) della stanza maledetta, della porta e del numero 237 e la soluzione linguistica che riguarda i corridoi dell'Overlook, privi di ombra e trattati in tutt'altro modo che riproduzioni oniriche di paure.
Anzi, l'iperrealismo kubrickiano si spinge, lo abbiamo visto, sino alla fotografia.Dal momento che il labirinto (o la scacchiera, forma di labirinto ulteriormente epurata) è il vero "luogo" di Shining nella riscrittura del genere horror che attua il regista, pare che la stanza 237 assuma un ruolo di controbilanciamento tematico-formale e di catalizzatore di paura, come fosse una minaccia tremendamente costante, simile a quella riproduzione del mondo simmetrica e gelida che contraddistingue lo sguardo di Kubrick nei suoi film. Una cosa che c'è sempre stata e risiede stabile, simmetrica e perfetta come l'ultimo fraseggio di un discorso di commiato; come, lo si è forse già intuito, la morte stessa.